Tonno rosso d’allevamento? Perché l’impianto pilota in Spagna è una pessima notizia

Un investimento iniziale di circa 7 milioni di euro, una vasca galleggiante con tecnologia RAS (sistema a ricircolo d’acqua) per la produzione di 60 tonnellate di pesce all’anno. I problemi? Innumerevoli: dal benessere animale, che è un predatore migratore, all’insostenibilità ambientale

di DOMENICO GUARINO
22 maggio 2025
Tonno rosso in una foto del WWF

Tonno rosso in una foto del WWF

Un impianto pilota realizzato con un investimento iniziale di circa 7 milioni di euro, con una vasca galleggiante con tecnologia RAS (sistema a ricircolo d’acqua) per la produzione di 60 tonnellate di pesce all’anno. Già letta così la frase fa una certa impressione perché, nella crudezza dell’esposizione, rende conto di come oggi la produzione del cibo prodotto con animali vivi sia un fatto seriale e meccanico. Ma in questo caso c’è un di più: il pesce in questione, infatti è il tonno rosso, una delle specie più emblematiche e a rischio del nostro ecosistema marino.

L’impianto verrà realizzato a Castellón de la Plana, in Spagna, e sarà il primo al mondo con un sistema che mira a chiudere l’intero ciclo vitale della specie in cattività. Il progetto è della società tedesca Next Tuna. Il permesso per la realizzazione dell’allevamento intensivo, il primo di questo tipo in Europa, è arrivato dal Ministero dell’Agricoltura e della Pesca spagnolo. E potrebbe essere solo l’inizio: infatti, se il test andrà “bene”, è già pronto un secondo progetto da 70 milioni di euro con 18 vasche e una produzione su vasta scala.

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Ufficialmente l’obiettivo è quello di “promuovere la ricerca e lo sviluppo dell’acquacoltura marina” ma, dicono le associazioni che hanno denunciato l’esistenza del progetto, “in realtà, come si può facilmente immaginare, si tratta di un modello altamente insostenibile che ignora completamente la biologia e il benessere di questi animali”.

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“Il tonno rosso è un predatore migratore – denunciano ancora le associazioni animaliste - che percorre migliaia di chilometri in mare aperto. Rinchiuderlo in vasche è una condanna a una vita di stress, sofferenza e privazione”. Senza contare che l’allevamento di tonno rosso “richiede enormi quantità di pesce selvatico come mangime: per “produrre” un solo tonno, vengono sacrificati fino a 20 chili di pesce pescato”. In pratica, dicono le associazioni, siamo in presenza di un progetto che sottrae risorse preziose agli oceani per ingrassare pochi individui destinati al mercato di lusso. Inoltre, nonostante la tecnologia RAS venga promossa come “pulita”, le implicazioni ambientali restano gravi: uso di energia, farmaci, inquinamento e spreco di risorse.

Mentre governi e aziende promuovono questi progetti come soluzioni al sovrasfruttamento, in realtà stanno solo perpetuando lo stesso sistema che ha portato gli oceani al collasso. Come sottolinea Essere Animali, che ha lanciato una petizione contro il progetto, “non solo legittima l’allevamento intensivo di una specie già minacciata, ma apre la strada alla normalizzazione di pratiche inaccettabili nel nome del profitto”. Per l’associazione, infine “è particolarmente preoccupante che il progetto abbia ricevuto sostegno finanziario attraverso programmi di finanziamento pubblico dell’Ue volti a favorire lo sviluppo sostenibile".

Non molto tempo fa, l’attivista Don Staniford, dell’associazione Scottish Salmon Watch, ha denunciato le condizioni terribili in cui vivono (si fa per dire) i salmoni negli allevamenti intensivi in Scozia, dove, in una vasca da 30 metri di diametro possono essere rinchiusi fino a 100mila esemplari. Condizioni di vita insostenibili per pesci abituati ad avere spazio e che si trovano compressi, quasi senza possibilità di nuotare, creando le condizioni ideali per il proliferare di malattie e parassiti come tra questi i pidocchi di mare che mangiano letteralmente vivi i salmoni e l’uso di sostanze chimiche per contrastarli. Una situazione che potrebbe ripetersi a breve anche per il tonno rosso.