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Home » Attualità » Afghanistan, dove i diritti vengono smantellati. I talebani chiudono la Commissione per i diritti umani

Afghanistan, dove i diritti vengono smantellati. I talebani chiudono la Commissione per i diritti umani

Innamullah Samangani, vice-portavoce del governo talebano: "Tutti i dipartimenti che non erano ritenuti necessari sono stati sgomberati". Human Rights Watch: "Scioccante che il Paese torni indietro"

Domenico Guarino
28 Maggio 2022
afghanistan

afghanistan

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La scusa è quella delle difficoltà economiche. Sta di fatto che tra i dipartimenti governativi soppressi dai talebani che governano in Afghanistan c’è anche la Commissione per i diritti umani, il che non può essere casuale. Di fronte alla crisi che il Paese sta affrontando, gli Studenti Coranici scelgono dunque di sacrificare quello che evidentemente considerano un orpello non indispensabile. E forse nemmeno necessario.

In Afghanistan i talebani hanno chiuso la Commissione per i diritti umani (Foto Ansa)

L’Afghanistan ha annunciato un deficit di bilancio di 501 milioni di dollari per quest’anno finanziario, rendendo pubblico il primo bilancio nazionale annuale da quando i talebani hanno preso il potere, lo scorso agosto. Di conseguenza, secondo quanto ha dichiarato Innamullah Samangani, vice-portavoce del governo talebano, citato da Reuters, “i dipartimenti che non erano ritenuti necessari sono stati smantellati”. Sono rimasti solo “i dipartimenti che sono attivi e produttivi”.

Per quanto riguarda i diritti umani, il funzionario ha precisato che “ci sono altre organizzazioni per attività legate ai diritti umani”, senza però specificare ulteriormente. Samangani ha anche ammesso che gli organismi potrebbero essere riattivati in futuro, “nel caso fosse necessario”.

Addio ai diritti dei bambini e delle donne

Comunque sia, un segno non proprio privo di significato, considerato il Paese in cui accade, e chi sono i responsabili della decisione. La Commissione per i diritti umani, infatti, tra le altre cose, ad esempio documentato le vittime civili nei due decenni di guerra in Afghanistan, si occupava delle richieste relative ai diritti dei bambini, delle donne e il diritto all’istruzione. Dopo la presa del potere dei talebani, però, il suo lavoro è stato sospeso, anche perché buona parte del personale è fuggito all’estero.

Il vice-portavoce del governo talebano Innamullah Samangani ha dichiarato che “i dipartimenti che non erano ritenuti necessari sono stati smantellati”, come la Commissione per i diritti umani (Foto Ansa)

Human Rights Watch: “Scioccante che il Paese torni indietro”

“È scioccante vedere l’Afghanistan tornare indietro in questo modo, era estremamente importante avere un organismo a cui le persone potessero rivolgersi per chiedere aiuto e giustizia”, ha commentato su Twitter Heather Barr dell’organizzazione Human Rights Watch.

Tra gli altri Dipartimenti che sono stati fatti fuori ci sono anche l’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale (HCNR) – che stava lavorando ai negoziati di pace tra i talebani e il governo di Ashraf Ghani – il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, un’entità che un tempo era molto potente, e la Commissione per la supervisione dell’attuazione della Costituzione afghana.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo

La scusa è quella delle difficoltà economiche. Sta di fatto che tra i dipartimenti governativi soppressi dai talebani che governano in Afghanistan c’è anche la Commissione per i diritti umani, il che non può essere casuale. Di fronte alla crisi che il Paese sta affrontando, gli Studenti Coranici scelgono dunque di sacrificare quello che evidentemente considerano un orpello non indispensabile. E forse nemmeno necessario.

In Afghanistan i talebani hanno chiuso la Commissione per i diritti umani (Foto Ansa)

L'Afghanistan ha annunciato un deficit di bilancio di 501 milioni di dollari per quest'anno finanziario, rendendo pubblico il primo bilancio nazionale annuale da quando i talebani hanno preso il potere, lo scorso agosto. Di conseguenza, secondo quanto ha dichiarato Innamullah Samangani, vice-portavoce del governo talebano, citato da Reuters, "i dipartimenti che non erano ritenuti necessari sono stati smantellati". Sono rimasti solo "i dipartimenti che sono attivi e produttivi".

Per quanto riguarda i diritti umani, il funzionario ha precisato che "ci sono altre organizzazioni per attività legate ai diritti umani", senza però specificare ulteriormente. Samangani ha anche ammesso che gli organismi potrebbero essere riattivati in futuro, "nel caso fosse necessario".

Addio ai diritti dei bambini e delle donne

Comunque sia, un segno non proprio privo di significato, considerato il Paese in cui accade, e chi sono i responsabili della decisione. La Commissione per i diritti umani, infatti, tra le altre cose, ad esempio documentato le vittime civili nei due decenni di guerra in Afghanistan, si occupava delle richieste relative ai diritti dei bambini, delle donne e il diritto all'istruzione. Dopo la presa del potere dei talebani, però, il suo lavoro è stato sospeso, anche perché buona parte del personale è fuggito all'estero.

Il vice-portavoce del governo talebano Innamullah Samangani ha dichiarato che "i dipartimenti che non erano ritenuti necessari sono stati smantellati", come la Commissione per i diritti umani (Foto Ansa)

Human Rights Watch: "Scioccante che il Paese torni indietro"

“È scioccante vedere l'Afghanistan tornare indietro in questo modo, era estremamente importante avere un organismo a cui le persone potessero rivolgersi per chiedere aiuto e giustizia”, ha commentato su Twitter Heather Barr dell'organizzazione Human Rights Watch.

Tra gli altri Dipartimenti che sono stati fatti fuori ci sono anche l'Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale (HCNR) - che stava lavorando ai negoziati di pace tra i talebani e il governo di Ashraf Ghani - il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, un'entità che un tempo era molto potente, e la Commissione per la supervisione dell'attuazione della Costituzione afghana.

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