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Home » Attualità » Bambini e ragazzi orfani, famiglie spezzate e latitanze: come si sopravvive a un femminicidio?

Bambini e ragazzi orfani, famiglie spezzate e latitanze: come si sopravvive a un femminicidio?

Sulle origini e le conseguenze dei femminicidi prova a rispondere il romanzo Non ti lascio alla notte della giornalista Claudia Cangemi: "Ragazzi e bambini sono le prime vittime e lo Stato è ancora troppo assente, nonostante abbia delle responsabilità enormi nei loro confronti"

Sofia Francioni
23 Novembre 2021
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I femminicidi sono registrati dalla cronaca con un ritmo crescente, ma nessuno ci racconta mai cosa accade dopo: come i bambini e i ragazzi, che rimangono orfani in sostanza di entrambi i genitori, sopravvivono a un simile trauma. Come lo fanno le famiglie dell’assassino e quelle della vittima. Nel 2018 la legge n.4 prevede, “dopo anni di latitanza da parte dello Stato”, un primo sostegno in favore degli orfani di crimini domestici: l’accesso al gratuito patrocinio in base al reddito, l’assistenza psicologica e medica gratuite, l’assegnazione di alloggi di edilizia pubblica e la facoltà di cambiare il cognome. “Ma non basta”, dice la giornalista Claudia Cangemi, che con il suo libro Non ti lascio alla notte (Giovane Holden Edizioni) prova ad alzare il velo sulle origini e le conseguenze dei femminicidi. Già autrice di poesie e racconti,  nel suo romanzo d’esordio Cangemi entra infatti lentamente nella storia di Simona, uccisa dal marito Stefano e in quella del piccolo Davide per raccontarne tante altre e dedicare a queste femminicidi più spazio di un titolo di cronaca.

Dopo le donne e le madri, le prime vittime dei femminicidi sono sicuramente i figli che rimangono orfani. Quali problemi incontrano?

“Finora c’è stata troppa poca attenzione verso i 2mila bambini e ragazzi (negli ultimi 10 anni ndr) che si sono ritrovati orfani nel modo peggiore che si possa immaginare. Lo Stato nei loro confronti dovrebbe essere molto più presente, ma lascia invece la loro responsabilità alla famiglia allargata, che non sempre riesce a gestire questi minori estremamente traumatizzati.”

Di che cosa avrebbero bisogno questi bambini?

“Avrebbero bisogno di un sostegno psicologico maggiore, ma anche di un aiuto pratico. Su entrambi gli aspetti c’è stata una lunga latitanza da parte dello Stato. Alcune associazioni si sono fatte sentire e negli anni dei miglioramenti ci sono stati”.

Di che tipo? 

“L’anno scorso c’è stato uno stanziamento di fondi per dare a questi bambini e ragazzi la possibilità di usufruire sia del sostegno psicologico, sia per aiutarli nella costruzione del loro futuro grazie a opportunità di formazione e di lavoro in modo da avviarli in un percorso di indipendenza. Ma non basta”.

Solitamente chi mantiene economicamente questi minori? 

“Le famiglie della madre che spesso sono in grande difficoltà e le associazioni di volontari perché, appunto, l’aiuto statale non è sufficiente. Spesso le vittime dei femminicidi denunciano prima di morire i loro assassini, ma il sistema non riesce comunque a proteggerle. Se ci pensiamo, la responsabilità dello Stato verso questi minori è davvero enorme”.

Nel suo libro Non ti lascio alla notte lei scandaglia più punti di vista: i ruoli dei minori, delle famiglie coinvolte, della vittima e dell’omicida. Perché? 

“Ho scritto questo libro perché ho sempre avuto l’impressione da giornalista che un articolo fosse uno spazio troppo ristretto per esaurire il racconto di tragedie simili. Assumere il punto di vista dell’omicida è stato difficile, ma l’ho voluto fare perché liquidare gli autori di questi fatti come dei “pazzi” o degli “squilibrati” o dei “mostri” penso sia molto pericoloso. Gli uomini che uccidono le donne spesso non provengono da un passato di malattia mentale, di malvagità o criminalità. Anzi, sono spesso delle persone considerate fino a quel momento normali. Ma credere che certi gesti appartengano a un mondo estraneo e diverso da quello in cui viviamo, relegandolo alla sfera della “mostruosità”, porta a sottovalutarne il rischio”.

Da dove partire per eliminare questo fenomeno?

“Dall’educazione delle nuove generazioni alle relazioni e al rispetto dell’altro, perché anche tra i ragazzini si registrano casi di femminicidi. C’è molto da fare, perché i giovani e gli adolescenti non si conoscono ancora bene e spesso non sanno gestire le proprie emozioni, in particolar modo la rabbia”.

Parla delle adolescenti o degli adolescenti? 

“I ragazzi sono meno propensi a condividere le emozioni con gli amici, rispetto alle ragazze. Non sanno gestire la rabbia perché non vogliono accettarla e non sanno chiedere aiuto. Le ragazze, invece, che hanno più confidenza con le emozioni, dovrebbero stare attente a non farsi oggettificare e a riconoscere i segnali d’allarme di una relazione tossica. A entrambi comunque andrebbe spiegato che l’amore non è possesso, che amare non significa non poter vivere senza l’altro, come stupidamente si sente dire, l’amore è libertà ed è rispetto”.

 

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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I femminicidi sono registrati dalla cronaca con un ritmo crescente, ma nessuno ci racconta mai cosa accade dopo: come i bambini e i ragazzi, che rimangono orfani in sostanza di entrambi i genitori, sopravvivono a un simile trauma. Come lo fanno le famiglie dell'assassino e quelle della vittima. Nel 2018 la legge n.4 prevede, "dopo anni di latitanza da parte dello Stato", un primo sostegno in favore degli orfani di crimini domestici: l’accesso al gratuito patrocinio in base al reddito, l'assistenza psicologica e medica gratuite, l’assegnazione di alloggi di edilizia pubblica e la facoltà di cambiare il cognome. "Ma non basta", dice la giornalista Claudia Cangemi, che con il suo libro Non ti lascio alla notte (Giovane Holden Edizioni) prova ad alzare il velo sulle origini e le conseguenze dei femminicidi. Già autrice di poesie e racconti,  nel suo romanzo d'esordio Cangemi entra infatti lentamente nella storia di Simona, uccisa dal marito Stefano e in quella del piccolo Davide per raccontarne tante altre e dedicare a queste femminicidi più spazio di un titolo di cronaca. Dopo le donne e le madri, le prime vittime dei femminicidi sono sicuramente i figli che rimangono orfani. Quali problemi incontrano? "Finora c'è stata troppa poca attenzione verso i 2mila bambini e ragazzi (negli ultimi 10 anni ndr) che si sono ritrovati orfani nel modo peggiore che si possa immaginare. Lo Stato nei loro confronti dovrebbe essere molto più presente, ma lascia invece la loro responsabilità alla famiglia allargata, che non sempre riesce a gestire questi minori estremamente traumatizzati." Di che cosa avrebbero bisogno questi bambini? "Avrebbero bisogno di un sostegno psicologico maggiore, ma anche di un aiuto pratico. Su entrambi gli aspetti c'è stata una lunga latitanza da parte dello Stato. Alcune associazioni si sono fatte sentire e negli anni dei miglioramenti ci sono stati". Di che tipo?  "L'anno scorso c'è stato uno stanziamento di fondi per dare a questi bambini e ragazzi la possibilità di usufruire sia del sostegno psicologico, sia per aiutarli nella costruzione del loro futuro grazie a opportunità di formazione e di lavoro in modo da avviarli in un percorso di indipendenza. Ma non basta". Solitamente chi mantiene economicamente questi minori?  "Le famiglie della madre che spesso sono in grande difficoltà e le associazioni di volontari perché, appunto, l'aiuto statale non è sufficiente. Spesso le vittime dei femminicidi denunciano prima di morire i loro assassini, ma il sistema non riesce comunque a proteggerle. Se ci pensiamo, la responsabilità dello Stato verso questi minori è davvero enorme". Nel suo libro Non ti lascio alla notte lei scandaglia più punti di vista: i ruoli dei minori, delle famiglie coinvolte, della vittima e dell'omicida. Perché?  "Ho scritto questo libro perché ho sempre avuto l'impressione da giornalista che un articolo fosse uno spazio troppo ristretto per esaurire il racconto di tragedie simili. Assumere il punto di vista dell'omicida è stato difficile, ma l'ho voluto fare perché liquidare gli autori di questi fatti come dei "pazzi" o degli "squilibrati" o dei "mostri" penso sia molto pericoloso. Gli uomini che uccidono le donne spesso non provengono da un passato di malattia mentale, di malvagità o criminalità. Anzi, sono spesso delle persone considerate fino a quel momento normali. Ma credere che certi gesti appartengano a un mondo estraneo e diverso da quello in cui viviamo, relegandolo alla sfera della "mostruosità", porta a sottovalutarne il rischio". Da dove partire per eliminare questo fenomeno? "Dall'educazione delle nuove generazioni alle relazioni e al rispetto dell'altro, perché anche tra i ragazzini si registrano casi di femminicidi. C'è molto da fare, perché i giovani e gli adolescenti non si conoscono ancora bene e spesso non sanno gestire le proprie emozioni, in particolar modo la rabbia". Parla delle adolescenti o degli adolescenti?  "I ragazzi sono meno propensi a condividere le emozioni con gli amici, rispetto alle ragazze. Non sanno gestire la rabbia perché non vogliono accettarla e non sanno chiedere aiuto. Le ragazze, invece, che hanno più confidenza con le emozioni, dovrebbero stare attente a non farsi oggettificare e a riconoscere i segnali d'allarme di una relazione tossica. A entrambi comunque andrebbe spiegato che l'amore non è possesso, che amare non significa non poter vivere senza l'altro, come stupidamente si sente dire, l'amore è libertà ed è rispetto".  
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