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Home » Attualità » Storie di ordinario sfruttamento: “Quattrordici ore di lavoro in fabbrica e paghe da fame”

Storie di ordinario sfruttamento: “Quattrordici ore di lavoro in fabbrica e paghe da fame”

La denuncia del parroco gestore del centro di accoglienza di Vicofaro (Pistoia) che da anni ospita immigrati provenienti dall’Africa: "Vittime del sistema del pronto moda cinese radicato a Prato"

Francesco Bocchini
8 Gennaio 2022
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“Attualmente, dei 130/140 ospiti che abbiamo, la stragrande maggioranza è stata risucchiata dal sistema del pronto moda cinese che c’è a Prato. D’altronde parliamo di ragazzi immigrati che, per riuscire a guadagnare qualcosa, sono disposti a tutto.

l centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa

Anche ad accettare le tremende condizioni in cui sono costretti a lavorare, senza che sporgano denuncia”. L’area del Macrolotto di Prato, quartiere adiacente al centro storico della città toscana con una spiccata identità legata alla presenza di molti cittadini di origine cinese e di numerose attività commerciali e di pronto moda, torna nell’occhio del ciclone. La denuncia di sfruttamento nei confronti dei lavoratori arriva da parte di don Massimo Biancalani, parroco noto alle cronache locali, in quanto gestore del centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa.

Don Massimo Biancalani, parroco e gestore del centro di accoglienza di Vicofaro, a Pistoia
Don Massimo Biancalani, parroco e gestore del centro di accoglienza di Vicofaro, a Pistoia

Troppe ore di lavoro (“12 al giorno almeno, ma spesso e volentieri anche 14“), ritmi forsennati intervallati da una pausa pranzo di mezz’ora massimo e paghe decisamente basse: questi i problemi più impellenti segnalati. “Le storie da raccontare sarebbero tante. Ma questi ragazzi hanno paura. Hanno una famiglia da aiutare nei loro paesi d’origine e al contempo vogliono provare a migliorare la loro vita – sottolinea don Biancalani – Per cui sanno che un’eventuale denuncia alle autorità comporterebbe per loro perdere quell’occupazione e restare senza soldi. Qualcuno ha avuto il coraggio di compiere questo passo, ma sono in pochi. Gli altri si fanno andare bene le pause con i minuti contati, il fatto di partire presto la mattina e di tornare tardi la sera perché magari sono stati in fabbrica 14 ore, e tutto il resto. È a tutti gli effetti un sistema di sfruttamento, dato che vengono pure pagati pochissimo, spesso a nero“.

Ascoltate le testimonianze degli ospiti della sua parrocchia, don Biancalani ha provato a spendersi in prima persona per difendere i diritti dei ragazzi. O quantomeno per far presente ai vari sindacati le condizioni che devono fronteggiare.

“Innanzitutto ricordiamo a ognuno che ha sempre la possibilità e il dovere di denunciare, ma loro ci ribadiscono che è fondamentale avere una fonte di guadagno a fine mese. Abbiamo dei contatti con dei sindacati, soprattutto i Cobas e l’Usb, che sono quelli più sensibili. Ogni tanto capita che vengano mossi veri e propri passi ufficiali, come accaduto due anni fa, anche se in quel caso l’episodio non aveva a che fare direttamente con il Macrolotto“.

l centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa
l centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa

Oltre alla questione sfruttamento, per i ragazzi del centro di Vicofaro c’è anche un altro grosso grattacapo: l’integrazione in un paese diametralmente diverso rispetto a quello d’origine. “Peraltro, alcuni che arrivano hanno handicap fisici, sono sprovvisti della conoscenza dell’italiano o hanno un bassissimo grado di alfabetizzazione. Per loro purtroppo è ancora più dura. E bisogna considerare che, già a cose normali, per un giovane africano che viene da lontano integrarsi nelle dinamiche del nostro Paese è complicato. Comunque, Vicofaro – continua il parroco – appresenta una sorta di porto sicuro nel mare in tempesta per tutti questi ragazzi.

C’è un continuo via vai. I 130 che ci sono adesso non sono i soliti che avevamo all’inizio del 2021. Certo, una base è fissa, ma moltissimi ci salutano, poi per qualche mese non li vediamo perché cercano lavoro anche in altre zone d’Italia e poi tornano poiché non ce l’hanno fatta“. L’augurio per il nuovo anno è piuttosto scontato. “Spero che i ragazzi possano trovare la loro strada, con un lavoro stabile e una casa. Vogliono tutti una vita più decorosa, con più tranquillità, e credo che sia una pretesa normalissima“.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

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"Attualmente, dei 130/140 ospiti che abbiamo, la stragrande maggioranza è stata risucchiata dal sistema del pronto moda cinese che c’è a Prato. D’altronde parliamo di ragazzi immigrati che, per riuscire a guadagnare qualcosa, sono disposti a tutto.
l centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa
Anche ad accettare le tremende condizioni in cui sono costretti a lavorare, senza che sporgano denuncia". L’area del Macrolotto di Prato, quartiere adiacente al centro storico della città toscana con una spiccata identità legata alla presenza di molti cittadini di origine cinese e di numerose attività commerciali e di pronto moda, torna nell’occhio del ciclone. La denuncia di sfruttamento nei confronti dei lavoratori arriva da parte di don Massimo Biancalani, parroco noto alle cronache locali, in quanto gestore del centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa.
Don Massimo Biancalani, parroco e gestore del centro di accoglienza di Vicofaro, a Pistoia
Don Massimo Biancalani, parroco e gestore del centro di accoglienza di Vicofaro, a Pistoia
Troppe ore di lavoro (“12 al giorno almeno, ma spesso e volentieri anche 14“), ritmi forsennati intervallati da una pausa pranzo di mezz’ora massimo e paghe decisamente basse: questi i problemi più impellenti segnalati. “Le storie da raccontare sarebbero tante. Ma questi ragazzi hanno paura. Hanno una famiglia da aiutare nei loro paesi d’origine e al contempo vogliono provare a migliorare la loro vita - sottolinea don Biancalani - Per cui sanno che un’eventuale denuncia alle autorità comporterebbe per loro perdere quell’occupazione e restare senza soldi. Qualcuno ha avuto il coraggio di compiere questo passo, ma sono in pochi. Gli altri si fanno andare bene le pause con i minuti contati, il fatto di partire presto la mattina e di tornare tardi la sera perché magari sono stati in fabbrica 14 ore, e tutto il resto. È a tutti gli effetti un sistema di sfruttamento, dato che vengono pure pagati pochissimo, spesso a nero". Ascoltate le testimonianze degli ospiti della sua parrocchia, don Biancalani ha provato a spendersi in prima persona per difendere i diritti dei ragazzi. O quantomeno per far presente ai vari sindacati le condizioni che devono fronteggiare. “Innanzitutto ricordiamo a ognuno che ha sempre la possibilità e il dovere di denunciare, ma loro ci ribadiscono che è fondamentale avere una fonte di guadagno a fine mese. Abbiamo dei contatti con dei sindacati, soprattutto i Cobas e l’Usb, che sono quelli più sensibili. Ogni tanto capita che vengano mossi veri e propri passi ufficiali, come accaduto due anni fa, anche se in quel caso l’episodio non aveva a che fare direttamente con il Macrolotto".
l centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa
l centro di accoglienza di Vicofaro a Pistoia, che da anni ormai ospita immigrati provenienti quasi tutti dall’Africa
Oltre alla questione sfruttamento, per i ragazzi del centro di Vicofaro c’è anche un altro grosso grattacapo: l’integrazione in un paese diametralmente diverso rispetto a quello d’origine. “Peraltro, alcuni che arrivano hanno handicap fisici, sono sprovvisti della conoscenza dell’italiano o hanno un bassissimo grado di alfabetizzazione. Per loro purtroppo è ancora più dura. E bisogna considerare che, già a cose normali, per un giovane africano che viene da lontano integrarsi nelle dinamiche del nostro Paese è complicato. Comunque, Vicofaro - continua il parroco - appresenta una sorta di porto sicuro nel mare in tempesta per tutti questi ragazzi. C’è un continuo via vai. I 130 che ci sono adesso non sono i soliti che avevamo all’inizio del 2021. Certo, una base è fissa, ma moltissimi ci salutano, poi per qualche mese non li vediamo perché cercano lavoro anche in altre zone d’Italia e poi tornano poiché non ce l’hanno fatta“. L’augurio per il nuovo anno è piuttosto scontato. “Spero che i ragazzi possano trovare la loro strada, con un lavoro stabile e una casa. Vogliono tutti una vita più decorosa, con più tranquillità, e credo che sia una pretesa normalissima“.
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