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Home » 8 marzo » La disparità tra uomini e donne negli ultimi 15 anni, spiegata coi dati

La disparità tra uomini e donne negli ultimi 15 anni, spiegata coi dati

Il divario è migliorato, ma le donne restano meno pagate e meno rappresentate, senza considerare che faticano sia a lavoro che a casa

Arnaldo Liguori
8 Marzo 2023
Il gender gap in Italia (Illustrazione di Arnaldo Liguori)

Il gender gap in Italia (Illustrazione di Arnaldo Liguori)

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Le donne italiane sono più istruite degli uomini, eppure sono meno pagate, meno rappresentate e meno stimate. Le donne italiane svolgono più mansioni sociali degli uomini, eppure hanno meno lavoro, meno tempo libero e occupano posizioni di minore rilievo. In sintesi, la parte femminile della società è ancora discriminata da quella maschile: questo era vero 15 anni fa ed è vero anche oggi.

Tuttavia, le cose stanno migliorando. Lentamente, ma stanno migliorando. Dal 2007, è cresciuto il numero di donne che lavorano e che studiano: ci sono più scienziate, più magistrate, più dirigenti, più deputate, più ministre.

Questi cambiamenti si riflettono anche nella rappresentazione femminile che ritroviamo nei media e nella cultura: il potere politico delle grandi leader è sempre più slegato dalla sua versione più virile e i giovani rifuggono dagli stereotipi di mascolinità tossica perpetrati per decenni.

La strada, comunque, è lunga. Nella classifica sulla parità di genere pubblicata ogni anno nel Global Gender Gap Report, l’Italia è 63esima su 146 posizioni. Nell’Unione europea, è l’unico Paese insieme alla Romania con un tasso di partecipazione al lavoro delle donne inferiore del 70 per cento rispetto agli uomini. Su dieci lavoratori, ci sono meno di sette lavoratrici.

 

Disparità di genere nel mondo del lavoro

Negli ultimi 15 anni la percentuale di donne che lavorano è passata dal 50 al 56 per cento. Gli uomini sono il 75 per cento. La crescita di lavoratrici è stata più bassa rispetto a quella della maggior parte dei Paesi occidentali.

La mancanza di un lavoro e quindi di indipendenza economica pone molte donne in una condizione di subordinazione rispetto ai mariti o ai compagni. In casi estremi, questo può evolvere in forme di violenza economica che compromettono le possibilità di libertà ed emancipazione.

La presidente dell’Unione nazionale vittime di violenza, Paola Rafaelli, spiega che in molti casi “il primo obiettivo è riuscire a dare un aiuto economico o un lavoro a queste donne, perché spesso vengono emarginate dopo aver subito violenze. Una donna indipendente – soprattutto dall’ambito familiare – non viene sottomessa”. Qui va detto, ad esempio, che solo l’83 per cento delle italiane hanno un conto corrente, contro il 92 per cento degli uomini.

La disparità nell’occupazione si riflette anche nella ricerca di lavoro. Negli ultimi 15 anni, il tasso disoccupazione femminile è sempre stato di 2-5 punti inferiore a quello maschile. Questo significa che le donne che cercano un lavoro fanno più fatica a trovarlo.

 

Lavoro pagato meno e lavoro non pagato

Le donne italiane non hanno soltanto un salario inferiore, a parità di mansioni, rispetto agli uomini, ma faticano due volte: prima al lavoro, poi a casa. E questo nonostante siano mediamente le più istruite del mondo. L’Italia è prima in classifica per numero di donne iscritte all’università: il 76 per cento delle ragazze in età universitarie studiano, contro il 57 per cento dei maschi.

Eppure, anche se studiano di più, sono pagate di meno: oggi i divario è del 16 per cento. Questo significa, in pratica, che rispetto ai colleghi maschi è come se una donna lavorasse due mesi gratuitamente. Questo differenziale retributivo, nel 2007, era del 23 per cento. La cose sono migliorate, ma anche qui, il miglioramento è inferiore a quello registrato nella maggior parte degli altri Paesi europei.

A questa situazione si aggiunge l’enorme molte di lavoro domestico che ancora ricade soprattutto sulle donne. La cura dei figli, dei compagni, dei mariti, degli anziani, della casa: mediamente, il 61 per cento del tempo libero femminile è dedicato a questa mansioni. Gli uomini ci dedicano appena il 23 per cento.

La dinamica domestica e quella lavorativa sono profondamente correlate. Come si legge nel Global Gender Gap Repor “l'andamento sproporzionatamente negativo del mercato del lavoro per le donne può essere spiegato […] anche dall'onere dell'assistenza che ricade  in modo sproporzionato sulle donne”. Senza sufficiente strutture di supporto come asili nido e doposcuola, il carico di lavoro sulle donne aumenta riducendo le possibilità di lavoro, con crescenti disparità.

 

La disparità di genere in politica

La politica è forse il settore in cui le cose negli ultimi 15 anni sono migliorate di più. Nelle ultime quattro legislature le donne parlamentari sono passate dal 17, al 21, al 31, fino al 36 per cento: il doppio.

Nel governo la disparità è anche minore. Dal 2007 la quota di donne di donne in posizioni ministeriali è più che triplicata, benché l’andamento sia altalenante, anche a causa della cronica instabilità degli esecutivi italiani. Le donne ministre erano l’8 per cento nel quarto governo Berlusconi del 2007 e oggi sono il 36 per cento.

Ma se non bastano i dati, è un fatto storico a riflettere questa tendenza. Per la prima volta nella storia italiana, maggioranza e opposizione sono rappresentate da due donne: la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. Nel muro di disuguaglianze che separa uomini e donne italiane la crepa si allarga ogni giorni di più.

 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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Lavoro pagato meno e lavoro non pagato

Le donne italiane non hanno soltanto un salario inferiore, a parità di mansioni, rispetto agli uomini, ma faticano due volte: prima al lavoro, poi a casa. E questo nonostante siano mediamente le più istruite del mondo. L’Italia è prima in classifica per numero di donne iscritte all’università: il 76 per cento delle ragazze in età universitarie studiano, contro il 57 per cento dei maschi. Eppure, anche se studiano di più, sono pagate di meno: oggi i divario è del 16 per cento. Questo significa, in pratica, che rispetto ai colleghi maschi è come se una donna lavorasse due mesi gratuitamente. Questo differenziale retributivo, nel 2007, era del 23 per cento. La cose sono migliorate, ma anche qui, il miglioramento è inferiore a quello registrato nella maggior parte degli altri Paesi europei. A questa situazione si aggiunge l’enorme molte di lavoro domestico che ancora ricade soprattutto sulle donne. La cura dei figli, dei compagni, dei mariti, degli anziani, della casa: mediamente, il 61 per cento del tempo libero femminile è dedicato a questa mansioni. Gli uomini ci dedicano appena il 23 per cento. La dinamica domestica e quella lavorativa sono profondamente correlate. Come si legge nel Global Gender Gap Repor “l'andamento sproporzionatamente negativo del mercato del lavoro per le donne può essere spiegato […] anche dall'onere dell'assistenza che ricade  in modo sproporzionato sulle donne”. Senza sufficiente strutture di supporto come asili nido e doposcuola, il carico di lavoro sulle donne aumenta riducendo le possibilità di lavoro, con crescenti disparità.  

La disparità di genere in politica

La politica è forse il settore in cui le cose negli ultimi 15 anni sono migliorate di più. Nelle ultime quattro legislature le donne parlamentari sono passate dal 17, al 21, al 31, fino al 36 per cento: il doppio. Nel governo la disparità è anche minore. Dal 2007 la quota di donne di donne in posizioni ministeriali è più che triplicata, benché l’andamento sia altalenante, anche a causa della cronica instabilità degli esecutivi italiani. Le donne ministre erano l’8 per cento nel quarto governo Berlusconi del 2007 e oggi sono il 36 per cento. Ma se non bastano i dati, è un fatto storico a riflettere questa tendenza. Per la prima volta nella storia italiana, maggioranza e opposizione sono rappresentate da due donne: la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. Nel muro di disuguaglianze che separa uomini e donne italiane la crepa si allarga ogni giorni di più.  
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