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Home » Attualità » Africa, il Covid dimezza le fonti di reddito. La disperazione delle madri: “Non abbiamo cibo per i nostri figli“

Africa, il Covid dimezza le fonti di reddito. La disperazione delle madri: “Non abbiamo cibo per i nostri figli“

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità in Kenya, Somalia ed Etiopia appena l’11% della popolazione ha ricevuto il vaccino. Le storie e le testimonianze dal campo raccolte da Cesvi

Letizia Cini
22 Febbraio 2022
Covid, clima e conflitti: il mix letale che affama il Corno d’Africa. La disperazione delle madri: “Non abbiamo cibo per i nostri figli“

Covid, clima e conflitti: il mix letale che affama il Corno d’Africa. La disperazione delle madri: “Non abbiamo cibo per i nostri figli“

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“Siamo abituate a convivere con la fame, fin da piccole. Ma non avere nulla per sfamare tuo figlio è un’altra cosa”. Ogni settimana, sfidando il caldo tipico della stagione secca, Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure dei medici. Jonathan, due anni appena, è uno dei piccoli pazienti del centro gestito da Cesvi nella Contea di Isiolo, nel Kenya centrale.

Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure.

Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure
Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure (foro Roger Lo Guarro)

E’ l’Ong Cesvi a raccontare in una nota la loro storia, riferendo che il Paese, come il resto del Corno d’ Africa, sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni, dopo tre stagioni consecutive di piogge scarse.

Una piaga chiamata fame

Il Corno d’Africa sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: a pagare sono i più piccoli
Il Corno d’Africa sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: a pagare sono i più piccoli

Le Nazioni Unite stimano che siano 13 milioni le persone tra Kenya, Somalia e Etiopia in condizione di grave insicurezza alimentare, 5,5 milioni i bambini affetti da malnutrizione acuta. La siccità ha decimato i raccolti (con perdite del 70%) e provocato una moria di capi di bestiame, a milioni, principale fonte di sostentamento delle famiglie.

“Il Corno d’ Africa – stando alle stime fornite dell’Ong –  è un caso emblematico dove si concentra quel mix letale – clima, Covid, conflitti – che sta affamando il mondo. La siccità infatti è solo l’ultima emergenza in ordine di tempo a colpire popolazioni ancora alle prese con le conseguenze delle inondazioni del 2019, dell’invasione biblica delle locuste dello stesso anno, dei conflitti armati (Etiopia e Somalia), della pandemia.

I progetti dell’Ong Cesvi

Il Corno d’Africa sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: a pagare sono i più piccoli
Il Corno d’Africa sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: a pagare sono i più piccoli

I programmi per la salute materna e infantile non sono gli unici che l’organizzazione umanitaria ha messo in campo nella regione. Dal 2009 Cesvi porta avanti numerosi progetti che mirano a promuovere la sicurezza alimentare, soprattutto di donne e gruppi vulnerabili, l’igiene e l’accesso all’acqua potabile. Più di recente ha avviato programmi per rispondere all’emergenza Covid-19: da un lato con interventi per arginare la diffusione del virus (stazioni per il lavaggio delle mani, campagne di sensibilizzazione e distribuzione di dispositivi di protezione) dall’altro con programmi di sostegno (Cash Assistance) concepiti per mitigare le conseguenze economiche della pandemia.

Il Covid-19

Il Covid-19 infatti ha ridotto drasticamente le fonti di reddito della popolazione. Solo in Kenya la Banca mondiale stima siano 2 milioni le persone scivolate sotto la soglia di povertà a causa della pandemia. Intanto la campagna di immunizzazione arranca, come nel resto del Continente. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità appena l’11% della popolazione in Africa ha ricevuto il vaccino.

In occasione del vertice Unione europea – Unione africana in corso a Bruxelles, Cesvi ribadisce la necessità di fornire subito una risposta alla grave crisi che ha colpito questa area dell’Africa Subsahariana: “È urgente adottare un approccio multidimensionale con interventi a 360 gradi per affrontare problemi endemici di questa area come il cambiamento climatico e le carestie che conseguono: la fame, la malnutrizione, i conflitti e il Covid.

Il Corno d’Africa sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: a pagare sono i più piccoli
Il Corno d’Africa sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: a pagare sono i più piccoli

“La liberalizzazione dei vaccini, auspicabile e necessaria”, sottolineano i portavoce dell’Ong. “Da sola non potrà essere sufficiente: tutti i diversi fattori che impattano negativamente su questi Paesi devono essere trattati di concerto per fornire una risposta che possa essere in grado di accrescere la resilienza, l’empowerment e la sicurezza alimentare di queste comunità”, commenta il vicedirettore generale di Cesvi, Roberto Vignola.

Da migranti a mendicanti, il caso Gibuti

Ancora in tema di Corno d’Africa, a ridosso della Giornata mondiale per la Giustizia sociale indetta dalle Nazioni Unite per il 20 febbraio Caritas Italiana pubblica il suo nuovo dossier con dati e testimonianze dal titolo ‘Vite di strada. Minori invisibili: da migranti a mendicanti’. Quest’anno il documento, si apprende da una nota, “oltre a inquadrare il problema dal punto di vista internazionale lo approfondisce in particolare nel contesto africano e del Corno d’ Africa, con un focus specifico sul Gibuti”.

Il piccolo Paese, spiega una nota, è situato sulle sponde del Mar Rosso e “rappresenta una ‘oasi di pace’ in una regione incandescente, crocevia di flussi migratori dall’Africa alla Penisola Arabica”. Caritas continua: “Si stima che circa il 12% della popolazione è rappresentata da migranti considerati illegali a cui si aggiunge un numero stimato in oltre 150mila migranti in transito all’anno”.

L’appello del vescovo Giorgio Bertin

A Gibuti si stima che circa il 12% della popolazione è rappresentata da migranti considerati illegali
A Gibuti si stima che circa il 12% della popolazione sia rappresentata da migranti considerati illegali

Tra di essi – continua la nota – molti minori non accompagnati che dalla strada di un viaggio estenuante e rischioso spinto da condizioni di vita senza prospettive, finiscono sulla strada delle vie di Gibuti vivendo alla giornata, in condizioni di estrema povertà, dormendo in spiaggia e sniffando colla”. E a questi ragazzi e ragazze di strada e ad altri fragili e invisibili, prosegue Caritas, “che si rivolge l’opera di promozione umana della Chiesa a Gibuti, raccontata dalle parole di monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio”. Il dossier, conclude il comunicato, “offre uno spaccato di questa realtà mettendo in luce le storie di queste persone e le peculiarità con cui la Chiesa, scevra da ogni proselitismo, si confronta con comunità e istituzioni di cultura e religione islamica per un impegno comune di promozione della dignità umana”.

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  • ✨Tra i pretendenti a un ruolo di protagonista del 73° Sanremo, Ariete è probabilmente quella con l’"X factor" più alto. E non tanto per aver partecipato da ragazzina al talent di Sky o per quel "non so che" capace di differenziare tutto quel che fa, ma perché in due anni è riuscita a diventare la musa “indie“ della Generazione X. 

Arianna Del Giaccio mostra la timidezza della debuttante. E che lei sia una "nuova persona" portata a cadere nei "soliti vecchi errori" lo racconta parlando del debutto davanti al popolo del Festival con Mare di guai, ballata in cui racconta la fine della relazione con la sua ex.

«Gli squali che si aggirano nella vasca di cui parlo sono le mie insicurezze e le mie ansie. Il peso delle aspettative, anche se non provo sensi di inadeguatezza verso quel che faccio. I pescecani basta conoscerli per sapere che non sono tutti pericolosi.»

 Intervista a cura di Andrea Spinelli ✍

#lucenews #qn #ariete #sanremo2023
  • Più luce, meno stelle. Un paradosso, se ci pensate. Più illuminiamo le nostre città, più lampioni, fari, led, laser puntiamo sulla terra, meno stelle e porzioni di cielo vediamo. 

Accade perché, quasi senza accorgercene, di anno in anno, cancelliamo dalla nostra vista qualche decina di quei 4.500 puntini luminosi che in condizioni ottimali dovremmo riuscire a vedere la notte, considerato che il cielo risulta popolato da circa 9.000 stelle, di cui ciascuno di noi può osservare solo la metà per volta, ovvero quelle del proprio emisfero. 

In realtà, già oggi, proprio per colpa dell’inquinamento luminoso, ne vediamo solo poche centinaia. E tutto lascia pensare che questa cifra si ridurrà ulteriormente, con un ritmo molto rapido. Al punto tale che, in pochi anni, la costellazione di Orione, potrebbe perdere la sua caratteristica ‘cintura’.

Secondo quanto risulta da uno studio pubblicato su “Science”, basato sulle osservazioni di oltre 50mila citizen scientist, solo tra il 2011 e il 2022, ogni anno il cielo in tutto il Pianeta è diventato in media il 9,6% più luminoso, con una forchetta di valori che non supera il 10% ma non scende mai sotto il 7%. Più di quanto percepito finora dai satelliti preposti a monitorare la quantità di luce nel cielo notturno. Secondo le misurazioni effettuate da questi ultimi infatti, tra 1992 e 2017 il cielo notturno è diventato più luminoso di meno dell’1,6% annuo.

“In un periodo di 18 anni, questo tasso di cambiamento aumenterebbe la luminosità del cielo di oltre un fattore 4”, scrivono i ricercatori del Deutsches GeoForschungs Zentrum di Potsdam, in Germania, e del National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory di Tucson, negli Stati Uniti. Una località con 250 stelle visibili, quindi, vedrebbe ridursi il numero a 100 stelle visibili. 

Il pericolo più che fondato, a questo punto, è che di questo passo inizieranno a scomparire dalla nostra vista anche le costellazioni più luminose, comprese quelle che tuti sono in grado di individuare con estrema facilità.

L
  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
“Siamo abituate a convivere con la fame, fin da piccole. Ma non avere nulla per sfamare tuo figlio è un’altra cosa”. Ogni settimana, sfidando il caldo tipico della stagione secca, Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure dei medici. Jonathan, due anni appena, è uno dei piccoli pazienti del centro gestito da Cesvi nella Contea di Isiolo, nel Kenya centrale. Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure.
Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure
Ima, 20 anni da poco compiuti, percorre due ore di cammino per raggiungere il centro di salute materna e infantile di Burat, in Kenya, dove il suo bambino, gravemente malnutrito, riceve le cure (foro Roger Lo Guarro)
E’ l’Ong Cesvi a raccontare in una nota la loro storia, riferendo che il Paese, come il resto del Corno d’ Africa, sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni, dopo tre stagioni consecutive di piogge scarse.

Una piaga chiamata fame

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Le Nazioni Unite stimano che siano 13 milioni le persone tra Kenya, Somalia e Etiopia in condizione di grave insicurezza alimentare, 5,5 milioni i bambini affetti da malnutrizione acuta. La siccità ha decimato i raccolti (con perdite del 70%) e provocato una moria di capi di bestiame, a milioni, principale fonte di sostentamento delle famiglie. "Il Corno d’ Africa - stando alle stime fornite dell'Ong -  è un caso emblematico dove si concentra quel mix letale - clima, Covid, conflitti - che sta affamando il mondo. La siccità infatti è solo l’ultima emergenza in ordine di tempo a colpire popolazioni ancora alle prese con le conseguenze delle inondazioni del 2019, dell’invasione biblica delle locuste dello stesso anno, dei conflitti armati (Etiopia e Somalia), della pandemia.

I progetti dell'Ong Cesvi

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I programmi per la salute materna e infantile non sono gli unici che l’organizzazione umanitaria ha messo in campo nella regione. Dal 2009 Cesvi porta avanti numerosi progetti che mirano a promuovere la sicurezza alimentare, soprattutto di donne e gruppi vulnerabili, l’igiene e l’accesso all’acqua potabile. Più di recente ha avviato programmi per rispondere all’emergenza Covid-19: da un lato con interventi per arginare la diffusione del virus (stazioni per il lavaggio delle mani, campagne di sensibilizzazione e distribuzione di dispositivi di protezione) dall’altro con programmi di sostegno (Cash Assistance) concepiti per mitigare le conseguenze economiche della pandemia.

Il Covid-19

Il Covid-19 infatti ha ridotto drasticamente le fonti di reddito della popolazione. Solo in Kenya la Banca mondiale stima siano 2 milioni le persone scivolate sotto la soglia di povertà a causa della pandemia. Intanto la campagna di immunizzazione arranca, come nel resto del Continente. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità appena l’11% della popolazione in Africa ha ricevuto il vaccino. In occasione del vertice Unione europea - Unione africana in corso a Bruxelles, Cesvi ribadisce la necessità di fornire subito una risposta alla grave crisi che ha colpito questa area dell’Africa Subsahariana: “È urgente adottare un approccio multidimensionale con interventi a 360 gradi per affrontare problemi endemici di questa area come il cambiamento climatico e le carestie che conseguono: la fame, la malnutrizione, i conflitti e il Covid.
Il Corno d’Africa sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: a pagare sono i più piccoli
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"La liberalizzazione dei vaccini, auspicabile e necessaria", sottolineano i portavoce dell'Ong. "Da sola non potrà essere sufficiente: tutti i diversi fattori che impattano negativamente su questi Paesi devono essere trattati di concerto per fornire una risposta che possa essere in grado di accrescere la resilienza, l’empowerment e la sicurezza alimentare di queste comunità”, commenta il vicedirettore generale di Cesvi, Roberto Vignola.

Da migranti a mendicanti, il caso Gibuti

Ancora in tema di Corno d'Africa, a ridosso della Giornata mondiale per la Giustizia sociale indetta dalle Nazioni Unite per il 20 febbraio Caritas Italiana pubblica il suo nuovo dossier con dati e testimonianze dal titolo ‘Vite di strada. Minori invisibili: da migranti a mendicanti’. Quest’anno il documento, si apprende da una nota, “oltre a inquadrare il problema dal punto di vista internazionale lo approfondisce in particolare nel contesto africano e del Corno d’ Africa, con un focus specifico sul Gibuti”. Il piccolo Paese, spiega una nota, è situato sulle sponde del Mar Rosso e “rappresenta una ‘oasi di pace’ in una regione incandescente, crocevia di flussi migratori dall’Africa alla Penisola Arabica”. Caritas continua: “Si stima che circa il 12% della popolazione è rappresentata da migranti considerati illegali a cui si aggiunge un numero stimato in oltre 150mila migranti in transito all’anno".

L'appello del vescovo Giorgio Bertin

A Gibuti si stima che circa il 12% della popolazione è rappresentata da migranti considerati illegali
A Gibuti si stima che circa il 12% della popolazione sia rappresentata da migranti considerati illegali
Tra di essi - continua la nota - molti minori non accompagnati che dalla strada di un viaggio estenuante e rischioso spinto da condizioni di vita senza prospettive, finiscono sulla strada delle vie di Gibuti vivendo alla giornata, in condizioni di estrema povertà, dormendo in spiaggia e sniffando colla”. E a questi ragazzi e ragazze di strada e ad altri fragili e invisibili, prosegue Caritas, “che si rivolge l’opera di promozione umana della Chiesa a Gibuti, raccontata dalle parole di monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio”. Il dossier, conclude il comunicato, “offre uno spaccato di questa realtà mettendo in luce le storie di queste persone e le peculiarità con cui la Chiesa, scevra da ogni proselitismo, si confronta con comunità e istituzioni di cultura e religione islamica per un impegno comune di promozione della dignità umana”.
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