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Home » Attualità » Aborto, negli Usa diritto negato ma in Italia le cose non vanno poi tanto meglio

Aborto, negli Usa diritto negato ma in Italia le cose non vanno poi tanto meglio

Se la Corte Suprema statunitense ha sancito la sorte di milioni di donne, anche nel Nostro Paese l'obiezione di coscienza mette in pericolo un diritto conquistato col sangue

Marianna Grazi
27 Giugno 2022
Legge 194

La legge 194/78 regola le interruzioni volontarie di gravidanza in Italia

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La decisione della Corte suprema americana di abolire il diritto all’aborto come principio costituzionale ha scatenato una vera e propria ondata di terrore anche al di fuori dei confini Usa. Una scelta che ha immediatamente sancito una sorta di condanna per milioni di donne in America (erano passate pochissime ore dalla sentenza e in Texas e Missouri l’aborto è diventato illegale, vi basti questo) ma che ha fatto indignare anche cittadini e cittadine di altri Paesi, non ultimi quelli italiani. E se c’è chi esulta per la “Volontà di Dio” che è stata fatta – parole dell’ex presidente Trump –, come il senatore leghista Pillon, la situazione dell’aborto in Italia non è affatto rassicurante, pur essendoci in teoria una legge chiara che lo tutela.

La 194 non basta più

ABORTO: LEGGE 194
Manifestazione a favore della legge 194 a Roma, in una immagine di archivio (ANSA)

Ovviamente, come in questi anni abbiamo scoperto a nostre spese, la sola 194 non basta più. La legge del ’78, che 44 anni fa era La Rivoluzione ma oggi appare necessariamente da rivedere, punta infatti a promuove la natalità (e visto l’inverno demografico vissuto dall’Italia oggi non è poi così foriera) garantendo allo stesso tempo la – più che legittima– libertà di scelta e l’autodeterminazione. La 194 prevede infatti che ogni donna può abortire entro i primi 90 giorni (12 settimane) di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari e che, quindi, dipendono dalla volontà della persona stessa. Ma se la regola c’è, come sempre accade, c’è anche l’eccezione. Che nel nostro Paese si traduce in una estrema difficoltà ad accedere alla procedura.

I “Mai Dati!” dell’aborto in Italia

Cala, seppur di poco il numero di obiettori di coscienza, ma sale quello dell”obiezione di struttura’

Il numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia continua a scendere ed i tassi di abortività sono tra i più bassi al mondo. Qualche settimana fa il Ministero della Salute ha pubblicato l’ultima relazione sul tema, relativa all’anno 2020. Gli aborti in quell’anno in Italia sono stati 66.413, il 9,3% in meno rispetto al 2019 (73mila) e circa un quarto rispetto al picco massimo di 234mila registrato nel 1983. Secondo i dati ci sono 5,4 interruzioni ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni (-6,7% rispetto al 2019). La fascia di età in cui si registrano tassi più elevati è quella compresa tra i 30 e i 34 anni (9,4 per mille). Sono invece le ragazze più giovani, al di sotto dei 20 anni, quelle in cui si è registrato il calo più importante: -18,3%, con un tasso di abortività passato dal 3,7 per mille del 2019 al 3 per mille del 2020. Ma cala, seppur lievemente, anche la quota di ginecologi obiettori: nel 2020 erano il 64,6% rispetto al 67% dell’anno precedente.

Ma se si guarda all’indagine “Mai Dati!”condotta su oltre 180 strutture dalla professoressa Chiara Lalli e da Sonia Montegiove, informatica e giornalista, pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni in occasione dei 44 anni dall’entrata in vigore della 194, il quadro che emerge è drammatico: sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie nazionali con il 100% di personale sanitario obiettore, tra ginecologi, anestesisti, infermieri e OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

Dati che si ritrovano anche nella relazione ministeriale. Basta vedere le ampie differenze regionali in materia di obiezione di coscienza dei medici e personale sanitario: nella provincia autonoma di Bolzano esercita il diritto all’obiezione l’84,5% dei ginecologi, in Abruzzo l’83,8%, in Molise l’82,8%, in Sicilia l’81,6%, in Basilicata l’81,4%. I minori tassi di obiezione tra i ginecologi si riscontrano in Valle d’Aosta (25%).

Non solo negli Usa, dunque. Anche in Italia l’accesso all’aborto, soprattutto in alcune zone ma la tendenza è in espansione, è una chimera. E se anche una flebile speranza arriva dall’aborto farmacologico (il 36,5% di tutti le igv), grazie al boom dell’utilizzo della pillola Ru486, la realtà dimostra che l’uso sempre più crescente del medicinale è andato di pari passo con una diminuzione delle interruzioni di gravidanza in ospedale. Insomma il diritto che vede restringersi i propri confini da un lato fa ancora fatica ad espandersi dall’altro. A rimetterci, come sempre, sono però le persone, le donne.

La lettera di Gaia Nanni

Gaia Nanni
L’attrice Gaia Nanni racconta su Facebook la sua storia di aborto

“Io sono di Firenze e abortire a Firenze non è stato per nulla facile. Sì, lo so. Avrei potuto scegliere un inizio più romanzato e farvi entrare piano piano in una trama con un lieve parapendìo su ‘Cavolo, ma sembra che anche lei allora. Sembra, leggendo tra le righe, che sia capitato a lei oppure ad una sua amica’. Niente smancerie. Ci entrate dentro come ci sono entrata io: senza nessuna formalità”. Si apre con queste parole che sono una dichiarazione di intenti la lettera aperta dell’attrice Gaia Nanni, classe 1981, che su Facebook racconta la sua esperienza di interruzione di gravidanza. Fatta nella liberale Firenze, che poi, tanto progressista non lo è, evidentemente.

“La brava ginecologa che mi seguiva da una vita era obiettore – racconta l’artista sui social – nulla può fare per me che non avesse offeso nostro Signore quindi entro nell’iter del ‘troviamo qualcuno che metta una firma e attesti che effettivamente io voglia davvero interrompere la mia gravidanza'”. Nanni, nel doloroso racconto, spiega che allora era solo “una donna che voleva mettere fine alla sua gravidanza ma la sua firma a nulla serviva“: non era minorenne, non era straniera, ma a nulla sembrava servire l’esprimere una sua libera e legittima volontà. “Faccio più incontri con una psicologa ed una assistente sociale che alla fine della prima seduta mi dice ‘vede, lei è emotivamente scossa. Piange. Non siamo sicure che lo voglia davvero. Rifissiamo un altro appuntamento’. E passano i giorni. Che sembrano mesi. Le settimane, anni”, aggiunge.
Dopo la firma, tanto attesa, che attesta la gravidanza in corso, c’è la visita dal ginecologo, il quale “Non mi guarda in faccia. Non parla con me – spiega l’attrice –. Si gira verso la specializzanda e dice mentre mi visita: ‘QUESTA ha l’utero retroverso’“.

Da lì in poi QUELLA inizia il suo iter verso l’aborto, trovandosi in mezzo a partorienti e donne che, dopo la quarta gravidanza, volendo farsi chiudere le tube, devono chiedere il permesso al marito. Che, non essendo presente, non può darlo. E quindi le tube restano integre.
“Mi chiedo se serva ancora oggi la firma di qualcun altro che ci dica cosa possiamo fare del nostro corpo e della nostra vita” scrive Gaia Nanni, che poi puntualizza: “Il dolore di quello che è stato non ve lo racconto, l’unico balsamo sarebbe non farci passare nessuna altra donna da quell’iter disumano”.”Oggi che tutti ci indigniamo – giustamente – per la mostruosa sentenza della Corte suprema Usa sull’aborto, ho voluto raccontarvi questa storia. La mia storia. Perché ancora una volta, non si tratta solo di me e perché rendere difficile l’applicazione di un diritto equivale a negarlo”.

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
La decisione della Corte suprema americana di abolire il diritto all'aborto come principio costituzionale ha scatenato una vera e propria ondata di terrore anche al di fuori dei confini Usa. Una scelta che ha immediatamente sancito una sorta di condanna per milioni di donne in America (erano passate pochissime ore dalla sentenza e in Texas e Missouri l'aborto è diventato illegale, vi basti questo) ma che ha fatto indignare anche cittadini e cittadine di altri Paesi, non ultimi quelli italiani. E se c'è chi esulta per la "Volontà di Dio" che è stata fatta – parole dell'ex presidente Trump –, come il senatore leghista Pillon, la situazione dell'aborto in Italia non è affatto rassicurante, pur essendoci in teoria una legge chiara che lo tutela.

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Manifestazione a favore della legge 194 a Roma, in una immagine di archivio (ANSA)
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La lettera di Gaia Nanni

Gaia Nanni
L'attrice Gaia Nanni racconta su Facebook la sua storia di aborto
"Io sono di Firenze e abortire a Firenze non è stato per nulla facile. Sì, lo so. Avrei potuto scegliere un inizio più romanzato e farvi entrare piano piano in una trama con un lieve parapendìo su 'Cavolo, ma sembra che anche lei allora. Sembra, leggendo tra le righe, che sia capitato a lei oppure ad una sua amica'. Niente smancerie. Ci entrate dentro come ci sono entrata io: senza nessuna formalità". Si apre con queste parole che sono una dichiarazione di intenti la lettera aperta dell'attrice Gaia Nanni, classe 1981, che su Facebook racconta la sua esperienza di interruzione di gravidanza. Fatta nella liberale Firenze, che poi, tanto progressista non lo è, evidentemente. "La brava ginecologa che mi seguiva da una vita era obiettore – racconta l'artista sui social – nulla può fare per me che non avesse offeso nostro Signore quindi entro nell'iter del 'troviamo qualcuno che metta una firma e attesti che effettivamente io voglia davvero interrompere la mia gravidanza'". Nanni, nel doloroso racconto, spiega che allora era solo "una donna che voleva mettere fine alla sua gravidanza ma la sua firma a nulla serviva": non era minorenne, non era straniera, ma a nulla sembrava servire l'esprimere una sua libera e legittima volontà. "Faccio più incontri con una psicologa ed una assistente sociale che alla fine della prima seduta mi dice 'vede, lei è emotivamente scossa. Piange. Non siamo sicure che lo voglia davvero. Rifissiamo un altro appuntamento'. E passano i giorni. Che sembrano mesi. Le settimane, anni", aggiunge. Dopo la firma, tanto attesa, che attesta la gravidanza in corso, c'è la visita dal ginecologo, il quale "Non mi guarda in faccia. Non parla con me – spiega l'attrice –. Si gira verso la specializzanda e dice mentre mi visita: 'QUESTA ha l'utero retroverso'". Da lì in poi QUELLA inizia il suo iter verso l'aborto, trovandosi in mezzo a partorienti e donne che, dopo la quarta gravidanza, volendo farsi chiudere le tube, devono chiedere il permesso al marito. Che, non essendo presente, non può darlo. E quindi le tube restano integre. "Mi chiedo se serva ancora oggi la firma di qualcun altro che ci dica cosa possiamo fare del nostro corpo e della nostra vita" scrive Gaia Nanni, che poi puntualizza: "Il dolore di quello che è stato non ve lo racconto, l'unico balsamo sarebbe non farci passare nessuna altra donna da quell'iter disumano"."Oggi che tutti ci indigniamo - giustamente - per la mostruosa sentenza della Corte suprema Usa sull’aborto, ho voluto raccontarvi questa storia. La mia storia. Perché ancora una volta, non si tratta solo di me e perché rendere difficile l'applicazione di un diritto equivale a negarlo".
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