Torturato e perseguitato: il caso di Mohamed Dihani e la difficile coerenza dell’Italia tra diplomazia internazionale e diritti umani

Attivista saharawi detenuto per anni in Marocco, ha ottenuto l’asilo in Italia dopo una lunga battaglia legale. Ma il Ministero dell’Interno ha fatto ricorso e il suo diritto alla protezione è appeso a un filo

di CLAUDIA CANGEMI
21 aprile 2025
Mohamed Dihani, difensore dei diritti umani e attivista per i diritti e l’autodeterminazione del popolo saharawi

Mohamed Dihani, difensore dei diritti umani e attivista per i diritti e l’autodeterminazione del popolo saharawi

MILANO – “La sentenza del Tribunale civile di Roma, depositata il 16 settembre, ha finalmente riconosciuto il diritto alla protezione internazionale per Mohamed Dihani, difensore dei diritti umani e attivista per i diritti e l’autodeterminazione del popolo saharawi. A causa del suo attivismo pacifico, Dihani è stato vittima, per lungo tempo, di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità marocchine, che vanno dalla detenzione arbitraria, alle torture, alle molestie legali e amministrative e alla sorveglianza. ‘Questa importante sentenza rende finalmente giustizia a un difensore dei diritti umani che per anni ha subito conseguenze gravissime in Marocco per il suo attivismo pacifico ed è stato ingiustamente accusato di rappresentare una minaccia per l’Italia’, ha affermato Debora Del Pistoia, ricercatrice di Amnesty International Italia”. Così recitava un articolo datato 20 settembre 2024 sul sito di Amnesty.

Purtroppo, come si dice, l'importante organizzazione che da 50 anni si batte per i diritti umani “ha cantato vittoria troppo presto”. Il ministero dell'Interno ha infatti fatto ricorso contro questa sentenza, e il destino di Mohamed Dihani resta appeso a un filo. Amnesty resta sempre al suo fianco, e in questi giorni il caso Dihani e la lotta del popolo Saharawi sono stati al centro di un affollato incontro al “Cantiere” di Milano. Mohamed ha raccontato la sua storia coraggiosa e tormentata.

Mohamed è nato nel 1986 a El Aiun, capitale del Sahara Occidentale, oggi territorio parzialmente occupato dal Marocco. Già da bambino, all’età di 9 anni, ha subito soprusi e un arresto dalla polizia di occupazione. Si è quindi trasferito in Italia da alcuni parenti, ma nel 2008 è rientrato in Marocco per rivedere la famiglia. A partire da questo momento Mohamed, che non smette la sua militanza a favore del popolo saharawi, subisce la repressione poliziesca.

Viene sequestrato, torturato, scompare per sei mesi, poi viene condannato per “terrorismo” e incarcerato. Del suo caso si occupa anche l’Onu con il Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie, che chiede la revisione del processo. Dopo quattro anni di isolamento viene liberato nel novembre 2015, ma continuamente sorvegliato.

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“Non ho mai compiuto alcun reato o gesto violento. La mia unica colpa è stata di credere nella causa di un popolo da decenni occupato e tenuto sotto il giogo di un Paese occupante straniero – spiega –. Si tratta dell'ultimo caso di colonialismo in Africa. Ho subìto torture e violenze di ogni genere, ma la peggiore è stata la detenzione in isolamento in un carcere di massima sicurezza. Dal punto di vista psicologico poche cose sono più devastanti di essere rinchiuso in una cella per 24 ore al giorno, senza alcun contatto o possibilità di comunicazione con altri esseri umani. Mi veniva concesso di sentire la mia famiglia per 5 minuti una volta al mese”.

Quando finalmente viene rilasciato, come racconta Nigrizia, “Mohamed cerca di tornare in Italia, ma l’Italia gli rifiuta il visto. Con l’aiuto di Amnesty International, che da anni si occupa del suo caso, si trasferisce nel 2019 in Tunisia, che tuttavia gli rifiuta il permesso di soggiorno e gli intima di non fare attività contro il Marocco, che ne chiedeva l’estradizione. Intanto ricorre, con l’assistenza di Amnesty International, al tribunale di Roma per ottenere l’autorizzazione a entrare in Italia per presentare la domanda d’asilo poiché la Tunisia non è più un paese sicuro per lui. Per due volte, nel maggio e luglio 2022, il tribunale intima al ministero degli Esteri di concedere il visto che gli consente finalmente nel luglio dello stesso anno di entrare in Italia, di presentare la domanda d’asilo e di essere ascoltato dalla Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale”.

Malgrado la sua testimonianza e tutte le prove a supporto, l'asilo gli viene negato una prima volta dalla Commissione territoriale competente, in base al fatto che il Marocco viene ritenuto un Paese sicuro e che il suo nome compare in una sorta di “black list” di “terroristi” inserita nel 2010 nella banca dati del SIS (Sistema informativo Schengen) e la sua presenza costituirebbe quindi un “pericolo” per il nostro Paese. Questa segnalazione venne introdotta nel sistema su impulso del Marocco, senza alcuna verifica e riscontro oggettivo. In seguito il Tribunale di Roma ha dichiarato invece che Mohamed Dihani ha diritto all’asilo e, notizia di pochi giorni fa, è stato stabilito che il suo nome debba essere cancellato da quella lista.

“Quando davanti alla Commissione territoriale ho iniziato a parlare delle torture che ho subìto – racconta ancora Dihani – mi è stato chiesto di sottopormi a visite di medici legali. In seguito ho passato un mese e mezzo con due medici legali e altri dodici di varie specializzazioni. Vi assicuro che è molto difficile soprattutto quando devi raccontare certe cose a psichiatri e psicologi. Al termine di questi accertamenti è stato stilato un rapporto di otto pagine che però inspiegabilmente è stato stralciato dalla decisione benché fossero. Della Commissione fanno parte quattro funzionari, tre del Ministero dell’Interno e uno dell’Unhcr: quest’ultimo è stato l’unico a dissentire dalla decisione di negarmi il visto al termine della procedura. Io sono solo uno tra migliaia di persone finite in carcere o vittime di sparizione forzata”.