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Home » Attualità » Afghanistan, le donne manifestano contro l’obbligo del burqa. Il G7: “Basta limitare i diritti”

Afghanistan, le donne manifestano contro l’obbligo del burqa. Il G7: “Basta limitare i diritti”

Da sabato 7 maggio i talebani hanno imposto una nuova restrittiva legge sul codice di abbigliamento femminile. In molte sono scese in strada per protestare e i ministri degli Esteri del gruppo dei Sette avvertono: "Paese sempre più isolato"

Marianna Grazi
13 Maggio 2022
donne afghanistan burqa

Le donne afghane protestano contro l'obbligo di coprire integralmente il volto nei luoghi pubblici

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Non ci stanno, le donne afghane, a tornare ad indossare il velo integrale per uscire di casa, come imposto dai Talebani meno di una settimana fa. Non ci stanno a vedere negati ancora i loro diritti, in una discesa che si fa sempre più repentina verso un passato patriarcale e tradizionalista dove il loro unico scopo di vita è l’assistenza agli uomini e la procreazione. Hanno lottato per decenni per affermare la propria esistenza, le loro libertà, e adesso sono pronte a tutto per difenderle. Per questo protestano, da mesi, contro il ritorno dei Talebani al potere, contro le repressive leggi che impongono loro di non lavorare, di non fare sport, di  non guidare, viaggiare… studiare! In una parola, di non vivere, ma essere semplici strumenti a servizio di qualcuno. E questo qualcuno, ovviamente, è un uomo: il padre, il marito o chi per loro.

Alle donne afghane è stato imposto l’obbligo di indossare il burqa negli spazi pubblici

L’ultima manifestazione di dissenso riguarda invece il burqa, che il Ministero talebano per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù, ha (ri)imposto come obbligatorio in tutti i luoghi pubblici del Paese. Un salto indietro di oltre 20 anni, a quel primo regime che, dal 1996 al 2001, aveva segregato la presenza femminile a mera succursale procreativa dei maschi. Ma secondo il leader supremo dei talebani Hibatullah Akhundzada coprirsi integralmente il volto sarebbe, ancora nel 2022, “tradizionale e rispettoso”. Ma per chi?

L’inasprimento dei controlli

Le autorità talebane hanno fatto sapere che per il momento si stanno concentrando sull’“incitamento” all’adesione. L’annuncio di sabato 7 maggio, starebbe già alimentando un controllo più severo dell’abbigliamento femminile in varie parti del Paese, soprattutto al di fuori della capitale, considerata una delle aree più liberali. Un medico nel sud-est dell’Afghanistan ha raccontato ad esempio che i funzionari talebani gli hanno imposto di non curare le pazienti che non arrivano in ospedale con accompagnatore maschio e non sono completamente coperte. Fahima invece è una donna che vive nella provincia occidentale di Herat e gestiva un’attività commerciale prima che i Talebani prendessero il potere: ora deve aspettare che il figlio adolescente torni da scuola per poter semplicemente andare a fare la spesa. “Riesco a malapena a uscire di casa”, ha spiegato. E ancora, sempre alla Reuters una studentessa universitaria nel nord dell’Afghanistan ha detto che da sabato i funzionari dell’università sono diventati molto più severi sul codice di abbigliamento: lunedì è stata ripresa per aver indossato un foulard colorato “inaccettabile”, d’ora in poi dovrà vestirsi completamente di nero.

La disobbedienza civile

donne afghane contro obbligo burka
La disobbedienza civile delle donne in Afghanistan non si ferma nonostante le repressioni

Ma intanto Kabul, una delle aree più liberali dell’Afghanistan, ci sono stati parecchi segnali di reazione. Molte donne nella capitale stanno infatti ritardando il ritorno al velo integrale in pubblico, in barba agli ordini dei governanti islamisti talebani, altre rimangono a casa e alcune indossano invece le mascherine anti Covid-19. La Reuters ha parlato con due dottoresse e un’insegnante – i pochi lavori ufficiali ancora accessibili alle donne – che sostengono che coprire il viso e indossare indumenti larghi interferirebbe con il loro lavoro. “Siamo medici, facciamo operazioni e dobbiamo lavarci le mani fino ai gomiti”, ha detto una dottoressa, che ha rifiutato di essere identificata per motivi di sicurezza. “Vogliamo essere considerate esseri viventi, vogliamo essere considerate esseri umani, non schiave imprigionate in un angolo della casa – ha detto un manifestante – non vogliamo essere tenute chiuse mentre i nostri mariti vanno a mendicare il cibo“. Nei giorni successivi all’annuncio del nuovo decreto governativo, un venditore di burqa di Kabul ha dichiarato alla Reuters che i prezzi dei capi erano saliti del 30%, ma da allora sono tornati a circa 1.300 dollari afghani, poiché non c’è stato un aumento della domanda. “La maggior parte delle donne preferisce acquistare un hijab, non un burqa. Il burqa è un bene secondo i Talebani, ma è l’ultima scelta delle donne”, ha spiegato.

Le manifestazioni

Una donna afghana tiene in mano un cartellone con scritto “Salviamo l’Afghanistan”

Questa settimana si sono svolte almeno due proteste, in cui le manifestanti hanno criticato i crescenti tentativi di limitare la presenza delle donne nella vita pubblica. Sulle strade e nelle piazze, infatti, le manifestanti hanno innalzato grida e cartelli con gli slogan: “Pane, lavoro, libertà”, “il burqa non è il nostro hijab“. Sono coraggiose e allo stesso tempo disperate, pronte a lottare rischiando la repressione, il carcere, le violenze e persino la morte. Ma per la loro disobbedienza civile le conseguenze sono rivolte al familiare maschio più vicino, e vanno dall’ammonimento all’imprigionamento. Martedì scorso, dopo una simbolica marcia da piazza Ansari al ministero dell’Interno, la protesta è stata duramente dispersa dai talebani: cartelli fatti a pezzi, violenta repressione delle manifestanti e divieto assoluto di dare notizia di quanto accaduto. “Ci hanno sequestrato i cellulari e volevano portarci dentro il palazzo per farci confessare i nostri crimini” ha spiegato Zhulia Parsi.

Il G7 richiama i Talebani: “Rispettate i diritti delle donne”

MANIFESTAZIONE DI SOLIDARIETÀ ALLA POPOLAZIONE AFGHANA
manifestazione di solidarietà di un uomo verso le donne afghane continuamente colpite dalle misure restrittive dei Talebani

Questo intensificarsi delle restrizioni nei confronti delle ragazze e delle donne in Afghanistan sta provocando sentimenti di rabbia in patria ma anche all’estero. Giovedì 12 maggio, ad esempio, durante la riunione dei ministri degli Esteri del Gruppo dei Sette (G7), i rappresentanti di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti hanno dichiarato che le recenti leggi repressive imposte dai Talebani ai diritti delle donne e delle ragazze in Afghanistan stanno isolando il Paese. “Con queste misure, i Talebani si stanno ulteriormente isolando dalla comunità internazionale“, hanno dichiarato i ministri degli Esteri e il capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell. In una dichiarazione congiunta, pubblicata dalla Francia, hanno invitato i funzionari islamici a prendere provvedimenti urgenti per eliminare le restrizioni nei confronti di donne e ragazze e rispettare i loro diritti umani.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Non ci stanno, le donne afghane, a tornare ad indossare il velo integrale per uscire di casa, come imposto dai Talebani meno di una settimana fa. Non ci stanno a vedere negati ancora i loro diritti, in una discesa che si fa sempre più repentina verso un passato patriarcale e tradizionalista dove il loro unico scopo di vita è l'assistenza agli uomini e la procreazione. Hanno lottato per decenni per affermare la propria esistenza, le loro libertà, e adesso sono pronte a tutto per difenderle. Per questo protestano, da mesi, contro il ritorno dei Talebani al potere, contro le repressive leggi che impongono loro di non lavorare, di non fare sport, di  non guidare, viaggiare... studiare! In una parola, di non vivere, ma essere semplici strumenti a servizio di qualcuno. E questo qualcuno, ovviamente, è un uomo: il padre, il marito o chi per loro.
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L'ultima manifestazione di dissenso riguarda invece il burqa, che il Ministero talebano per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù, ha (ri)imposto come obbligatorio in tutti i luoghi pubblici del Paese. Un salto indietro di oltre 20 anni, a quel primo regime che, dal 1996 al 2001, aveva segregato la presenza femminile a mera succursale procreativa dei maschi. Ma secondo il leader supremo dei talebani Hibatullah Akhundzada coprirsi integralmente il volto sarebbe, ancora nel 2022, “tradizionale e rispettoso”. Ma per chi?

L'inasprimento dei controlli

Le autorità talebane hanno fatto sapere che per il momento si stanno concentrando sull'"incitamento" all'adesione. L'annuncio di sabato 7 maggio, starebbe già alimentando un controllo più severo dell'abbigliamento femminile in varie parti del Paese, soprattutto al di fuori della capitale, considerata una delle aree più liberali. Un medico nel sud-est dell'Afghanistan ha raccontato ad esempio che i funzionari talebani gli hanno imposto di non curare le pazienti che non arrivano in ospedale con accompagnatore maschio e non sono completamente coperte. Fahima invece è una donna che vive nella provincia occidentale di Herat e gestiva un'attività commerciale prima che i Talebani prendessero il potere: ora deve aspettare che il figlio adolescente torni da scuola per poter semplicemente andare a fare la spesa. "Riesco a malapena a uscire di casa", ha spiegato. E ancora, sempre alla Reuters una studentessa universitaria nel nord dell'Afghanistan ha detto che da sabato i funzionari dell'università sono diventati molto più severi sul codice di abbigliamento: lunedì è stata ripresa per aver indossato un foulard colorato "inaccettabile", d'ora in poi dovrà vestirsi completamente di nero.

La disobbedienza civile

donne afghane contro obbligo burka
La disobbedienza civile delle donne in Afghanistan non si ferma nonostante le repressioni
Ma intanto Kabul, una delle aree più liberali dell'Afghanistan, ci sono stati parecchi segnali di reazione. Molte donne nella capitale stanno infatti ritardando il ritorno al velo integrale in pubblico, in barba agli ordini dei governanti islamisti talebani, altre rimangono a casa e alcune indossano invece le mascherine anti Covid-19. La Reuters ha parlato con due dottoresse e un'insegnante - i pochi lavori ufficiali ancora accessibili alle donne - che sostengono che coprire il viso e indossare indumenti larghi interferirebbe con il loro lavoro. "Siamo medici, facciamo operazioni e dobbiamo lavarci le mani fino ai gomiti", ha detto una dottoressa, che ha rifiutato di essere identificata per motivi di sicurezza. "Vogliamo essere considerate esseri viventi, vogliamo essere considerate esseri umani, non schiave imprigionate in un angolo della casa - ha detto un manifestante - non vogliamo essere tenute chiuse mentre i nostri mariti vanno a mendicare il cibo". Nei giorni successivi all'annuncio del nuovo decreto governativo, un venditore di burqa di Kabul ha dichiarato alla Reuters che i prezzi dei capi erano saliti del 30%, ma da allora sono tornati a circa 1.300 dollari afghani, poiché non c'è stato un aumento della domanda. "La maggior parte delle donne preferisce acquistare un hijab, non un burqa. Il burqa è un bene secondo i Talebani, ma è l'ultima scelta delle donne", ha spiegato.

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Il G7 richiama i Talebani: "Rispettate i diritti delle donne"

MANIFESTAZIONE DI SOLIDARIETÀ ALLA POPOLAZIONE AFGHANA
manifestazione di solidarietà di un uomo verso le donne afghane continuamente colpite dalle misure restrittive dei Talebani
Questo intensificarsi delle restrizioni nei confronti delle ragazze e delle donne in Afghanistan sta provocando sentimenti di rabbia in patria ma anche all'estero. Giovedì 12 maggio, ad esempio, durante la riunione dei ministri degli Esteri del Gruppo dei Sette (G7), i rappresentanti di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti hanno dichiarato che le recenti leggi repressive imposte dai Talebani ai diritti delle donne e delle ragazze in Afghanistan stanno isolando il Paese. "Con queste misure, i Talebani si stanno ulteriormente isolando dalla comunità internazionale", hanno dichiarato i ministri degli Esteri e il capo della politica estera dell'Unione Europea, Josep Borrell. In una dichiarazione congiunta, pubblicata dalla Francia, hanno invitato i funzionari islamici a prendere provvedimenti urgenti per eliminare le restrizioni nei confronti di donne e ragazze e rispettare i loro diritti umani.
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