L’asterisco della discordia. Messo al posto della vocale finale, per non utilizzare la desinenza di genere, un piccolo segno grafico ha fatto scoppiare un caso a Grosseto. E a farne le spese è stata l’associazione giovanile Clan (Collettivo libero anti-noia) che gestiva le attività del polo culturale cittadino Clarisse Arte, che aveva utilizzato nella bozza newsletter al posto delle parole “bambine e bambini” un più veloce (e inclusivo) “bambin*“, sollevando un polverone di polemiche, finendo nel mirino del cda di Fondazione Grosseto Cultura, la cui maggioranza dei componenti è espressione del Comune di Grosseto, a guida centrodestra. Se l’asterisco è stato utilizzato in “assoluta buonafede” dall’associazione, senza alcun messaggio subliminale o rimando a ‘ideologie’ di genere, a Clan non è però stata rinnovata la convenzione per la gestione della struttura, che scadeva il 31 di dicembre. Una decisione che appare perlomeno sospetta, e secondo il Pd locale “scelta politica” bella e buona, tanto da chiedere le dimissioni dell’intero cda della Fondazione. La risposta di questa è stata tuttavia perentoria: “Nessun licenziamento è imputabile alla vicenda dell’asterisco, che ci stupisce essere stata così erroneamente interpretata”.
L’asterisco nel linguaggio: ideologia o passo avanti per la parità?
Eppure quel piccolo segno è andato decisamente di traverso all’ente, ma soprattutto ha fatto saltare posti di lavoro. L’asterisco è ormai (comunemente ma non per tutt*) utilizzato al posto delle desinenze di genere, per neutralizzare nomi e aggettivi, e soprattutto per sostituire l’ormai obsoleta – e discriminatoria – usanza di indicare tutti e tutte con il “maschile generico“, espressione di una cultura e di una società ancora fortemente maschiliste, dove la parità di genere è ancora un’illusione, per non dire un’utopia. Una semplificazione che sta entrando nel nostro vocabolario – sempre meglio della schwa! – ma che non è sempre apprezzata, anzi. Basta vedere quello che è successo a Grosseto, dove il consiglio di amministrazione della Fondazione Grosseto Cultura non ha digerito il testo della newsletter istituzionale, con cui Clan promuoveva i corsi di espressione artistica riservati a “bambin*”. In quella scelta sintattica e morfologica, infatti, molti conservatori (quali appunto i membri del Cda ma anche associazioni di destra) hanno riscontrato una chiara volontà del collettivo aderire alle tanto discusse “ideologie gender”, un espediente per parlare di temi Lgbtq+, di transessualità e fluidità sessuale ma anche di proporre a* più piccol* forme alternative alla famiglia tradizionale.
Il botta e risposta tra Fondazione Grosseto Cultura e Clan
Se il piccolo asterisco era passato quasi inosservato, essendosi trattato di una bozza della mail, nemmeno di quella ufficiale, un lettore attento deve averlo però notato, denunciando il gravissimo oltraggio tanto che il cda di Fondazione Grosseto Cultura ha inviato una mail all’associazione, imponendo loro di rinnegare -pubblicamente – la cultura di genere. Ma non solo. Per evitare altre spiacevoli “sorprese”, la Fondazione ha pure inviato il testo che la cooperativa avrebbe dovuto diffondere per questa abiura formale. Invito che però Clan ha gentilmente rifiutato, il 13 dicembre scorso, “nella speranza di poter chiarire definitivamente la questione, che nostro malgrado, si è creata… l’Associazione Clan intende rassicurarVi sulla assoluta buona fede del nostro operato. Come anche riconosciuto nel nostro statuto, l’associazione Clan è apolitica e si occupa, nello specifico, di promuovere l’arte e la cultura, avendo cura di rappresentare tutti i suoi numerosi soci, nel pieno rispetto di tutte le ideologie di chi la sostiene….. per tale motivo, non riteniamo opportuno alimentare pubblicamente detta polemica mediante comunicati o post sui social, che potrebbero essere strumentalizzati”. Risposta che, di nuovo, è rimasta indigesta alla Fondazione, la quale a 10 giorni di distanza ha comunicato a Clan la decisione di non rinnovare la convenzione per la gestione dei servizi museali.
Pasto indigesto e boccone amaro
Un vero e propri boccone amaro per la presidente del Collettivo, Mara Pezzopane: “Ci rammarica dover constatare che il lavoro che abbiamo svolto con dedizione, passione e impegno non sia mai stato preso in considerazione […] L’unica interlocuzione con il cda della Fondazione è stato un interrogatorio in stile inquisitorio di una mia collega. Siamo state mandate via ufficialmente con una email del direttore amministrativo, che non ha fatto nulla per mediare tra le parti. A otto giorni dalla scadenza della convenzione, dopo l’invio di una proposta di rinnovo inviata 10 giorni prima da parte di Fondazione, con un’offerta economicamente più bassa, che abbiamo accettato, chiedendo solo di rivedere qualche articolo nella forma e non nella sostanza”. Per i membri di Clan non ci sono dubbi: il mancato rinnovo è dovuto esclusivamente al rifiuto “a riportare un testo scritto di ‘scuse’ per la questione ‘asterisco’ redatte dal cda (Giovanni Tombari, Angelo Mecacci, Alessandra Paolini, Alessandro Corina e Cecilia Bambagioni) e dall’ufficio stampa di Fondazione. Un atteggiamento che lede i nostri diritti, è disonorevole e non democratico“.
“Smentiamo con decisione che il mancato rinnovo della convenzione sia dovuto all’asterisco inserito in una parola”, tuona invece Fondazione Grosseto cultura, secondo la quale la scelta di non rinnovare le convenzioni giunte a scadenza è dettata da “un cambio di gestione per motivazioni esclusivamente legate al miglioramento dei servizi museali. Spiace molto che qualcuno abbia voluto strumentalizzare in chiave politica una scelta esclusivamente tecnica e organizzativa”. La stessa chiave politica che loro stessi avevano utilizzato per aprire la porta della polemica sterile contro quello che, a tutti gli effetti, rimane un semplice segno tracciato con l’inchiostro.