Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » 8 marzo » C’è una giovane donna al Financial Times che vuole cambiare il giornalismo

C’è una giovane donna al Financial Times che vuole cambiare il giornalismo

Virginia Stagni è la più giovane manager dell'antico quotidiano economico: “La finanza non è fatta di uomini bianchi in giacca e cravatta”

Arnaldo Liguori
8 Marzo 2023
Virginia Stagni, classe 1993 e manager del Financial Times

Virginia Stagni, classe 1993 e manager del Financial Times

Share on FacebookShare on Twitter

Ci sono biografie che mostrano come ci siano piccole parti di mondo che, nell’affermazione femminile, vanno nella giusta direzione. La biografia di Virginia Stagni è una di quelle. Classe 1993, si laurea in Bocconi e all’età di 24 anni diventa la più giovane manager del Financial Times.

Le statistiche parlano chiaro: questa biografia è tutt’altro che comune. Primo, perché vede una donna assumere un ruolo dirigenziale in un’azienda giornalistica che ha 130 anni di storia. Secondo, perché questa donna è giovanissima. Terzo, perché dal suo arrivo l’azienda ha cambiato approccio sul tipo di talenti che vuole al proprio interno. La intervisto al telefono perché vive a Londra, la voce è amichevole, il tono è di chi ha le idee piuttosto chiare su tutto. Siamo coetanei e decidiamo di darci del tu.

Virginia Stagni ha studiato alla Bocconi e alla London School of Economics

Virginia, è una giovane donna che – se le statistiche sono vere – siede spesso al tavolo insieme a uomini di mezza età. Questo ha mai rappresentato un problema?
“Le statistiche hanno ragione. mi rapporto in molte occasioni con uomini, spesso bianchi e talvolta anziani. Però la situazione nel Regno Unito è molto diversa da quella che mi aspetto in Italia. Io vivo a Londra e qui non è stato un problema, ma ovviamente molto dipende da chi ti trovi davanti. Però percepisco una certa differenza quando mi trovo a rapportarmi con persone provenienti da Paesi mediterranei, rispetto al mondo anglosassone”.

Le donne sono più istruite e, allo stesso tempo, sono meno pagate e occupano meno ruoli dirigenziali. Qual è il ruolo del giornalista nel formare – perdona la definizione un po’ marxista – una coscienza di classe?
“No anzi, la definizione marxista va benissimo. Il giornalismo in questo svolge un ruolo fondamentale: è importante cambiare la rappresentazione sociale della donna, andando a incidere su pregiudizi e stereotipi, bias a cui sono soggette le donne stesse. Ad esempio, quando i giornalisti interpellano gli esperti dovrebbero parlare più spesso con le donne, dato che in campi come la ricerca sono all’eccellenza. Invece sono profondamente sottorappresentate – pur essendo statisticamente più istruite – e questo alimenta una rappresentazione deformata della società. Un altro esempio: al Financial Times avevamo uno strumento, un bot, che avvertiva la redazione quando la presenza femminile nelle fotografie era troppo bassa. L’economia non è fatta di uomini bianchi in giacca e cravatta. Adottando queste pratiche abbiamo più che triplicato la quota di donne tra i nostri lettori, perché le abbiamo fatte sentire incluse”.

Come spiegare temi complessi in un contesto di sovrabbondanza informativa – che tu hai definito cacofonico – in cui la soglia di attenzione dei lettori è sempre più bassa?
“La questione è centrale. La mia ricetta si basa su tre cose. Primo, è fondamentale pensare per generi, anche per nicchie, senza la pretesa di raggiungere tutto il pubblico. È sempre più difficile essere generalisti, meglio crearsi un pubblico selezionato, interessato a quello che hai da dire. Ogni utente è diverso, le donne ad esempio, pur essendo il pubblico che ha poco tempo libero, eppure preferiscono i long read. Seconda cosa, bisogna usare formati e mezzi diversi. Prendiamo una giornata tipo: la tua lettrice magari si sveglia con un podcast che in sette minuti spiega le breaking news, poi vorrà leggere un approfondimento su un argomento specifico, ricco di infografiche e immersivo, e trovarlo poi declinato sui social media nei quali può interagire. In questo modo, attraverso media e generi diversi, si può sopravvivere anche in un ambiente in cui la soglia di attenzione dura pochi secondi”.

E qui chiudo, cosa ne pensa del giornalismo su TikTok?
“È un mezzo che può funzionare a patto che sia un aggancio per offrire qualità, per offrire un prodotto di qualità. Di sicuro aiuto a raggiungere ad aumentare il numero di lettori giovani: persone che senza TikTok magari non conoscerebbero mai il tuo giornale. Dal social media, poi, possono conoscere e apprezzare il tuo sito, i tuoi canali e il tuo messaggio”.

Potrebbe interessarti anche

Aura Eternal
Spettacolo

Bologna capitale delle drag queen. C’è anche Vanessa Van Cartier

25 Marzo 2023
Maria Bellucci (Instagram)
Lifestyle

Sesso online, un libro-inchiesta sul lato oscuro (e piccante) del web

22 Marzo 2023
GionnyScandal con mamma Rita e papà Antonio (fonte Instagram)
Attualità

GionnyScandal: il cantante ritrova i genitori biologici dopo 30 anni

22 Marzo 2023

Instagram

  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Ci sono biografie che mostrano come ci siano piccole parti di mondo che, nell'affermazione femminile, vanno nella giusta direzione. La biografia di Virginia Stagni è una di quelle. Classe 1993, si laurea in Bocconi e all’età di 24 anni diventa la più giovane manager del Financial Times. Le statistiche parlano chiaro: questa biografia è tutt’altro che comune. Primo, perché vede una donna assumere un ruolo dirigenziale in un’azienda giornalistica che ha 130 anni di storia. Secondo, perché questa donna è giovanissima. Terzo, perché dal suo arrivo l’azienda ha cambiato approccio sul tipo di talenti che vuole al proprio interno. La intervisto al telefono perché vive a Londra, la voce è amichevole, il tono è di chi ha le idee piuttosto chiare su tutto. Siamo coetanei e decidiamo di darci del tu.
Virginia Stagni ha studiato alla Bocconi e alla London School of Economics
Virginia, è una giovane donna che – se le statistiche sono vere – siede spesso al tavolo insieme a uomini di mezza età. Questo ha mai rappresentato un problema? "Le statistiche hanno ragione. mi rapporto in molte occasioni con uomini, spesso bianchi e talvolta anziani. Però la situazione nel Regno Unito è molto diversa da quella che mi aspetto in Italia. Io vivo a Londra e qui non è stato un problema, ma ovviamente molto dipende da chi ti trovi davanti. Però percepisco una certa differenza quando mi trovo a rapportarmi con persone provenienti da Paesi mediterranei, rispetto al mondo anglosassone". Le donne sono più istruite e, allo stesso tempo, sono meno pagate e occupano meno ruoli dirigenziali. Qual è il ruolo del giornalista nel formare – perdona la definizione un po’ marxista – una coscienza di classe? "No anzi, la definizione marxista va benissimo. Il giornalismo in questo svolge un ruolo fondamentale: è importante cambiare la rappresentazione sociale della donna, andando a incidere su pregiudizi e stereotipi, bias a cui sono soggette le donne stesse. Ad esempio, quando i giornalisti interpellano gli esperti dovrebbero parlare più spesso con le donne, dato che in campi come la ricerca sono all'eccellenza. Invece sono profondamente sottorappresentate – pur essendo statisticamente più istruite – e questo alimenta una rappresentazione deformata della società. Un altro esempio: al Financial Times avevamo uno strumento, un bot, che avvertiva la redazione quando la presenza femminile nelle fotografie era troppo bassa. L’economia non è fatta di uomini bianchi in giacca e cravatta. Adottando queste pratiche abbiamo più che triplicato la quota di donne tra i nostri lettori, perché le abbiamo fatte sentire incluse". Come spiegare temi complessi in un contesto di sovrabbondanza informativa – che tu hai definito cacofonico – in cui la soglia di attenzione dei lettori è sempre più bassa? "La questione è centrale. La mia ricetta si basa su tre cose. Primo, è fondamentale pensare per generi, anche per nicchie, senza la pretesa di raggiungere tutto il pubblico. È sempre più difficile essere generalisti, meglio crearsi un pubblico selezionato, interessato a quello che hai da dire. Ogni utente è diverso, le donne ad esempio, pur essendo il pubblico che ha poco tempo libero, eppure preferiscono i long read. Seconda cosa, bisogna usare formati e mezzi diversi. Prendiamo una giornata tipo: la tua lettrice magari si sveglia con un podcast che in sette minuti spiega le breaking news, poi vorrà leggere un approfondimento su un argomento specifico, ricco di infografiche e immersivo, e trovarlo poi declinato sui social media nei quali può interagire. In questo modo, attraverso media e generi diversi, si può sopravvivere anche in un ambiente in cui la soglia di attenzione dura pochi secondi". E qui chiudo, cosa ne pensa del giornalismo su TikTok? "È un mezzo che può funzionare a patto che sia un aggancio per offrire qualità, per offrire un prodotto di qualità. Di sicuro aiuto a raggiungere ad aumentare il numero di lettori giovani: persone che senza TikTok magari non conoscerebbero mai il tuo giornale. Dal social media, poi, possono conoscere e apprezzare il tuo sito, i tuoi canali e il tuo messaggio".
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • 8 marzo

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2023 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto