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Home » 8 marzo » 8 Marzo, viaggio alle origini tra realtà e leggenda

8 Marzo, viaggio alle origini tra realtà e leggenda

Dalla nascita della ricorrenza fino alla scelta della mimosa. Ma non chiamatela "festa": è la Giornata internazionale dei diritti della donna

Barbara Berti
8 Marzo 2023
8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna

8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna

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L’8 marzo ricorre la Giornata internazionale dei diritti della donna, un appuntamento per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo. Spesso nell’accezione comune, l’8 marzo viene erroneamente definita come “Festa della donna”. Ma non è una festa, è un momento di riflessione. Dove e perché nasce questa ricorrenza? Proviamo a percorre un breve viaggio tra le origini della Giornata Internazionale della Donna partendo dai diritti delle donne e arrivando al fiore della mimosa.

Le origini tra realtà e leggenda

La Giornata Internazionale della Donna ha una storia incerta tra realtà e leggenda. Una leggenda racconta che la festa abbia avuto origine per rendere omaggio alle operaie morte in una strage avvenuta l’8 marzo del 1908 nella fabbrica Cottons di New York. Tuttavia, non esiste alcuna traccia documentaristica di questo evento, come hanno dimostrato le femministe Tilde Capomazza e Marisa Ombra nel 1987.

Il Brown Building (dal nome del filantropo Frederick Brown, che lo donò all'Università di New York nel 1929) nel quartiere di Greenwich, dove si trovava la Triangle Shirtwaist Factory, teatro del tragico incendio del 25 marzo 1911 (Fonte: Wikipedia)
Il Brown Building (dal nome del filantropo Frederick Brown, che lo donò all’Università di New York nel 1929) nel quartiere di Greenwich, dove si trovava la Triangle Shirtwaist Factory, teatro del tragico incendio del 25 marzo 1911 (Fonte: Wikipedia)

La leggenda della Cottons comparve per la prima volta nel 1952 sul settimanale bolognese “La lotta”. In ogni caso, un tragico incendio si verificò effettivamente a New York, ma tre anni dopo la data leggendaria. Il 25 marzo 1911, un incendio divampò all’interno della Triangle Shirtwaist Factory, uccidendo 146 lavoratori, di 123 donne e 23 uomini, in gran parte giovani immigrate (tra i 13 e i 22 anni) di origine italiana ed ebraica. Molti operai rimasero intrappolati all’interno dell’edificio e bruciarono vivi, mentre altri furono costretti a saltare dalle finestre per cercare di salvarsi. Le operaie erano sottoposte a turni di lavoro massacranti e mal pagati in un’azienda di proprietà di Max Blanck e Isaac Harris, che produceva camicette da donna.

Ci sono, poi, altre versioni che citano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riguardano scioperi e incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York.

Clara Zetkin (Foto: Wikipedia)
Clara Zetkin (Foto: Wikipedia)

L’idea di istituire una festa per le donne nacque negli Stati Uniti nel febbraio del 1909, su iniziativa del Partito Socialista americano. Nel 1910, la politica tedesca Clara Zetkin propose di celebrare la festa durante l’VIII Congresso dell’Internazionale Socialista a Copenaghen. Zetkin dedicò la vita alla lotta per l’emancipazione femminile e teorizzò la liberazione delle donne dalla sudditanza maschile come parte fondamentale dell’emancipazione del proletariato. Tuttavia, fino al 1921, i singoli Paesi scelsero date diverse per la celebrazione della Giornata. Solo nel 1921, a Mosca, la Seconda conferenza delle donne comuniste decise di rendere ufficiale la data dell’8 marzo come Giornata Internazionale dell’Operaia, in ricordo della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo nel 1917.

Il 16 dicembre 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite propose a ogni paese, nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, di dichiarare un giorno all’anno “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale” (“United Nations Day for Women’s Rights and International Peace”) e di comunicare la decisione presa al Segretario generale. Adottando questa risoluzione, l’Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l’urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese. L’8 marzo, che già veniva festeggiato in diversi paesi, fu scelta come la data ufficiale da molte nazioni.

Teresa Mattei (Foto: Enciclopedia delle donne)
Teresa Mattei (Foto: Enciclopedia delle donne)

La ricorrenza in Italia

In Italia, la Giornata internazionale della donna, si è tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d’Italia, che la celebrò il 12 marzo, prima domenica successiva all’ormai fatidico 8 marzo. La ricorrenza ha preso campo solo nel Dopoguerra. Nel 1945 l’Unione Donne in Italia ha iniziato a festeggiare l’8 marzo nelle zone del paese già liberate dal fascismo, poi nel 1946, per la prima volta, tutta l’Italia ha commemorato la Giornata, scegliendo la mimosa come simbolo.

La mimosa: rinascita e speranza

La Giornata internazionale dei diritti della donna ha come simbolo universale la mimosa, un fiore che rappresenta la rinascita e la speranza. Il merito va alla partigiana e Madre Costituente, Teresa Mattei, nome di battaglia Chicchi. Nel 1946, quando in Italia si decise di istituire la prima “Festa della donna” l’8 marzo successivo alla conquista del voto alle donne, Teresa propose di adottare un simbolo che rappresentasse le donne. Dopo varie proposte, come le violette o l’orchidea, bocciata per la sua rarità e il suo costo elevato, Teresa suggerì la mimosa. Secondo la sua opinione, il fiore della mimosa rappresentava perfettamente l’unione delle donne attraverso tutti quei piccoli fiori che lo compongono. Per convincere chi era ancora scettico sulla scelta del fiore, raccontò una leggenda antica secondo cui l’albero della mimosa sarebbe nato dal sacrificio di una giovane donna con una grande chioma d’oro, proprio come il colore del fiore stesso.

La mimosa come simbolo di rinascita e speranza (Foto: Edendeifiori.it)
La mimosa come simbolo di rinascita e speranza (Foto: Edendeifiori.it)

L’adozione della mimosa come simbolo della Festa della donna, un fiore che sboccia proprio ai primi di marzo e che si trova anche nei campi, ha dato voce soprattutto ai più deboli della società: i poveri e le classi meno abbienti escluse ed emarginate. Non solo simbolo dell’emancipazione femminile, ma anche emblema di una società in rinascita dopo la tragedia della guerra e in rapido mutamento attraverso ideali di libertà e uguaglianza. La mimosa, un fiore povero ma forte, ha rappresentato (e continua a rappresentare) la bellezza e la forza delle donne unite nella lotta per l’uguaglianza di genere e simboleggia la speranza di una società più giusta e inclusiva per tutti.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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Il Brown Building (dal nome del filantropo Frederick Brown, che lo donò all'Università di New York nel 1929) nel quartiere di Greenwich, dove si trovava la Triangle Shirtwaist Factory, teatro del tragico incendio del 25 marzo 1911 (Fonte: Wikipedia)
La leggenda della Cottons comparve per la prima volta nel 1952 sul settimanale bolognese “La lotta”. In ogni caso, un tragico incendio si verificò effettivamente a New York, ma tre anni dopo la data leggendaria. Il 25 marzo 1911, un incendio divampò all'interno della Triangle Shirtwaist Factory, uccidendo 146 lavoratori, di 123 donne e 23 uomini, in gran parte giovani immigrate (tra i 13 e i 22 anni) di origine italiana ed ebraica. Molti operai rimasero intrappolati all'interno dell'edificio e bruciarono vivi, mentre altri furono costretti a saltare dalle finestre per cercare di salvarsi. Le operaie erano sottoposte a turni di lavoro massacranti e mal pagati in un'azienda di proprietà di Max Blanck e Isaac Harris, che produceva camicette da donna. Ci sono, poi, altre versioni che citano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riguardano scioperi e incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York.
Clara Zetkin (Foto: Wikipedia)
Clara Zetkin (Foto: Wikipedia)
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Teresa Mattei (Foto: Enciclopedia delle donne)
Teresa Mattei (Foto: Enciclopedia delle donne)

La ricorrenza in Italia

In Italia, la Giornata internazionale della donna, si è tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d'Italia, che la celebrò il 12 marzo, prima domenica successiva all'ormai fatidico 8 marzo. La ricorrenza ha preso campo solo nel Dopoguerra. Nel 1945 l'Unione Donne in Italia ha iniziato a festeggiare l'8 marzo nelle zone del paese già liberate dal fascismo, poi nel 1946, per la prima volta, tutta l'Italia ha commemorato la Giornata, scegliendo la mimosa come simbolo.

La mimosa: rinascita e speranza

La Giornata internazionale dei diritti della donna ha come simbolo universale la mimosa, un fiore che rappresenta la rinascita e la speranza. Il merito va alla partigiana e Madre Costituente, Teresa Mattei, nome di battaglia Chicchi. Nel 1946, quando in Italia si decise di istituire la prima “Festa della donna” l'8 marzo successivo alla conquista del voto alle donne, Teresa propose di adottare un simbolo che rappresentasse le donne. Dopo varie proposte, come le violette o l'orchidea, bocciata per la sua rarità e il suo costo elevato, Teresa suggerì la mimosa. Secondo la sua opinione, il fiore della mimosa rappresentava perfettamente l'unione delle donne attraverso tutti quei piccoli fiori che lo compongono. Per convincere chi era ancora scettico sulla scelta del fiore, raccontò una leggenda antica secondo cui l'albero della mimosa sarebbe nato dal sacrificio di una giovane donna con una grande chioma d'oro, proprio come il colore del fiore stesso.
La mimosa come simbolo di rinascita e speranza (Foto: Edendeifiori.it)
La mimosa come simbolo di rinascita e speranza (Foto: Edendeifiori.it)
L'adozione della mimosa come simbolo della Festa della donna, un fiore che sboccia proprio ai primi di marzo e che si trova anche nei campi, ha dato voce soprattutto ai più deboli della società: i poveri e le classi meno abbienti escluse ed emarginate. Non solo simbolo dell'emancipazione femminile, ma anche emblema di una società in rinascita dopo la tragedia della guerra e in rapido mutamento attraverso ideali di libertà e uguaglianza. La mimosa, un fiore povero ma forte, ha rappresentato (e continua a rappresentare) la bellezza e la forza delle donne unite nella lotta per l'uguaglianza di genere e simboleggia la speranza di una società più giusta e inclusiva per tutti.
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