Andrea Vanzo, l’artista che “suona” la natura. “La bellezza richiede tempo. E resistenza”

Il pianista da milioni di follower porta la musica nei luoghi più incontaminati, tra poesia e sostenibilità, grazie a un pianoforte smontabile

di CATERINA CECCUTI
10 giugno 2025
Andrea Vanzo

Andrea Vanzo

Il mondo corre veloce, indubbiamente e drammaticamente veloce. Sarà per questo che Andrea Vanzo - compositore, pianista e produttore musicale con oltre un miliardo di ascolti al mese e milioni di follower sui social – ha scelto di rallentare. Con le sue performance Vanzo restituisce alla musica la sua dimensione più pura: un respiro, una vibrazione, un incontro con l’essenziale. Nato e cresciuto tra le colline di Sadurano, borgo dell’Appennino romagnolo, ha costruito un piano smontabile – ibrido tra acustico ed elettronico – trasportabile a spalla e realizzato insieme al falegname Massimo Russo e al padre Umberto Vanzo, di modo da riuscire a portare il suo suono nei teatri naturali più emozionanti: dal Parco Naturale Sciliar-Catinaccio al Wadi Rum in Giordania, fino all’Etna. Ogni sua esibizione diventa un rituale di rispetto per l’ambiente e per il tempo. Niente elicotteri, solo fatica, sudore e consapevolezza.

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Dalla G.A.N.G. Award per la cover di “Song of Storms” alla collaborazione con Matilda De Angelis, passando per un tour europeo sold out, il suo linguaggio moderno-classico abbraccia pop, ambient e sfumature cinematiche. Ma dietro la fama e i numeri, c’è un’anima gentile, capace di trasformare la lentezza in rivoluzione e il silenzio in guarigione. Di fronte a un pianoforte appoggiato su un’altura o immerso nel bosco, Vanzo ci invita a fermarci, ad ascoltare con presenza e a riprendere contatto con ciò che davvero conta. Ne abbiamo parlato con lui per comprendere cosa significhi portare la musica “fuori dal mondo”, e perché questo gesto sia, oggi più che mai, un atto di resistenza.

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Portare la musica nei luoghi più incontaminati del mondo è una scelta radicale e poetica: che cosa la spinge a farlo e cosa crede succeda, a livello emotivo, in chi ascolta?

“La natura ha sempre fatto parte della mia vita, fin da quando ero bambino. Passavo ore arrampicato sugli alberi, semplicemente per ascoltare il vento e lasciarmi cullare da lui. In un certo senso, la natura era il mio amico immaginario. Ero un bambino un po’ particolare, solitario. Ancora oggi è una fonte d’ispirazione costante, anche quando scrivo musica. Il sogno di portare il mio pianoforte in luoghi remoti, dove regna il solo suono della natura, mi accompagna da sempre. Credo che le persone sentano sempre di più il bisogno di fuggire da un mondo frenetico, carico di stimoli e aspettative, insomma che ti stressa. I video che condivido quando suono in quei luoghi suscitano qualcosa di speciale: chi ascolta si lascia andare, si emoziona, si riconnette. Mi capita spesso di ricevere messaggi da persone che non avevano mai ascoltato musica strumentale prima. Eppure, si sentono toccate. Alcuni mi raccontano di aver trovato conforto durante un lutto, una separazione o nei momenti più bui della loro vita. Una volta mi ha scritto un soldato al fronte: tra i bombardamenti, la mia musica era l’unico momento di pace che riusciva a concedersi. Queste testimonianze mi fanno capire che la mia musica non è solo contemplativa. Per molti è un atto di resistenza: un modo per aggrapparsi a qualcosa di umano, di autentico, anche nei luoghi o nelle situazioni in cui il diritto stesso alla vita viene messo in discussione.”

Nel suo percorso l’arte e la natura sembrano fondersi in un’unica esperienza sensoriale e spirituale: pensa che questa unione possa avere un impatto concreto sul benessere mentale – e forse anche fisico – delle persone? Per lei è stato così?

“Assolutamente sì. Non riesco a separare la musica dalla natura, perché per me entrambe parlano il linguaggio del silenzio e dell’essenziale. Quando compongo, spesso mi basta semplicemente guardare fuori dalla finestra. A volte mi immagino di raggiungere la cima di una montagna a fatica, altre volte rievoco la sensazione del vento tra gli alberi. Per questo credo che il legame tra arte e natura non sia solo ispirazione estetica, ma una vera medicina. Può aiutare a ritrovare equilibrio, calma e direzione. In me lo fa ogni giorno.”

Viviamo in un’epoca frenetica e iperconnessa: crede che la lentezza e l’ascolto profondo che la sua musica propone possano diventare, oltre che un atto di resistenza, anche di guarigione?

“Credo che oggi la lentezza sia un atto rivoluzionario. Viviamo sommersi da contenuti, stimoli, velocità. Fermarsi ad ascoltare un pianoforte che suona in mezzo ad un bosco, o anche solo attraverso un video, è un gesto che richiede presenza, silenzio, disponibilità all’ascolto. E chi lo fa spesso mi dice che sente di “respirare di nuovo”. La mia musica, anche nei suoi tempi dilatati, è una forma di resistenza. Non solo contro la frenesia, ma anche contro il rumore mentale, l’ansia da prestazione o l’idea che si debba avere tutto e subito. In questo senso quindi può diventare una forma di guarigione. Un ritorno a se stessi.”

Il suo pianoforte smontabile, pensato per rispettare l’ambiente, è un simbolo potente: quanto conta per lei che l’arte sia anche un veicolo di sostenibilità e consapevolezza ecologica?

“Il mio pianoforte è un ibrido elettrico, studiato per essere trasportabile senza impattare sull’ambiente. Non lo porto in cima alle montagne con l’elicottero, ma attraverso delle sacche create apposta da indossare in spalla. Anche questo è un messaggio: la vetta va conquistata. I miei genitori me l’hanno sempre insegnato. Servono impegno, fatica, rispetto per ciò che ci circonda. Per me l’arte non può essere slegata dalla responsabilità. Se riesco a evocare emozioni autentiche, ma al tempo stesso a lanciare un messaggio di cura e consapevolezza verso il nostro pianeta, allora sento di stare facendo qualcosa di utile, anche piccolo”.

Che messaggio vorrebbe trasmettere ai giovani musicisti che oggi cercano di affermarsi in questo mondo dominato dalla velocità, dall’apparenza, dal rumore?

“Vorrei dire loro di chiedersi, prima di tutto, cosa sentono davvero dentro. Qual è il loro bisogno profondo. E, una volta trovato, di non lasciarlo andare. Lavorare duramente è fondamentale. A volte l’ispirazione arriva dopo dieci, dodici ore di tentativi. Non è magia: è presenza, è dedizione. La bellezza richiede tempo. E resistenza. Non seguite il rumore: seguite la vostra voce. Anche se è silenziosa”.