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Home » Attualità » Addio a Monica Vitti, la donna che seppe tener testa ai “grandi maschi” della commedia italiana

Addio a Monica Vitti, la donna che seppe tener testa ai “grandi maschi” della commedia italiana

Si è spenta a 90 anni dopo una lunga malattia simile all'Alzheimer. Da vent'anni lontana dalle scene, la sua verve e la sua duttilità la resero la paladina del cinema al femminile, capace di diventare una vera diva internazionale

Marianna Grazi
2 Febbraio 2022
Monica Vitti

Monica Vitti in un'immagine della mostra ''Fuori dal Set'' allestita al Museo del Cinama, Torino, 7 giugno 2012. ANSA / UFFICIO STAMPA MOSTRA ''FUORI DAL SET'' +++NO SALES - EDITORIAL USE ONLY+++ +++DA USARE SOLO CON NOTIZIE RELATIVE ALLA MOSTRA ''FUORI DAL SET''+++

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È morta a 90 anni Monica Vitti. L’attrice se n’è andata in silenzio, quel silenzio che ormai da decenni accompagnava la sua vita a causa di gravi problemi di salute che l’aveva portata via dalla scena pubblica già nei primi anni Duemila. Un silenzio innaturale se paragonato a quel dono di comunicabilità che per anni l’aveva resa la diva per eccellenza del cinema italiano, la donna di successo in un mondo di uomini. A darne l’annuncio è stato Walter Veltroni via twitter: ”Roberto Russo, il suo compagno di questi anni, mi chiede di comunicare che Monica Vitti non c’è più. Lo faccio con grande dolore, affetto, rimpianto”. Al secolo Maria Luisa Ceciarelli, Monica Vitti era nata a Roma il 3 novembre del 1931. Attrice icona del cinema italiano, era assente dalle scene dal 2002, quando nel marzo era apparsa per l’ultima volta in pubblico alla prima teatrale italiana di Notre-Dame de Paris. L’anno prima, in una delle ultime uscite, era stata ricevuta al Quirinale per i David di Donatello.

Monica Vitti, al secolo Maria Luisa Ceciarelli

Gli esordi e la scelta del nome

Talento e bellezza in lei si erano fusi a creare un’attrice che aveva fatto di versatilità e precisione i suoi cavalli di battaglia. Artista totale, musa di Michelangelo Antonioni, regina della commedia all’italiana al fianco di Alberto Sordi, Vitti è stata un’icona del cinema italiano per quasi 40 anni. Cresciuta in Sicilia prima della guerra, Maria Luisa Ceciarelli si era innamorata della recitazione fin dall’adolescenza, quando per  distrarre i fratelli dagli orrori delle bombe negli ultimi anni di guerra si cimentava in piccoli spettacoli casalinghi. Dopo il diploma all’Accademia d’arte drammatica nel 1953, sotto la guida di Silvio d’Amico e con un maestro d’eccezione come Sergio Tofano, scelse di darsi un nome d’arte con cui rimpiazzare il nomignolo “Setti vistini“, che le avevano affibbiato amici e familiari per la sua capacità di cambiarsi in fretta e furia come un personaggio di Fregoli. Ma la duttilità non è propria solo della persona, ma anche dell’attrice: dai grandi ruoli drammatici portando sul palcoscenico Shakespeare, Molière o La nemica di Nicodemi (con cui conquista il pubblico) riesce a stupire e a convincere grazie alla verve istrionica che tira fuori nella serie di commedie ispirate al personaggio del Signor Bonaventura, allora popolarissimo eroe dei fumetti.
Il nome scelto, Monica Vitti appunto, le ricorda la madre (Adele Vittiglia) che lei amava profondamente. Un nome che “suona bene” e non va ancora di moda.

Il debutto al cinema

Monica Vitti in una foto di scena (Ansa)

Due anni dopo il diploma arriva l’esordio sul grande schermo, quando debutta al cinema con un piccolo ruolo nell’Adriana Lecouvreur di Guido Salvini a fianco di veri mostri sacri come Valentina Cortese, Gabriele Ferzetti e Memo Benassi. Ma la vera prova del fuoco, superata brillantemente, arriverà 5 anni dopo: diventa infatti la silenziosa musa di Antonioni, che sarà il primo dei suoi tre grandi amori, per L’Avventura, film che apre la “tetralogia dell’incomunicabilità” (L’avventura, La notte, L’eclisse e Deserto rosso). Le basteranno 4 anni per diventare, grazie alle pellicole successive, una vera e propria diva internazionale.

Il passaggio alla commedia

Monica Vitti è stata la ‘porta bandiera’ della commedia italiana al femminile

Di lei si ricordano inconfondibili la sua caratteristica voce roca e l’innata verve, che l’hanno accompagnata in tutte le sue performance, dalle sue interpretazioni drammatiche a quelle in ruoli brillanti (da La ragazza con la pistola a Io so che tu sai che io so) che la fecero considerare l’unica “mattatrice” della commedia all’italiana, tenendo testa con facilità ai colleghi uomini Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Marcello Mastroianni. Ricercata dai più grandi registi stranieri, che oltre al volto bellissimo e misterioso vedono in lei quella caratteristica voce pastosa che (proprio come Claudia Cardinale negli stessi anni), Vitti non si accontenta però dell’immagine che le viene affibbiata, di donna misteriosa e algida, star distante e inconoscibile. Risale al momento del riconoscimento speciale che ottiene con la partecipazione alla giuria del festival di Cannes del 1968, quando si dimette dal suo ruolo in solidarietà ai contestatori della Nouvelle Vague, la decisione di lasciare la sua immagine più consolidata per abbracciare il genere della commedia, grazie a Mario Monicelli che la vuole protagonista de La ragazza con la pistola. Un successo immediato, che rientra appieno nello stile dell’epoca: in pieno Sessantotto, Vitti interpreta il ruolo di Assunta Patanè, una ragazza siciliana che insegue fino in Scozia l’uomo che l’ha “disonorata” (Carlo Giuffré) con l’intento di vendicarsi. Poi però sarà la ragazza stessa a comprendere che si può essere libere e onorate anche senza passare per il delitto d’onore. Un film capace di fare rumore, di smuovere coscienze e di scoprire nell’attrice romana un talento luminoso e inatteso che presto le permetterà di battersi ad armi pari con i giganti della commedia all’italiana.

Monica Vitti con il Leone d’oro alla carriera

La commedia al femminile

Fu l’unica donna vincente, mantenendo inalterata la sua incredibile femminilità, a combattere ad armi pari in un mondo di maschi più o meno misogini. Negli anni ’70 è Monica Vitti la stella più luminosa nel cinema italiano. Insieme al Leone d’oro alla carriera, che nel 1995 le viene dato da Gillo Pontecorvo alla Mostra di Venezia, ha ottenuto numerosi premi, tra cui cinque David di Donatello come migliore attrice protagonista (più altri quattro riconoscimenti speciali), tre Nastri d’argento, dodici Golden Globes (di cui due alla carriera), un Ciak d’oro alla carriera, un Orso d’argento alla Berlinale, una Concha de Plata a San Sebastián e una candidatura al premio BAFTA. Ma la sua sete di vita e di sfida non è mai sazia, e così dal grande schermo riesce a conquistare anche le platee televisive insieme a Mina (con Milleluci nel ’74 e Domenica in vent’anni dopo), e poi si cimenta nella scrittura di due libri autobiografici, firma una prima ed unica regia (Scandalo segreto) nel 1990, porta in teatro la grande commedia americana da La strana coppia a Prima pagina.

La donna che visse due volte

Di lei si dice che era “l’attrice che visse due volte“. Una delle ragioni fu sicuramente l’episodio che la riguardò quando tanti anni fa, su Le Monde, ebbe il privilegio di leggere il proprio necrologio. Una gaffe clamorosa del quotidiano francese che però la Vitti lesse con la sua impareggiabile ironia. Un’altra è stata invece la sua duttilità, una vena artistica immensa, che l’ha portata a calcare le scene del teatro come quelle del cinema, dal cabaret alla televisione, dalla tragedia al dramma e poi alla commedia. Sempre con grande successo. Infine, la terza ragione, fu la lenta e silenziosa discesa nel buio della malattia, il ritiro a vita privata ma mai l’oblio per quella che è stata una vera e propria icona del cinema italiano.

Monica Vitti si era ritirata vent’anni fa a causa di una malattia simile all’Alzheimer

La malattia e il ritiro

All’alba del nuovo secolo, quel fuoco ardente dentro di lei, quello spirito dialettico e umoristico, quella voglia di comunicare, si spengono. Un vulcano che, quasi inavvertitamente, diventa silente. Una malattia le porta via la parola, come fosse una tremenda pena del contrappasso. Una sorta di Alzheimer di cui soffre anche psicologicamente, che le secca quella vena dialogica, lo charme comunicativo che per decenni l’aveva contraddistinta. Solo la dedizione del marito Roberto Russo la protegge dalla curiosità morbosa dei paparazzi, che per anni si chiedono: “Dov’è finita Monica Vitti?“. Le mostre, le celebrazioni, gli omaggi si inseguono anche nei vent’anni del suo silenzio, indimenticata e indimenticabile. Ora, immortale, non potrà che essere ricordata con quel suo sorriso affascinante e la sua incredibile e inestinguibile vitalità.

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Monica Vitti, al secolo Maria Luisa Ceciarelli

Gli esordi e la scelta del nome

Talento e bellezza in lei si erano fusi a creare un'attrice che aveva fatto di versatilità e precisione i suoi cavalli di battaglia. Artista totale, musa di Michelangelo Antonioni, regina della commedia all'italiana al fianco di Alberto Sordi, Vitti è stata un'icona del cinema italiano per quasi 40 anni. Cresciuta in Sicilia prima della guerra, Maria Luisa Ceciarelli si era innamorata della recitazione fin dall'adolescenza, quando per  distrarre i fratelli dagli orrori delle bombe negli ultimi anni di guerra si cimentava in piccoli spettacoli casalinghi. Dopo il diploma all'Accademia d'arte drammatica nel 1953, sotto la guida di Silvio d'Amico e con un maestro d'eccezione come Sergio Tofano, scelse di darsi un nome d'arte con cui rimpiazzare il nomignolo "Setti vistini", che le avevano affibbiato amici e familiari per la sua capacità di cambiarsi in fretta e furia come un personaggio di Fregoli. Ma la duttilità non è propria solo della persona, ma anche dell'attrice: dai grandi ruoli drammatici portando sul palcoscenico Shakespeare, Molière o La nemica di Nicodemi (con cui conquista il pubblico) riesce a stupire e a convincere grazie alla verve istrionica che tira fuori nella serie di commedie ispirate al personaggio del Signor Bonaventura, allora popolarissimo eroe dei fumetti. Il nome scelto, Monica Vitti appunto, le ricorda la madre (Adele Vittiglia) che lei amava profondamente. Un nome che "suona bene" e non va ancora di moda.

Il debutto al cinema

Monica Vitti in una foto di scena (Ansa)
Due anni dopo il diploma arriva l'esordio sul grande schermo, quando debutta al cinema con un piccolo ruolo nell'Adriana Lecouvreur di Guido Salvini a fianco di veri mostri sacri come Valentina Cortese, Gabriele Ferzetti e Memo Benassi. Ma la vera prova del fuoco, superata brillantemente, arriverà 5 anni dopo: diventa infatti la silenziosa musa di Antonioni, che sarà il primo dei suoi tre grandi amori, per L'Avventura, film che apre la “tetralogia dell’incomunicabilità” (L’avventura, La notte, L’eclisse e Deserto rosso). Le basteranno 4 anni per diventare, grazie alle pellicole successive, una vera e propria diva internazionale.

Il passaggio alla commedia

Monica Vitti è stata la 'porta bandiera' della commedia italiana al femminile
Di lei si ricordano inconfondibili la sua caratteristica voce roca e l’innata verve, che l'hanno accompagnata in tutte le sue performance, dalle sue interpretazioni drammatiche a quelle in ruoli brillanti (da La ragazza con la pistola a Io so che tu sai che io so) che la fecero considerare l’unica “mattatrice” della commedia all’italiana, tenendo testa con facilità ai colleghi uomini Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Marcello Mastroianni. Ricercata dai più grandi registi stranieri, che oltre al volto bellissimo e misterioso vedono in lei quella caratteristica voce pastosa che (proprio come Claudia Cardinale negli stessi anni), Vitti non si accontenta però dell'immagine che le viene affibbiata, di donna misteriosa e algida, star distante e inconoscibile. Risale al momento del riconoscimento speciale che ottiene con la partecipazione alla giuria del festival di Cannes del 1968, quando si dimette dal suo ruolo in solidarietà ai contestatori della Nouvelle Vague, la decisione di lasciare la sua immagine più consolidata per abbracciare il genere della commedia, grazie a Mario Monicelli che la vuole protagonista de La ragazza con la pistola. Un successo immediato, che rientra appieno nello stile dell'epoca: in pieno Sessantotto, Vitti interpreta il ruolo di Assunta Patanè, una ragazza siciliana che insegue fino in Scozia l'uomo che l'ha "disonorata" (Carlo Giuffré) con l'intento di vendicarsi. Poi però sarà la ragazza stessa a comprendere che si può essere libere e onorate anche senza passare per il delitto d'onore. Un film capace di fare rumore, di smuovere coscienze e di scoprire nell'attrice romana un talento luminoso e inatteso che presto le permetterà di battersi ad armi pari con i giganti della commedia all'italiana.
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La donna che visse due volte

Di lei si dice che era "l'attrice che visse due volte". Una delle ragioni fu sicuramente l'episodio che la riguardò quando tanti anni fa, su Le Monde, ebbe il privilegio di leggere il proprio necrologio. Una gaffe clamorosa del quotidiano francese che però la Vitti lesse con la sua impareggiabile ironia. Un'altra è stata invece la sua duttilità, una vena artistica immensa, che l'ha portata a calcare le scene del teatro come quelle del cinema, dal cabaret alla televisione, dalla tragedia al dramma e poi alla commedia. Sempre con grande successo. Infine, la terza ragione, fu la lenta e silenziosa discesa nel buio della malattia, il ritiro a vita privata ma mai l'oblio per quella che è stata una vera e propria icona del cinema italiano.
Monica Vitti si era ritirata vent'anni fa a causa di una malattia simile all'Alzheimer

La malattia e il ritiro

All'alba del nuovo secolo, quel fuoco ardente dentro di lei, quello spirito dialettico e umoristico, quella voglia di comunicare, si spengono. Un vulcano che, quasi inavvertitamente, diventa silente. Una malattia le porta via la parola, come fosse una tremenda pena del contrappasso. Una sorta di Alzheimer di cui soffre anche psicologicamente, che le secca quella vena dialogica, lo charme comunicativo che per decenni l'aveva contraddistinta. Solo la dedizione del marito Roberto Russo la protegge dalla curiosità morbosa dei paparazzi, che per anni si chiedono: "Dov'è finita Monica Vitti?". Le mostre, le celebrazioni, gli omaggi si inseguono anche nei vent'anni del suo silenzio, indimenticata e indimenticabile. Ora, immortale, non potrà che essere ricordata con quel suo sorriso affascinante e la sua incredibile e inestinguibile vitalità.
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