Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » 8 marzo » 8 marzo: Pegah e la campagna istituzionale dedicata a Mahsa Amini

8 marzo: Pegah e la campagna istituzionale dedicata a Mahsa Amini

Dal 6 marzo andrà in onda sulle reti Rai, radio e tv, e sui social, lo spot #ilcoraggioèdonna che celebra la Giornata Internazionale dei diritti della Donna

Letizia Cini
5 Marzo 2023
Dal 6 marzo andrà in onda sulle reti Rai, radio e tv, e sui social, lo spot ilcoraggioèdonna che celebra la Giornata Internazionale dei diritti della Donna

Dal 6 marzo andrà in onda sulle reti Rai, radio e tv, e sui social, lo spot ilcoraggioèdonna che celebra la Giornata Internazionale dei diritti della Donna

Share on FacebookShare on Twitter

Dal 6 marzo andrà in onda sulle reti Rai, radio e tv, e sui social, lo spot promosso dalla ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, ideato e realizzato dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria guidato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alberto Barachini, la campagna istituzionale dedicata a Mahsa Amini. Promossa dalla ministra Roccella e realizzata dal Dipartimento guidato dal Sottosegretario Barachini, prevede la diffusione di #Ilcoraggioèdonna.

 

Lei si chiamava Masha Amini, era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Qui ha trovato la morte, a 22 anni, peerché nopn indossava il velo
Lei si chiamava Masha Amini, era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Qui ha trovato la morte, a 22 anni, perché non indossava il velo

La campagna di comunicazione istituzionale, #ilcoraggioèdonna, celebra la Giornata Internazionale dei diritti della Donna, dedicando questo 8 marzo a Mahsa Amini, morta in Iran dopo essere stata arrestata per aver indossato il velo in modo “non corretto”, e a tutte le donne che lottano per vedere riconosciuti e rispettati i propri diritti fondamentali.

“Essere libere – recita la voce di Pegah Moshir Pour – vuol dire poter studiare e decidere chi diventare. Poter uscire di casa con i capelli scoperti senza paura di essere arrestate o di perdere la vita. Avere l’opportunità di guadagnarsi da vivere e veder riconosciuto, equamente, il proprio lavoro. Vuol dire scegliere di costruire una famiglia in pace, lontano dalla violenza e dalla guerra. Il coraggio è donna come la libertà”.

Pegah Moshir Pour è un’attivista e content creator
Pegah Moshir Pour è un’attivista e content creator

Lucana di origini iraniane, Pegah Moshir Pour è un’attivista e content creator. Il suo nome è diventato popolare cinque mesi fa, quando, dopo la morte di Masha Amini, in Iran sono esplose delle proteste senza precedenti. Quando aveva 9 anni, Pegah è stata costretta a lasciare Teheran per arrivare in Basilicata assieme alla sua famiglia. In quegli anni, le violenze e la repressione del regime islamico si fecero fortissime, al punto da indurre diverse famiglie a scappare dal paese. Per questa ragione oggi la sua voce è tutta a sostegno delle proteste delle donne e degli uomini, esplose dopo la morte di Masha Amini.

Chi era Masha Amini

Masha Amini era stata arrestata dalla polizia di Teheran nel settembre del 2022 perché non indossava il velo in modo “inappropriato”. La polizia l’ha vista e la fermata. Alcuni testimoni dicono che sia stata picchiata mentre si trovava all’interno di un furgone della polizia, altre versioni ancora riportano come Masha sia stata portata in una stazione di polizia per assistere a “un’ora di rieducazione“. E questo lo ha raccontato anche il fratello Kiarash, agli organi di stampa. Secondo quanto riferito dal fratello, la giovane donna è stata presa dalle forze dell’ordine lo scorso 13 settembre, di sera, per strada, davanti ai suoi occhi, e portata in caserma per una “lezione di rieducazione” per come indossava lo hijab. Secondo la polizia “in un modo improprio” perché non le copriva del tutto i capelli. E in Iran il velo è obbligatorio in pubblico per tutte le donne da dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Kiarash è stato ad aspettarla fuori dall’edificio per un bel po’. Poi ha sentito le grida provenire dall’interno e visto la sorella uscire a bordo di un’ambulanza che l’ha trasportata nell’ospedale dove è stata dichiarata morta dopo tre giorni di coma.

Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)
Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)

Citando “accuse riguardo a torture e maltrattamenti durante la detenzione”, Amnesty International fi da subito ha espresso il sospetto che la ragazza potesse essere morta già mentre si trovava in caserma, chiedendo venisse aperta un’inchiesta contro agenti di polizia e funzionari per fare luce sul caso. Per la sezione iraniana di Amnesty, l donna è stata “arrestata in modo arbitrario dalla cosiddetta polizia della moralità”. Anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi aveva ordinato al ministero dell’Interno di procedere con un’indagine per chiarire quanto accaduto. Ma è proprio contro il governo del leader ultraconservatore, e il suo fermo sostegno alla legge che obbliga a portare il velo, che molti iraniani hanno puntato il dito per la morte di Mahsa, tragedia che ha scatenato un vero movimento di popolo.

Potrebbe interessarti anche

Claudia Raia parto 56 anni
Lifestyle

L’attrice brasiliana Claudia Raia di nuovo mamma a 56 anni

19 Marzo 2023
Intervento innovativo all'ospedale Regina Margherita di Torino
Scienze e culture

Per la prima volta al mondo paziente cieco recupera la vista

24 Marzo 2023
Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca
Lifestyle

Giustizia, il linguaggio corretto per la parità di genere

21 Marzo 2023

Instagram

  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Dal 6 marzo andrà in onda sulle reti Rai, radio e tv, e sui social, lo spot promosso dalla ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, ideato e realizzato dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria guidato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alberto Barachini, la campagna istituzionale dedicata a Mahsa Amini. Promossa dalla ministra Roccella e realizzata dal Dipartimento guidato dal Sottosegretario Barachini, prevede la diffusione di #Ilcoraggioèdonna.  
Lei si chiamava Masha Amini, era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Qui ha trovato la morte, a 22 anni, peerché nopn indossava il velo
Lei si chiamava Masha Amini, era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Qui ha trovato la morte, a 22 anni, perché non indossava il velo
La campagna di comunicazione istituzionale, #ilcoraggioèdonna, celebra la Giornata Internazionale dei diritti della Donna, dedicando questo 8 marzo a Mahsa Amini, morta in Iran dopo essere stata arrestata per aver indossato il velo in modo “non corretto”, e a tutte le donne che lottano per vedere riconosciuti e rispettati i propri diritti fondamentali. “Essere libere - recita la voce di Pegah Moshir Pour - vuol dire poter studiare e decidere chi diventare. Poter uscire di casa con i capelli scoperti senza paura di essere arrestate o di perdere la vita. Avere l’opportunità di guadagnarsi da vivere e veder riconosciuto, equamente, il proprio lavoro. Vuol dire scegliere di costruire una famiglia in pace, lontano dalla violenza e dalla guerra. Il coraggio è donna come la libertà”.
Pegah Moshir Pour è un’attivista e content creator
Pegah Moshir Pour è un’attivista e content creator
Lucana di origini iraniane, Pegah Moshir Pour è un’attivista e content creator. Il suo nome è diventato popolare cinque mesi fa, quando, dopo la morte di Masha Amini, in Iran sono esplose delle proteste senza precedenti. Quando aveva 9 anni, Pegah è stata costretta a lasciare Teheran per arrivare in Basilicata assieme alla sua famiglia. In quegli anni, le violenze e la repressione del regime islamico si fecero fortissime, al punto da indurre diverse famiglie a scappare dal paese. Per questa ragione oggi la sua voce è tutta a sostegno delle proteste delle donne e degli uomini, esplose dopo la morte di Masha Amini.

Chi era Masha Amini

Masha Amini era stata arrestata dalla polizia di Teheran nel settembre del 2022 perché non indossava il velo in modo “inappropriato”. La polizia l’ha vista e la fermata. Alcuni testimoni dicono che sia stata picchiata mentre si trovava all’interno di un furgone della polizia, altre versioni ancora riportano come Masha sia stata portata in una stazione di polizia per assistere a “un’ora di rieducazione“. E questo lo ha raccontato anche il fratello Kiarash, agli organi di stampa. Secondo quanto riferito dal fratello, la giovane donna è stata presa dalle forze dell’ordine lo scorso 13 settembre, di sera, per strada, davanti ai suoi occhi, e portata in caserma per una “lezione di rieducazione” per come indossava lo hijab. Secondo la polizia “in un modo improprio” perché non le copriva del tutto i capelli. E in Iran il velo è obbligatorio in pubblico per tutte le donne da dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Kiarash è stato ad aspettarla fuori dall’edificio per un bel po’. Poi ha sentito le grida provenire dall’interno e visto la sorella uscire a bordo di un’ambulanza che l’ha trasportata nell’ospedale dove è stata dichiarata morta dopo tre giorni di coma.
Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)
Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)
Citando “accuse riguardo a torture e maltrattamenti durante la detenzione”, Amnesty International fi da subito ha espresso il sospetto che la ragazza potesse essere morta già mentre si trovava in caserma, chiedendo venisse aperta un’inchiesta contro agenti di polizia e funzionari per fare luce sul caso. Per la sezione iraniana di Amnesty, l donna è stata “arrestata in modo arbitrario dalla cosiddetta polizia della moralità”. Anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi aveva ordinato al ministero dell’Interno di procedere con un’indagine per chiarire quanto accaduto. Ma è proprio contro il governo del leader ultraconservatore, e il suo fermo sostegno alla legge che obbliga a portare il velo, che molti iraniani hanno puntato il dito per la morte di Mahsa, tragedia che ha scatenato un vero movimento di popolo.
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • 8 marzo

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2023 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto