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Home » 8 marzo » Violenza di genere: un uomo su due pensa non sia un suo problema

Violenza di genere: un uomo su due pensa non sia un suo problema

I dati shock della ricerca condotta dalla Fondazione Libellula sul punto di vista maschile riguardo alla discriminazione e all'equità

Caterina Ceccuti
7 Marzo 2023
Violenza di genere: il rapporto di Fondazione Libellula

Violenza di genere: il rapporto di Fondazione Libellula

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Sono stati oltre 2mila i lavoratori dipendenti e autonomi intervistati nel corso della ricerca LUI (Lavoro, Uomini, Inclusione), condotta dalla Fondazione Libellula con lo scopo di esplorare il punto di vista maschile sulla discriminazione e l’equità di genere nella vita lavorativa e familiare. Ad emergere, inaspettatamente, sono stati dati shock che la stessa Fondazione definisce “allarmanti sotto diversi aspetti”: il 43% degli intervistati ritiene infatti che la violenza sulle donne sia un fenomeno che non lo riguardi, mentre il 73% dei lavoratori pensa che gli uomini nel proprio contesto professionale abbiano maggiori possibilità di carriera rispetto alle donne. La situazione non sembra migliorare nel contesto della vita familiare e di quello della genitorialità: il 36% dei padri dichiara di non aver mai utilizzato gli strumenti aziendali a disposizione per occuparsi dei figli, come per esempio i congedi parentali.

“I risultati – commenta Annalisa Valsasina, direttrice scientifica di Fondazione Libellula – indicano che l’equità di genere, sia nel contesto professionale sia in quello familiare, è lontana dall’essere raggiunta e che anche il racconto e le esperienze degli uomini rilevano disparità più o meno consapevoli”. Insomma, se è vero che l’altra metà del cielo è sempre più azzurra, in questo caso non è certo una buona notizia. “La survey ‘LUI – Lavoro, Uomini, Inclusione‘ realizzata da Fondazione Libellula – continua Valsasina – ha intervistato oltre 2mila uomini lavoratori, esplorando la percezione e le esperienze del genere maschile rispetto alla discriminazione e all’equità di genere nel mondo professionale e nella vita familiare. I risultati dello studio non sono incoraggianti sulla maggior parte degli aspetti ricercati e viene evidenziata la necessità di un cambiamento culturale e strutturale per garantire maggiori opportunità e rispetto nei confronti delle donne, per poter arrivare a un’equità di genere ampiamente condivisa”.

Annalisa Valsasina, direttrice scientifica di Fondazione Libellula

Dottoressa Valsasina, i dati più preoccupanti della vostra ricerca emergono dalla percezione della violenza di genere…

“Esatto. Sebbene si stia parlando sempre più spesso di questa tematica, mettendola in primo piano sui principali mezzi di comunicazione, sembra che ancora non ne vengano comprese appieno l’importanza e le conseguenze. Il 43% degli uomini coinvolti nella survey, infatti, ha dichiarato di non considerare la violenza sulle donne come un problema che li riguardi direttamente. Allo stesso tempo, il 42% ritiene che quando si parla di violenza contro le donne spesso si colpevolizzino tutti gli uomini indistintamente, come se fosse un problema collettivo senza sfumature. Questi sono numeri che testimoniano una scarsa consapevolezza delle radici culturali della violenza di genere e delle sue diverse sfaccettature quotidiane, che spesso si basano su una concezione di superiorità maschile e su una cultura del controllo e della prevaricazione, spesso normalizzati. Tengo a ricordare che nella survey precedente LEI (Lavoro, Equità, Inclusione) – realizzata lo scorso anno e dedicata alle donne -, oltre un’intervistata su 2 ha dichiarato di essere stata vittima di molestie, discriminazioni o stereotipi sul posto di lavoro, mentre addirittura il 22% di aver avuto contatti fisici indesiderati. Visti questi risultati, è necessario capire come attivare un confronto tra i due generi e individuare le azioni grazie alle quali sia possibile intervenire efficacemente nei diversi contesti per arrivare all’equità superando stereotipi limitanti e promuovere una vera cultura del cambiamento”.

La vostra survey però riporta anche qualche dato incoraggiante…

“Sì, i dati più incoraggianti emergono in merito alla visione del maschile e al superamento di alcuni stereotipi. L’immagine tradizionale del maschio forte, coraggioso e insensibile sembra essere sul viale del tramonto: ben il 95% degli intervistati ritiene che mostrare emozioni e sensibilità non corrisponda a essere poco virili, dimostrando che molti uomini vogliono abbattere la maschera di durezza e insensibilità che spesso la società impone loro. Le recenti immagini di Federer e Nadal in lacrime mano nella mano durante il ritiro dal tennis giocato del campione elvetico, l’abbraccio tra Vialli e Mancini nella vittoria dell’Italia a Euro 2020, restituiscono un’iconografia di uomo aperto a mostrare le sue emozioni. Inoltre, il 70% degli intervistati ritiene che anche gli uomini siano vittime di stereotipi che impattano sul loro benessere e sulla loro libertà, dimostrando che molti uomini sono consapevoli della pressione sociale che viene posta su di loro. Tuttavia, non tutti gli aspetti della visione maschile hanno subito un cambiamento positivo. Il 45% degli intervistati ritiene che molte volte il comportamento di un uomo verso le donne sia motivato da una spinta sessuale e il 54% che sia tipico degli uomini fare battute a sfondo sessuale tra loro e pensare al sesso nelle loro relazioni, suggerendo la presenza di una visione delle donne come oggetto sessuale ancora molto presente e un forte. Inoltre, persiste lo stereotipo secondo cui nella società sono gli uomini a dover mantenere e proteggere la propria famiglia: il 63% degli intervistati sente che come uomo debba proteggere le donne della sua famiglia (partner, figlie, madre, sorelle, ecc.) e il 52% dei padri dichiara che gli capita spesso o sempre di sentirsi totalmente responsabile del benessere economico della famiglia”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Sono stati oltre 2mila i lavoratori dipendenti e autonomi intervistati nel corso della ricerca LUI (Lavoro, Uomini, Inclusione), condotta dalla Fondazione Libellula con lo scopo di esplorare il punto di vista maschile sulla discriminazione e l’equità di genere nella vita lavorativa e familiare. Ad emergere, inaspettatamente, sono stati dati shock che la stessa Fondazione definisce "allarmanti sotto diversi aspetti": il 43% degli intervistati ritiene infatti che la violenza sulle donne sia un fenomeno che non lo riguardi, mentre il 73% dei lavoratori pensa che gli uomini nel proprio contesto professionale abbiano maggiori possibilità di carriera rispetto alle donne. La situazione non sembra migliorare nel contesto della vita familiare e di quello della genitorialità: il 36% dei padri dichiara di non aver mai utilizzato gli strumenti aziendali a disposizione per occuparsi dei figli, come per esempio i congedi parentali. "I risultati - commenta Annalisa Valsasina, direttrice scientifica di Fondazione Libellula - indicano che l’equità di genere, sia nel contesto professionale sia in quello familiare, è lontana dall’essere raggiunta e che anche il racconto e le esperienze degli uomini rilevano disparità più o meno consapevoli". Insomma, se è vero che l’altra metà del cielo è sempre più azzurra, in questo caso non è certo una buona notizia. "La survey 'LUI – Lavoro, Uomini, Inclusione' realizzata da Fondazione Libellula - continua Valsasina - ha intervistato oltre 2mila uomini lavoratori, esplorando la percezione e le esperienze del genere maschile rispetto alla discriminazione e all’equità di genere nel mondo professionale e nella vita familiare. I risultati dello studio non sono incoraggianti sulla maggior parte degli aspetti ricercati e viene evidenziata la necessità di un cambiamento culturale e strutturale per garantire maggiori opportunità e rispetto nei confronti delle donne, per poter arrivare a un'equità di genere ampiamente condivisa".
Annalisa Valsasina, direttrice scientifica di Fondazione Libellula
Dottoressa Valsasina, i dati più preoccupanti della vostra ricerca emergono dalla percezione della violenza di genere... "Esatto. Sebbene si stia parlando sempre più spesso di questa tematica, mettendola in primo piano sui principali mezzi di comunicazione, sembra che ancora non ne vengano comprese appieno l’importanza e le conseguenze. Il 43% degli uomini coinvolti nella survey, infatti, ha dichiarato di non considerare la violenza sulle donne come un problema che li riguardi direttamente. Allo stesso tempo, il 42% ritiene che quando si parla di violenza contro le donne spesso si colpevolizzino tutti gli uomini indistintamente, come se fosse un problema collettivo senza sfumature. Questi sono numeri che testimoniano una scarsa consapevolezza delle radici culturali della violenza di genere e delle sue diverse sfaccettature quotidiane, che spesso si basano su una concezione di superiorità maschile e su una cultura del controllo e della prevaricazione, spesso normalizzati. Tengo a ricordare che nella survey precedente LEI (Lavoro, Equità, Inclusione) - realizzata lo scorso anno e dedicata alle donne -, oltre un’intervistata su 2 ha dichiarato di essere stata vittima di molestie, discriminazioni o stereotipi sul posto di lavoro, mentre addirittura il 22% di aver avuto contatti fisici indesiderati. Visti questi risultati, è necessario capire come attivare un confronto tra i due generi e individuare le azioni grazie alle quali sia possibile intervenire efficacemente nei diversi contesti per arrivare all’equità superando stereotipi limitanti e promuovere una vera cultura del cambiamento".

La vostra survey però riporta anche qualche dato incoraggiante...

“Sì, i dati più incoraggianti emergono in merito alla visione del maschile e al superamento di alcuni stereotipi. L'immagine tradizionale del maschio forte, coraggioso e insensibile sembra essere sul viale del tramonto: ben il 95% degli intervistati ritiene che mostrare emozioni e sensibilità non corrisponda a essere poco virili, dimostrando che molti uomini vogliono abbattere la maschera di durezza e insensibilità che spesso la società impone loro. Le recenti immagini di Federer e Nadal in lacrime mano nella mano durante il ritiro dal tennis giocato del campione elvetico, l’abbraccio tra Vialli e Mancini nella vittoria dell’Italia a Euro 2020, restituiscono un’iconografia di uomo aperto a mostrare le sue emozioni. Inoltre, il 70% degli intervistati ritiene che anche gli uomini siano vittime di stereotipi che impattano sul loro benessere e sulla loro libertà, dimostrando che molti uomini sono consapevoli della pressione sociale che viene posta su di loro. Tuttavia, non tutti gli aspetti della visione maschile hanno subito un cambiamento positivo. Il 45% degli intervistati ritiene che molte volte il comportamento di un uomo verso le donne sia motivato da una spinta sessuale e il 54% che sia tipico degli uomini fare battute a sfondo sessuale tra loro e pensare al sesso nelle loro relazioni, suggerendo la presenza di una visione delle donne come oggetto sessuale ancora molto presente e un forte. Inoltre, persiste lo stereotipo secondo cui nella società sono gli uomini a dover mantenere e proteggere la propria famiglia: il 63% degli intervistati sente che come uomo debba proteggere le donne della sua famiglia (partner, figlie, madre, sorelle, ecc.) e il 52% dei padri dichiara che gli capita spesso o sempre di sentirsi totalmente responsabile del benessere economico della famiglia”.

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