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Home » Attualità » In Afghanistan i Talebani sospendono l’istruzione universitaria per le donne

In Afghanistan i Talebani sospendono l’istruzione universitaria per le donne

A marzo erano state chiuse le scuole secondarie femminili, ora la nuova stretta attira critiche dalla comunità internazionale

Marianna Grazi
20 Dicembre 2022
Studentesse universitarie afghane

Studentesse universitarie afghane

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Ci risiamo: basta distogliere un attimo lo sguardo per concentrarsi sulla crisi più attuale, quella appena scoppiata, quella che fa più rumore in quel momento per distrarsi da quello che aveva in precedenza catturato la nostra attenzione. E così con le proteste che continuano a infiammare l’Iran da ormai quattro mesi, il centro nevralgico del dibattito pubblico si è spostato, ha cambiato destinazione (in parte anche concentrato sull’ormai trascorso Mondiale di calcio in Qatar), distraendosi da quello che invece continua ad accadere, ogni giorno in Afghanistan. E quando accade e scoppia il nuovo ordigno sociale il frastuono ci riporta – colpevoli – a riposare occhi e orecchie su di loro, i talebani. E sulle loro scelte, sulle loro azioni. E sul fatto che a farne le spese sono sempre, inevitabilmente, le donne. Un fatto che accumuna questa alle altre “crisi”, in effetti, che è l’ennesimo segnale di pericolo per la condizione femminile a livello internazionale.

BREAKING: The Taliban have banned women from universities.

This is a shameful decision that violates the right to education for women and girls in Afghanistan. The Taliban are making it clear every day that they don’t respect the fundamental rights of Afghans, especially women. pic.twitter.com/Ydf13rvsbF

— Human Rights Watch (@hrw) December 20, 2022


Il governo talebano ha sospeso l’istruzione universitaria per tutte le studentesse del Paese, come ultimo passo del suo brutale giro di vite sui diritti e le libertà delle donne afghane. Una presa di posizione confermata ai media internazionali martedì 20 dicembre da parte di un portavoce del Ministero dell’Istruzione superiore dello Stato. In una lettera pubblicata dall’autorità si legge infatti che la decisione è stata presa in una riunione di gabinetto e che l’ordine del giorno entrerà in vigore immediatamente. Poche ore dopo l’ong Human Rights Watch ha criticato il divieto, definendolo una “decisione vergognosa che viola il diritto all’istruzione per le donne e le ragazze in Afghanistan“.

Una giovanissima ragazza afghana costretta a stare in casa con le altre donne della sua famiglia e con le coetanee perché non può frequentare le scuole nel suo Paese

Alle più giovani, infatti, già a marzo scorso era stato impedito di tornare alle scuole secondarie, quando i militari avevano ordinato la chiusura degli istituti femminili a poche ore dalla loro riapertura, dopo mesi di blocco imposti al momento della (ri)presa del potere nell’agosto 2021. “I Talebani dimostrano ogni giorno di più che non rispettano i diritti fondamentali degli afghani, soprattutto delle donne”, ha aggiunto l’organizzazione per i diritti umani. Anche gli Stati Uniti hanno condannato “con la massima fermezza questa posizione assolutamente indifendibile”, ha dichiarato l’ambasciatore statunitense Robert Wood, rappresentante supplente per gli affari politici speciali, durante il briefing del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “I Talebani non possono aspettarsi di essere un membro legittimo della comunità internazionale finché non rispetteranno i diritti di tutti gli afghani, in particolare i diritti umani e le libertà fondamentali di donne e ragazze. Continueremo a lavorare con questo Consiglio per parlare con una sola voce su questo tema”, ha aggiunto.

Donne afghane costrette a portare il burqa in pubblico

I Talebani, che hanno governato l’Afghanistan dal 1996 al 2001, quando l’invasione guidata dagli Stati Uniti ha costretto i fondamentalisti a lasciare il potere, storicamente considerano le donne come cittadini di seconda classe, sottoponendole a violenze, matrimoni forzati e a una presenza quasi invisibile, relegata ai margini dello Stato. Dopo essere tornati alla guida del paese l’anno scorso, gli studenti coranici hanno cercato di proiettare all’esterno della nazione un’immagine più moderata. Un modo, nemmeno troppo celato, per ottenere il sostegno economico dagli stati occidentali. Ma le numerose promesse fatte alla comunità internazionale di proteggere i diritti delle donne e delle ragazze sono state completamente disattese, limitando invece sistematicamente i loro diritti e le loro libertà per i quali avevano combattuto instancabilmente negli ultimi due decenni. Le donne in Afghanistan non possono più lavorare nella maggior parte dei settori, hanno bisogno di un tutore maschile per i viaggi a lunga distanza e hanno l’obbligo di coprirsi il volto in pubblico, indossando il burqa. Il governo ha anche imposto limiti all’istruzione delle ragazze, vietando alle donne l’accesso a parchi pubblici, palestre e hammam.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Ci risiamo: basta distogliere un attimo lo sguardo per concentrarsi sulla crisi più attuale, quella appena scoppiata, quella che fa più rumore in quel momento per distrarsi da quello che aveva in precedenza catturato la nostra attenzione. E così con le proteste che continuano a infiammare l'Iran da ormai quattro mesi, il centro nevralgico del dibattito pubblico si è spostato, ha cambiato destinazione (in parte anche concentrato sull'ormai trascorso Mondiale di calcio in Qatar), distraendosi da quello che invece continua ad accadere, ogni giorno in Afghanistan. E quando accade e scoppia il nuovo ordigno sociale il frastuono ci riporta – colpevoli – a riposare occhi e orecchie su di loro, i talebani. E sulle loro scelte, sulle loro azioni. E sul fatto che a farne le spese sono sempre, inevitabilmente, le donne. Un fatto che accumuna questa alle altre "crisi", in effetti, che è l'ennesimo segnale di pericolo per la condizione femminile a livello internazionale.

BREAKING: The Taliban have banned women from universities. This is a shameful decision that violates the right to education for women and girls in Afghanistan. The Taliban are making it clear every day that they don't respect the fundamental rights of Afghans, especially women. pic.twitter.com/Ydf13rvsbF

— Human Rights Watch (@hrw) December 20, 2022
Il governo talebano ha sospeso l'istruzione universitaria per tutte le studentesse del Paese, come ultimo passo del suo brutale giro di vite sui diritti e le libertà delle donne afghane. Una presa di posizione confermata ai media internazionali martedì 20 dicembre da parte di un portavoce del Ministero dell'Istruzione superiore dello Stato. In una lettera pubblicata dall'autorità si legge infatti che la decisione è stata presa in una riunione di gabinetto e che l'ordine del giorno entrerà in vigore immediatamente. Poche ore dopo l'ong Human Rights Watch ha criticato il divieto, definendolo una "decisione vergognosa che viola il diritto all'istruzione per le donne e le ragazze in Afghanistan".
Una giovanissima ragazza afghana costretta a stare in casa con le altre donne della sua famiglia e con le coetanee perché non può frequentare le scuole nel suo Paese
Alle più giovani, infatti, già a marzo scorso era stato impedito di tornare alle scuole secondarie, quando i militari avevano ordinato la chiusura degli istituti femminili a poche ore dalla loro riapertura, dopo mesi di blocco imposti al momento della (ri)presa del potere nell'agosto 2021. "I Talebani dimostrano ogni giorno di più che non rispettano i diritti fondamentali degli afghani, soprattutto delle donne", ha aggiunto l'organizzazione per i diritti umani. Anche gli Stati Uniti hanno condannato "con la massima fermezza questa posizione assolutamente indifendibile", ha dichiarato l'ambasciatore statunitense Robert Wood, rappresentante supplente per gli affari politici speciali, durante il briefing del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. "I Talebani non possono aspettarsi di essere un membro legittimo della comunità internazionale finché non rispetteranno i diritti di tutti gli afghani, in particolare i diritti umani e le libertà fondamentali di donne e ragazze. Continueremo a lavorare con questo Consiglio per parlare con una sola voce su questo tema", ha aggiunto.
Donne afghane costrette a portare il burqa in pubblico
I Talebani, che hanno governato l'Afghanistan dal 1996 al 2001, quando l'invasione guidata dagli Stati Uniti ha costretto i fondamentalisti a lasciare il potere, storicamente considerano le donne come cittadini di seconda classe, sottoponendole a violenze, matrimoni forzati e a una presenza quasi invisibile, relegata ai margini dello Stato. Dopo essere tornati alla guida del paese l'anno scorso, gli studenti coranici hanno cercato di proiettare all'esterno della nazione un'immagine più moderata. Un modo, nemmeno troppo celato, per ottenere il sostegno economico dagli stati occidentali. Ma le numerose promesse fatte alla comunità internazionale di proteggere i diritti delle donne e delle ragazze sono state completamente disattese, limitando invece sistematicamente i loro diritti e le loro libertà per i quali avevano combattuto instancabilmente negli ultimi due decenni. Le donne in Afghanistan non possono più lavorare nella maggior parte dei settori, hanno bisogno di un tutore maschile per i viaggi a lunga distanza e hanno l'obbligo di coprirsi il volto in pubblico, indossando il burqa. Il governo ha anche imposto limiti all'istruzione delle ragazze, vietando alle donne l'accesso a parchi pubblici, palestre e hammam.
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