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Home » Attualità » Donne pakistane sfigurate con l’acido: “Con la ricostruzione del volto le aiutiamo a sopravvivere”

Donne pakistane sfigurate con l’acido: “Con la ricostruzione del volto le aiutiamo a sopravvivere”

Francesco Ruffa è il medico fiorentino impegnato nella gestione chirurgica di ustioni, ferite e cicatrici: "Non dimenticherò mai la 28enne che ha perso le palpebre, un occhio e i muscoli delle labbra. Aveva i denti completamente esposti"

Giovanni Spano
22 Dicembre 2022
Il dottor Francesco Ruffa e la collega Gabriela Vasilescu

Il dottor Francesco Ruffa e la collega Gabriela Vasilescu

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Adan e le altre, le donne pakistane orrendamente deturpate dagli acidi che le gettano in faccia, addosso, mariti, spasimanti respinti, promessi sposi di matrimoni combinati. Oppure anche i familiari che si considerano ’disonorati’ perché quelle donne hanno scelto di non obbedire. Perché non si sono sottomesse. E’ di questi giorni peraltro la notizia dell’apertura – anche in Italia, a Brescia – del processo per l’omicidio di Sana Cheema, uccisa nel 2018 in Pakistan (secondo l’accusa dal padre e dal fratello) per il rifiuto di prestarsi a un matrimonio combinato. La ragazza fu soppressa nella patria d’origine: in Pakistan assolti tutti gli imputati, in Italia è stato aperto un nuovo processo.

Suicida Fakhra Younas, sfigurata con l’acido dal marito
Si è suicidata  Fakhra Younas, la donna pakistana sfigurata, più di dieci anni fa, con l’acido dal marito

“Il getto dell’acido, o anche peggio, come monito come punizione. E’ il dramma di una cultura ancestrale. Adan e le altre che presentano cicatrici deturpanti croniche hanno in genere dai ventidue anni in su. Noi gestiamo le ferite cicatrici. Ma le nostre cure non sono risolutive. E’ bene precisarlo subito. Tendono a mitigare gli aspetti disfuzionali” dice Francesco Ruffa, 59 anni, medico fiorentino, già medico di Careggi (“ormai vent’anni fa”). Ora fa la libera professione, “ma collaboro anche con l’Asl”.

Il medico è impegnato Mi ha colpito molto un altro caso, quello di una 28enne che aveva perso le palpebre, un occhio, parte del naso, la cute del collo, i muscoli delle labbra. Aveva i denti completamente esposti. E’ andato in Pakistan alcune volte (“con la pandemia ci sono stati più problemi ovviamente» e sono invece almeno cinque le donne dello stato dell’Asia meridionale (e quinto Paese più popoloso nel mondo) venute a Firenze per sottoporsi agli interventi e ospitate per una quindicina di giorni.  “Lavoriamo con un’associazione in contatto con altre associazioni internazionali. A Firenze in particolare collaboriamo con una struttura di chirurgia, il Victoria Medical Center di via Scipione Ammirato.

In che cosa consistono i vostri interventi?

Il dottor Francesco Ruffa e la collega Gabriela Vasilescu
Il dottor Francesco Ruffa e la collega Gabriela Vasilescu

“Sono interventi di ricostruzione, tesi a restituire la funzionalità a varie parti del corpo, a mitigare gli aspetti disfunzionali. Alcune donne hanno cicatrici sul volto, su un braccio, sulle ginocchia. L’addome. Queste donne devono la sopravvivenza alle mille plastiche cui sono sottoposte. Che però fanno perdere funzionalità agli organi. Prendiamo a esempio l’addome: per via delle lesioni e dei successivi interventi, non si distende più. Queste donne non possono più avere gravidanze. Mi ha colpito molto un altro caso, quello di una 28enne che aveva perso le palpebre, un occhio, parte del naso, la cute del collo, i muscoli delle labbra. Aveva i denti completamente esposti. Noi abbiamo lavorato, nel suo caso come negli altri, per ripristinare la deglutizione, la masticazione”.

L’esperienza in Pakistan?

“Il Paese è grande, ma per via di certe infrastrutture operiamo in condizioni da campo: c’è un team di colleghi anche di altre province”.

Gabriela Vasilescu e il dottor Francesco Ruffa (fonte Facebook)
La dottoressa Gabriela Vasilescu e il dottor Francesco Ruffa (fonte Facebook)

Parla sempre al plurale, il dottor Ruffa. Sente molto il lavoro di squadra, unica condizione unica per migliorare la vita di queste donne violentate. Con lui collabora la collega Gabriela Vasilescu, 44 anni, romena, “medico che in Bangladesh e nello stesso Pakistan ha lavorato anche come unità di strada, i gruppi di volontari che vanno ad aiutare le persone più povere nei luoghi dove trovano ricovero per la notte, a progettare per loro un percorso di recupero” sottolinea Ruffa.

Dottore, lei ha già una discretamente lunga esperienza in questo campo d’intervento. C’è un dopo, un dopo un po’ più accettabile per queste vittime di abusi e prevaricazioni?

Il medico non si nasconde: “Sono condannate a sopravvivere. E all’inibizione sociale”.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

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Adan e le altre, le donne pakistane orrendamente deturpate dagli acidi che le gettano in faccia, addosso, mariti, spasimanti respinti, promessi sposi di matrimoni combinati. Oppure anche i familiari che si considerano ’disonorati’ perché quelle donne hanno scelto di non obbedire. Perché non si sono sottomesse. E’ di questi giorni peraltro la notizia dell’apertura – anche in Italia, a Brescia – del processo per l’omicidio di Sana Cheema, uccisa nel 2018 in Pakistan (secondo l’accusa dal padre e dal fratello) per il rifiuto di prestarsi a un matrimonio combinato. La ragazza fu soppressa nella patria d’origine: in Pakistan assolti tutti gli imputati, in Italia è stato aperto un nuovo processo.
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Il dottor Francesco Ruffa e la collega Gabriela Vasilescu
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Gabriela Vasilescu e il dottor Francesco Ruffa (fonte Facebook)
La dottoressa Gabriela Vasilescu e il dottor Francesco Ruffa (fonte Facebook)
Parla sempre al plurale, il dottor Ruffa. Sente molto il lavoro di squadra, unica condizione unica per migliorare la vita di queste donne violentate. Con lui collabora la collega Gabriela Vasilescu, 44 anni, romena, "medico che in Bangladesh e nello stesso Pakistan ha lavorato anche come unità di strada, i gruppi di volontari che vanno ad aiutare le persone più povere nei luoghi dove trovano ricovero per la notte, a progettare per loro un percorso di recupero" sottolinea Ruffa. Dottore, lei ha già una discretamente lunga esperienza in questo campo d’intervento. C’è un dopo, un dopo un po’ più accettabile per queste vittime di abusi e prevaricazioni? Il medico non si nasconde: "Sono condannate a sopravvivere. E all’inibizione sociale".
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