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Home » 8 marzo » Non solo quote rosa: 150 anni ci separano dalla parità di genere

Non solo quote rosa: 150 anni ci separano dalla parità di genere

Joelle Gallesi, della società Hunters Group: "Non si deve assumere una donna solo per adempiere a un obbligo di legge. È necessario che il nuovo paradigma della Gender Equality entri nel dna delle organizzazioni, per produrre cambiamenti sostenibile e durevoli"

Caterina Ceccuti
4 Marzo 2023
Joelle Gallesi, managing director della società di ricerca e selezione di personale qualificato Hunters Group

Joelle Gallesi, managing director della società di ricerca e selezione di personale qualificato Hunters Group

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Dalla recente ricerca condotta da McKinsey & Company sull’importanza della Diversity & Inclusion nei luoghi di lavoro (“Diversity Wins”), che ha preso in esame 15 Paesi e oltre 1.000 società, è emerso che le aziende con team executive composto per oltre il 30% da donne hanno maggiore probabilità di buone performance rispetto a team con scarsa o nulla presenza femminile. Ma non finisce qui: lo studio sottolinea anche che le società occupanti i primi posti, sia per parità di genere che per diversità etnica, sono performanti il 12% in più rispetto a tutte le altre presenti nella ricerca.

“Sebbene nel corso del tempo si siano fatti enormi ed innegabili passi in avanti – sottolinea Joelle Gallesi, managing director della società di ricerca e selezione di personale qualificato Hunters Group –, la strada verso la parità di genere è ancora lunga. Flessibilità, inclusione e attenzione al benessere del personale in azienda sono tra gli elementi imprescindibili per un avanzamento sul tema della gender equality che, paradossalmente, non riguarda solo le donne, bensì afferisce al generale work-life balance dei lavoratori.

Le aziende che hanno nel Team Executive almeno il 30% di donne hanno maggiore probabilità di buone performance

Così come il telelavoro bilancia esigenze di uomini e donne in un’organizzazione familiare più organica, allo stesso modo è necessario ripensare ad una gestione aziendale della genitorialità, che comprenda piani strutturati sia di maternity che di paternity welfare, affinché le cosiddette pari opportunità siano realmente paritarie. Assumere, potenziare e trattenere il talento in azienda è un obiettivo sotteso ad ogni impresa, ma ciò è possibile solo se si attuano strategie di inclusione che puntino a valorizzare e potenziare la competenza, la quale non veste panni rosa o blu. Quando esistono diversità e inclusione, si hanno maggiori possibilità di accedere a un ventaglio di talenti più ampio ed eterogeneo. Ciò garantisce anche l’assunzione di risorse con le competenze, l’esperienza e le conoscenze necessarie per creare team ad alte prestazioni, sia in termini di attività sia di innovazione aziendale”.

Verso la parità di genere, ma non solo quando è imposta dalla legge

La Legge 120/2011 (detta anche legge Golfo-Mosca) ha introdotto un obbligo normativo nella composizione dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società quotate in borsa e di quelle partecipate. La normativa aiuta ad accorciare i 150 anni che ci separano dalla parità di genere, però la mera applicazione della norma da parte delle aziende rimane sterile se non c’è una cultura di valorizzazione della diversità all’interno delle imprese stesse. A lavorare proprio in ottica di valorizzazione della diversità c’è la Certificazione UNI/PdR 125:2022, che riguarda la parità di genere nel contesto lavorativo. “Si tratta di una parità di genere che non ha a che fare solo con le quote rosa – continua Gallesi -, ma valuta a 360° tutti gli elementi aziendali. Se giustamente applicata, la certificazione permette di assumere risorse mettendo al centro il valore della competenza e della diversità del singolo”.

La Prassi di Riferimento, infatti, definisce le linee guida per la strutturazione e adozione di un insieme di indicatori prestazionali (KPI), inerenti le politiche di parità di genere nelle organizzazioni. Inoltre, prevede la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi al genere con l’obiettivo di colmare i gap attualmente esistenti e incorporare il nuovo paradigma relativo alla Gender Equality nel dna, delle organizzazioni, per produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo. Hunters Group è riuscita ad ottenerla il 31 gennaio 2023, confermando i nostri valori aziendali: rispetto, fiducia, passione e competenza. Per averla bisogna dimostrare al certificatore di avere un ambiente inclusivo e di rispettare tutte le sfumature esistenti: viviamo, infatti, in una società eterogenea, dove i confini territoriali sono sempre più labili e dove ogni individuo porta con sé caratteristiche uniche.

Valorizzazione del potenziale e dei risultati della persona

Non bastano le quote rosa a colmare il gender gap, ma serve un riconoscimento e una valorizzazione obiettiva delle potenzialità delle persone, al di là del genere

La certificazione non ha nulla a che fare con il mero raggiungimento delle quote rosa: implica, invece, il riconoscimento e la valorizzazione del potenziale e dei risultati della persona. Non dobbiamo infatti cadere nell’errore di assumere una donna o di farle fare un avanzamento di carriera semplicemente per adempiere a un obbligo di legge, perché non è in questo modo che si migliora la situazione lavorativa, anzi spesso è addirittura controproducente, per la persona e per l’azienda. Nei nostri scambi quotidiani con candidate e imprese di tutto il territorio, di ogni dimensione e settore, abbiamo spesso sentito storie di assunzioni errate e/o di promozioni avvenute al momento non opportuno che hanno generato tensioni, malumori e, nei casi più seri, addirittura burnout. Occorre un vero e proprio cambio di approccio e di mentalità, a livello generale, perché non possiamo pensare che per cambiare le cose sia sufficiente spuntare la casella donne durante un processo di selezione o all’interno di un organigramma aziendale”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Dalla recente ricerca condotta da McKinsey & Company sull’importanza della Diversity & Inclusion nei luoghi di lavoro ("Diversity Wins"), che ha preso in esame 15 Paesi e oltre 1.000 società, è emerso che le aziende con team executive composto per oltre il 30% da donne hanno maggiore probabilità di buone performance rispetto a team con scarsa o nulla presenza femminile. Ma non finisce qui: lo studio sottolinea anche che le società occupanti i primi posti, sia per parità di genere che per diversità etnica, sono performanti il 12% in più rispetto a tutte le altre presenti nella ricerca. "Sebbene nel corso del tempo si siano fatti enormi ed innegabili passi in avanti – sottolinea Joelle Gallesi, managing director della società di ricerca e selezione di personale qualificato Hunters Group –, la strada verso la parità di genere è ancora lunga. Flessibilità, inclusione e attenzione al benessere del personale in azienda sono tra gli elementi imprescindibili per un avanzamento sul tema della gender equality che, paradossalmente, non riguarda solo le donne, bensì afferisce al generale work-life balance dei lavoratori.
Le aziende che hanno nel Team Executive almeno il 30% di donne hanno maggiore probabilità di buone performance
Così come il telelavoro bilancia esigenze di uomini e donne in un’organizzazione familiare più organica, allo stesso modo è necessario ripensare ad una gestione aziendale della genitorialità, che comprenda piani strutturati sia di maternity che di paternity welfare, affinché le cosiddette pari opportunità siano realmente paritarie. Assumere, potenziare e trattenere il talento in azienda è un obiettivo sotteso ad ogni impresa, ma ciò è possibile solo se si attuano strategie di inclusione che puntino a valorizzare e potenziare la competenza, la quale non veste panni rosa o blu. Quando esistono diversità e inclusione, si hanno maggiori possibilità di accedere a un ventaglio di talenti più ampio ed eterogeneo. Ciò garantisce anche l’assunzione di risorse con le competenze, l’esperienza e le conoscenze necessarie per creare team ad alte prestazioni, sia in termini di attività sia di innovazione aziendale".

Verso la parità di genere, ma non solo quando è imposta dalla legge

La Legge 120/2011 (detta anche legge Golfo-Mosca) ha introdotto un obbligo normativo nella composizione dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società quotate in borsa e di quelle partecipate. La normativa aiuta ad accorciare i 150 anni che ci separano dalla parità di genere, però la mera applicazione della norma da parte delle aziende rimane sterile se non c’è una cultura di valorizzazione della diversità all’interno delle imprese stesse. A lavorare proprio in ottica di valorizzazione della diversità c’è la Certificazione UNI/PdR 125:2022, che riguarda la parità di genere nel contesto lavorativo. "Si tratta di una parità di genere che non ha a che fare solo con le quote rosa - continua Gallesi -, ma valuta a 360° tutti gli elementi aziendali. Se giustamente applicata, la certificazione permette di assumere risorse mettendo al centro il valore della competenza e della diversità del singolo". La Prassi di Riferimento, infatti, definisce le linee guida per la strutturazione e adozione di un insieme di indicatori prestazionali (KPI), inerenti le politiche di parità di genere nelle organizzazioni. Inoltre, prevede la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi al genere con l’obiettivo di colmare i gap attualmente esistenti e incorporare il nuovo paradigma relativo alla Gender Equality nel dna, delle organizzazioni, per produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo. Hunters Group è riuscita ad ottenerla il 31 gennaio 2023, confermando i nostri valori aziendali: rispetto, fiducia, passione e competenza. Per averla bisogna dimostrare al certificatore di avere un ambiente inclusivo e di rispettare tutte le sfumature esistenti: viviamo, infatti, in una società eterogenea, dove i confini territoriali sono sempre più labili e dove ogni individuo porta con sé caratteristiche uniche.

Valorizzazione del potenziale e dei risultati della persona

Non bastano le quote rosa a colmare il gender gap, ma serve un riconoscimento e una valorizzazione obiettiva delle potenzialità delle persone, al di là del genere
La certificazione non ha nulla a che fare con il mero raggiungimento delle quote rosa: implica, invece, il riconoscimento e la valorizzazione del potenziale e dei risultati della persona. Non dobbiamo infatti cadere nell’errore di assumere una donna o di farle fare un avanzamento di carriera semplicemente per adempiere a un obbligo di legge, perché non è in questo modo che si migliora la situazione lavorativa, anzi spesso è addirittura controproducente, per la persona e per l’azienda. Nei nostri scambi quotidiani con candidate e imprese di tutto il territorio, di ogni dimensione e settore, abbiamo spesso sentito storie di assunzioni errate e/o di promozioni avvenute al momento non opportuno che hanno generato tensioni, malumori e, nei casi più seri, addirittura burnout. Occorre un vero e proprio cambio di approccio e di mentalità, a livello generale, perché non possiamo pensare che per cambiare le cose sia sufficiente spuntare la casella donne durante un processo di selezione o all’interno di un organigramma aziendale”.
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