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Home » Attualità » Take Your Dog To Work Day: la terapia che cura lo stress e l’ansia da prestazione sul luogo di lavoro

Take Your Dog To Work Day: la terapia che cura lo stress e l’ansia da prestazione sul luogo di lavoro

Portare con sé al lavoro il proprio animale da compagnia genera non pochi benefici sul piano della socialità ed anche della produttività nelle aziende

Domenico Guarino
16 Giugno 2022
Animali a lavoro

Animali a lavoro

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Il 26 Giugno sarà la giornata mondiale del cane in ufficio, ricorrenza istituita in Inghilterra con il nome di “Take Your Dog To Work Day” alla fine degli anni ‘90, quando lo smart working era ancora un fenomeno impensabile e lontano dalle logiche più comuni.

‘Pets at work’: la terapia che migliora la salute sul luogo di lavoro

Dagli Stati Uniti all’Italia

Ma quante aziende permettono ai propri dipendenti di portare con sé al lavoro il proprio animale da compagnia?  Negli stati uniti questa abitudine si sta facendo strada anche grazie all’esempio di tre ‘colossi’ dell’economia come Amazon, Nintendo e Purina.

Nella sede centrale del colosso dell’e-commerce e della distribuzione, a Seattle, è possibile portare con sé il cane tutti i giorni, garantendo però che siano state fatte tutte le vaccinazioni necessarie. L’animale può sedersi vicino alla scrivania del padrone, rimanendo al guinzaglio se non si tratta di una stanza singola. Chi non ama gli animali invece può chiedere di spostarsi in una zona dog-free.

La Nintendo ha invece deciso di istituire i “Pet Fridays“: ogni venerdì è possibile portare con sé il proprio cane, tenendolo vicino alla scrivania per metà della giornata (la limitazione è stata introdotta per evitare che gli animali siano per troppo tempo al chiuso, dato che negli uffici non ci sono spazi verdi in cui ospitarli)

La Purina da parte sua  ha lanciato l’iniziativa [email protected] : vengono fissati periodicamente dei giorni in cui è possibile portare il cane in ufficio. Ma l’azienda è impegnata anche  nella formazione, mettendo a disposizione dei manager una guida di consigli per  introdurre politiche pet-friendly nella loro azienda.

E in Italia? Cosa accade?

Va detto innanzitutto che nel nostro Paese, nonostante il fatto che oramai 40 milioni di italiani abbiano un qualche animale da compagnia, e solo tra cani e gatti si contino circa 14 milioni di esemplari domestici, secondo le stime più accreditate, non c’è una normativa specifica che disciplini la presenza di animali sui luoghi di lavoro. Esistono però alcune norme generali cui bisogna attenersi, a partire da quelle stabilite a tutela della salvaguardia della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (art. 2087 del Codice Civile) che vietano di portarli in alcuni luoghi particolarmente ‘sensibili’ come ospedali e stabilimenti industriali con lavorazioni ad alto rischio etc.

Poi ci sono i regolamenti aziendali interni, che possono richiedere l’applicazione di alcune regole oppure applicare alcuni divieti. In generale andrà tenuto conto dell’allergia, della paura o del fastidio dei colleghi, prima di decidere di portare il proprio cane in ufficio.

Il dipendente che viola qualsiasi punto del regolamento interno dell’ufficio, rischia una sanzione, un rimprovero o la sospensione, a seconda della gravità del caso.

Se queste condizioni vengono soddisfatte, c’è poi un’ulteriore serie di prescrizioni impartite dal Ministero della Salute. Obbligo di museruola, se richiesto dalle autorità competenti o dal datore di lavoro, per non mettere a rischio gli altri dipendenti, l’obbligo di guinzaglio, che non deve essere superiore ai 150 cm, nei luoghi aperti al pubblico, la registrazione e dotazione obbligatoria di microchip, inserito entro i primi due mesi di vita (così come specificato dalla legge).

Infine bisogna assicurare il mantenimento della pulizia dell’animale e dei luoghi in cui si trova, portando tutto il materiale possibile (paletta, bustine e salviette) per evitare che il cane sporchi i luoghi di condivisione.

Detto questo, quante sono le aziende italiane che hanno ‘aperto’ alla possibilità di portare con sé il proprio cane o il proprio gatto?

L’Italia, rispetto ad altri Paesi, è ancora indietro su questo fronte, anche se alcune grandi multinazionali, presenti anche nel nostro Paese già permettono di portare i cani a lavoro. Tra di loro Nintendo, Google Italia, Gruppo Unicredit e Mars Italia.

Anche la nota stilista Elisabetta Franchi, animalista e grande sostenitrice di una moda cruelty free che rispetti gli animali ha aperto le porte della sua azienda ai cani dei dipendenti. Grazie al progetto “Dog Hospitality”, tutti i dipendenti possono portare con sé al lavoro il proprio cane.

E nel settore delle pubbliche amministrazioni?

La Lombardia può essere sicuramente considerata capofila nell’ambito del “pets at work”. Dal primo di ottobre del 2021, ad esempio, i dipendenti del Comune di Crema hanno la possibilità, in via sperimentale per un anno, di portare il proprio cane domestico al lavoro.

Anche a Palazzo Marino a Milano, il Regolamento per il benessere e la tutela degli animali- approvato nel 2020- prevede la possibilità di portare in ufficio il proprio cane. Il documento, codice di condotta di riferimento per condurre il proprio animale domestico al lavoro, indica che questo debba essere provvisto di microchip, con tutte le vaccinazioni in regola, e sotto i 25 kg di peso. È possibile ammettere cani di peso superiore, previa autorizzazione dei veterinari dell’Ats.
Infine l’Università di Verona, che, con l’iniziativa “Smart pet working… in office“, consente infatti l’accesso agli animali da compagnia, con l’obiettivo di contribuire al benessere degli impiegati.

Gli animali sul luogo di lavoro curano lo stress e l’ansia da prestazione

“I benefici di avere un animale in ufficio superano le criticità”: così in coro le autorità di Crema e Verona

“Pur consapevoli che ogni situazione dovrà essere vagliata dai dirigenti, perché non sempre la presenza dell’animale può essere compatibile con l’attività di ufficio, abbiamo ritenuto giusto darci questa possibilità” ha spiegato il Sindaco di Crema  Stefania Bonaldi. “I benefici a nostro avviso superano le criticità e vanno da una generale promozione dell’attenzione verso gli animali e la loro cura, alla diminuzione dello stress ed all’aumento della motivazione del lavoratore o della lavoratrice, ad un generale benessere lavorativo, che in ultima analisi va a incidere sulla sua soddisfazione ed efficienza”.

Stesso discorso per il Magnifico Rettore dell’Ateneo di Verona  Pier Francesco Nocini, che sottolinea “avere accanto il proprio pet sembra che migliori notevolmente la performance lavorativa perché rende l’atmosfera più rilassata, stimola la creatività e agevola l’interazione tra i colleghi. Avendo molto a cuore il benessere dei dipendenti del nostro ateneo, abbiamo ritenuto di portare avanti e accelerare questa iniziativa, anche per cercare di rendere più agevole il rientro post lockdown, per quanti si trovano a gestire un distacco brusco con il proprio pet”.

Insomma, piano piano, la cultura pet-friendly sembra far breccia anche da noi.

Naturalmente esistono anche dei rischi, ma per questi le leggi parlano chiaro: in caso di danni arrecati a luoghi o persone, è il padrone del cane ad essere responsabile del proprio cane. Nel caso si presentino danni alla struttura dell’ufficio o del luogo di lavoro, il padrone sarà tenuto a risarcire il danno.

Nel caso, invece, ci siano lesioni a persone, il padrone dovrà rispondere sia economicamente, che in sede penale.
Le aziende inoltre possono richiedere autonomamente delle polizze assicurative ai loro dipendenti, contro i danni causati dal cane a cose, persone o altri animali.

Probabilmente una legge quadro potrebbe aiutare a rendere organiche delle pratiche che oggi, senza una normativa certa che definisca diritti e doveri, sono lasciate alla buona coscienza dei datori di lavoro.

Nel frattempo ci si arrangia come si può. Con risultati incoraggianti. Del resto è noto che portare in ufficio il proprio animale da compagnia genera non pochi benefici sul piano della socialità ed anche della produttività nelle aziende che lo permettono infatti si assiste ad una riduzione dello stress e dell’ansia da prestazione, ad una miglioramento della prestazione lavorativa, ad una riduzione del tasso di assenteismo ed anche ad un marcato rafforzamento socialità e gioco di squadra in ufficio.

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  • Addio alle distinzioni di genere all’Università di Pisa. Arrivano i bagni ‘genderless’, adottati per superare le categorizzazioni uomo-donna, che identificano il genere, e che possono far sentire a disagio o discriminato chi non si riconosce in quello assegnatogli dalla società. 

“È un atto di civiltà per dichiarare in modo fermo il nostro essere un’Università aperta, in cui la differenza è una ricchezza e le discriminazioni non hanno diritto alla cittadinanza", dichiara il rettore Paolo Mancarella.

Sono 86 quelli attivi dal 29 giugno in tutta l’Università di Pisa, la prima in Toscana e tra le prime in Italia ad adottare questa misura. 

"Mi auguro che sia solo l’inizio di una serie di cambiamenti e che possa essere di ispirazione per le altre università e scuole”, ha commentato Geremia, studente diventato in poco tempo il simbolo della battaglia per l’ottenimento della carriera alias. 

Di Gabriele Masiero e Ilaria Vallerini ✍

#lucenews #lucelanazione #universitàdipisa #unipi #bagnigenderless #genderless #geremia #genderrightsandequality
  • La decisione della Corte suprema americana di abolire il diritto all’aborto come principio costituzionale ha scatenato una vera e propria ondata di terrore anche al di fuori dei confini Usa. Una scelta che ha immediatamente sancito una sorta di condanna per milioni di donne in America ma che ha fatto indignare anche cittadini e cittadine di altri Paesi, non ultimi quelli italiani.

La sola legge 194 non basta più.

Anche se il numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia continua a scendere e i tassi di abortività sono tra i più bassi al mondo, a spaventare è l’indagine “Mai Dati!” condotta su oltre 180 strutture dalla professoressa Chiara Lalli e da Sonia Montegiove, informatica e giornalista, pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni.

Il quadro che emerge è drammatico: sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie nazionali con il 100% di personale sanitario obiettore, tra ginecologi, anestesisti, infermieri e OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

A rimetterci, come sempre, sono però le persone, le donne.

L
  • “Quando tutti potranno mostrarsi per quello che sono e che sentono senza subire discriminazioni, allora solo a quel punto potremo dire di aver raggiunto l’uguaglianza“. 

A dichiararlo è Sara Lorusso che in occasione del Pride Month ha tradotto questo pensiero nella sua esposizione fotografica “Our Generation”, curata da Marcella Piccinni, in mostra negli spazi dello Student Hotel di Firenze fino a venerdì 8 luglio. 

“In occasione del Pride Month ho deciso di legare insieme diversi progetti fotografici sull’amore queer e non binary, ma anche sulla libertà di espressione del singolo, che ho realizzato nel corso del tempo. A partire da ‘Love is love’, dove ho immortalato i ritratti di coppie queer. ‘Protect love and lovers’ in cui avevo chiesto a diverse coppie di baciarsi in luoghi pubblici che stessero loro a cuore. E poi ‘Our Generation’ che ritrae persone queer e no-binary libere di esprimersi attraverso l’abbigliamento, gli accessori e il trucco”.

L’intervista completa a cura di Ilaria Vallerini è disponibile sul sito ✨

#lucenews #lucelanazione #saralorusso #ourgeneration #queerlove #pridemonth #proudtobepride #studenthotelfirenze
  • Sono tanti gli esperti e gli attivisti americani che si interrogano se la sentenza della Corte Suprema, che elimina il diritto all’aborto negli Usa, potrà avere impatti anche su altri diritti, compresi quelli alla privacy.

I procuratori possono decidere di indagare su qualsiasi donna che sia stata incinta ma non abbia portato a termine la gravidanza, anche in caso di aborti spontanei.

“La differenza tra ora e l’ultima volta che l’aborto è stato illegale negli Stati Uniti è che viviamo in un’era di sorveglianza digitale senza precedenti”.

A dirlo è la direttrice per la sicurezza informatica della Electronic Frontier Foundation Eva Galperin.

Il caso più eclatante è stato quello di Latice Fisher, la donna del Mississippi che nel 2017 era stata accusata di omicidio di secondo grado dopo aver partorito un bambino nato morto nel terzo trimestre perché, nelle settimane precedenti, aveva cercato online informazioni sulle pillole abortive. Non esisteva nessun’altra prova che Fisher avesse comprato le pillole, ma il caso è comunque durato fino al 2020, quando era stato archiviato.

Le autorità possono decidere di chiedere direttamente alle aziende di fornire i dati in loro possesso relativi a specifici utenti. Non si tratta soltanto di Google, Facebook, Instagram, TikTok o Amazon: a raccogliere dati che possono essere potenzialmente incriminanti sono anche i servizi di telefonia mobile, i provider di servizi Internet e qualsiasi app abbia accesso ai dati sulla posizione. Di solito queste informazioni vengono raccolte a fini pubblicitari, ma possono anche essere acquistate da privati o da forze dell’ordine.

Proprio per questo motivo negli ultimi giorni molte donne americane hanno cancellato le applicazioni per il monitoraggio delle mestruazioni dai loro cellulari, che secondo le stime vengono usate da un terzo delle donne statunitensi, nel timore che i dati raccolti sul proprio ciclo mestruale, o altri dettagli legati alla salute riproduttiva, dalle applicazioni possano essere usati contro di loro in future cause penali negli Stati in cui l’aborto è diventato illegale.

Di Edoardo Martini ✍

#lucenews #lucelanazione #dirittoallaborto #dirittoallaprivacy #usa #roevwade

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La Purina da parte sua  ha lanciato l’iniziativa [email protected] : vengono fissati periodicamente dei giorni in cui è possibile portare il cane in ufficio. Ma l’azienda è impegnata anche  nella formazione, mettendo a disposizione dei manager una guida di consigli per  introdurre politiche pet-friendly nella loro azienda.

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Va detto innanzitutto che nel nostro Paese, nonostante il fatto che oramai 40 milioni di italiani abbiano un qualche animale da compagnia, e solo tra cani e gatti si contino circa 14 milioni di esemplari domestici, secondo le stime più accreditate, non c’è una normativa specifica che disciplini la presenza di animali sui luoghi di lavoro. Esistono però alcune norme generali cui bisogna attenersi, a partire da quelle stabilite a tutela della salvaguardia della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (art. 2087 del Codice Civile) che vietano di portarli in alcuni luoghi particolarmente ‘sensibili’ come ospedali e stabilimenti industriali con lavorazioni ad alto rischio etc.

Poi ci sono i regolamenti aziendali interni, che possono richiedere l’applicazione di alcune regole oppure applicare alcuni divieti. In generale andrà tenuto conto dell’allergia, della paura o del fastidio dei colleghi, prima di decidere di portare il proprio cane in ufficio.

Il dipendente che viola qualsiasi punto del regolamento interno dell’ufficio, rischia una sanzione, un rimprovero o la sospensione, a seconda della gravità del caso.

Se queste condizioni vengono soddisfatte, c’è poi un’ulteriore serie di prescrizioni impartite dal Ministero della Salute. Obbligo di museruola, se richiesto dalle autorità competenti o dal datore di lavoro, per non mettere a rischio gli altri dipendenti, l’obbligo di guinzaglio, che non deve essere superiore ai 150 cm, nei luoghi aperti al pubblico, la registrazione e dotazione obbligatoria di microchip, inserito entro i primi due mesi di vita (così come specificato dalla legge).

Infine bisogna assicurare il mantenimento della pulizia dell’animale e dei luoghi in cui si trova, portando tutto il materiale possibile (paletta, bustine e salviette) per evitare che il cane sporchi i luoghi di condivisione.

Detto questo, quante sono le aziende italiane che hanno ‘aperto’ alla possibilità di portare con sé il proprio cane o il proprio gatto?

L’Italia, rispetto ad altri Paesi, è ancora indietro su questo fronte, anche se alcune grandi multinazionali, presenti anche nel nostro Paese già permettono di portare i cani a lavoro. Tra di loro Nintendo, Google Italia, Gruppo Unicredit e Mars Italia.

Anche la nota stilista Elisabetta Franchi, animalista e grande sostenitrice di una moda cruelty free che rispetti gli animali ha aperto le porte della sua azienda ai cani dei dipendenti. Grazie al progetto “Dog Hospitality”, tutti i dipendenti possono portare con sé al lavoro il proprio cane.

E nel settore delle pubbliche amministrazioni?

La Lombardia può essere sicuramente considerata capofila nell'ambito del "pets at work”. Dal primo di ottobre del 2021, ad esempio, i dipendenti del Comune di Crema hanno la possibilità, in via sperimentale per un anno, di portare il proprio cane domestico al lavoro. Anche a Palazzo Marino a Milano, il Regolamento per il benessere e la tutela degli animali- approvato nel 2020- prevede la possibilità di portare in ufficio il proprio cane. Il documento, codice di condotta di riferimento per condurre il proprio animale domestico al lavoro, indica che questo debba essere provvisto di microchip, con tutte le vaccinazioni in regola, e sotto i 25 kg di peso. È possibile ammettere cani di peso superiore, previa autorizzazione dei veterinari dell’Ats. Infine l'Università di Verona, che, con l’iniziativa "Smart pet working… in office", consente infatti l'accesso agli animali da compagnia, con l’obiettivo di contribuire al benessere degli impiegati.

Gli animali sul luogo di lavoro curano lo stress e l'ansia da prestazione

"I benefici di avere un animale in ufficio superano le criticità": così in coro le autorità di Crema e Verona

"Pur consapevoli che ogni situazione dovrà essere vagliata dai dirigenti, perché non sempre la presenza dell'animale può essere compatibile con l'attività di ufficio, abbiamo ritenuto giusto darci questa possibilità” ha spiegato il Sindaco di Crema  Stefania Bonaldi. "I benefici a nostro avviso superano le criticità e vanno da una generale promozione dell'attenzione verso gli animali e la loro cura, alla diminuzione dello stress ed all'aumento della motivazione del lavoratore o della lavoratrice, ad un generale benessere lavorativo, che in ultima analisi va a incidere sulla sua soddisfazione ed efficienza". Stesso discorso per il Magnifico Rettore dell’Ateneo di Verona  Pier Francesco Nocini, che sottolinea “avere accanto il proprio pet sembra che migliori notevolmente la performance lavorativa perché rende l’atmosfera più rilassata, stimola la creatività e agevola l’interazione tra i colleghi. Avendo molto a cuore il benessere dei dipendenti del nostro ateneo, abbiamo ritenuto di portare avanti e accelerare questa iniziativa, anche per cercare di rendere più agevole il rientro post lockdown, per quanti si trovano a gestire un distacco brusco con il proprio pet”.

Insomma, piano piano, la cultura pet-friendly sembra far breccia anche da noi.

Naturalmente esistono anche dei rischi, ma per questi le leggi parlano chiaro: in caso di danni arrecati a luoghi o persone, è il padrone del cane ad essere responsabile del proprio cane. Nel caso si presentino danni alla struttura dell’ufficio o del luogo di lavoro, il padrone sarà tenuto a risarcire il danno.

Nel caso, invece, ci siano lesioni a persone, il padrone dovrà rispondere sia economicamente, che in sede penale. Le aziende inoltre possono richiedere autonomamente delle polizze assicurative ai loro dipendenti, contro i danni causati dal cane a cose, persone o altri animali.

Probabilmente una legge quadro potrebbe aiutare a rendere organiche delle pratiche che oggi, senza una normativa certa che definisca diritti e doveri, sono lasciate alla buona coscienza dei datori di lavoro.

Nel frattempo ci si arrangia come si può. Con risultati incoraggianti. Del resto è noto che portare in ufficio il proprio animale da compagnia genera non pochi benefici sul piano della socialità ed anche della produttività nelle aziende che lo permettono infatti si assiste ad una riduzione dello stress e dell’ansia da prestazione, ad una miglioramento della prestazione lavorativa, ad una riduzione del tasso di assenteismo ed anche ad un marcato rafforzamento socialità e gioco di squadra in ufficio.

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