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Home » Attualità » Benessere mentale e psicoterapia: i 10 consigli prima di iniziare il percorso

Benessere mentale e psicoterapia: i 10 consigli prima di iniziare il percorso

Il decalogo è stato formulato da Serenis, startup fondata nel 2021. Silvia Wang lancia l'allarme sulla questione salute: "Manca la cultura"

Edoardo Martini
16 Dicembre 2022
I fondatori di Serenis, Silva Wang e Daniele Francescon

I fondatori di Serenis, Silva Wang e Daniele Francescon

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Un decalogo per chi si approccia per la prima volta a un percorso di psicoterapia. E’ quanto elaborato da Serenis, la tech company per il benessere mentale accessibile, che ha formulato dieci consigli e indicazioni per chi sta pensando di affidarsi a un supporto psicologico, anche attraverso una piattaforma di terapia a distanza.

Il team di Serenis, startup fondata nel 2021 che vanta all’interno oltre 400 psicoterapeuti

Serenis, la piattaforma digitale per il benessere mentale

Secondo il Rapporto sulla salute mentale del Ministero della Salute 2022, relativo all’anno 2020, sono oltre 700.000 gli assistiti da servizi specialistici, con una percentuale maggiore nel caso di pazienti di sesso femminile (53,6%). Dati che differiscono anche in relazione all’età, che riflette l’invecchiamento generale della popolazione: quasi il 70% dei pazienti risulta avere più di 45 anni, mentre la maggior concentrazione si ha nella fascia 45-54 e 55-64. Nonostante i numeri dipingano un quadro piuttosto chiaro, in cui le persone entrate per la prima volta in contatto con uno specialista nel 2020 sono oltre 200.000, gli investimenti pubblici in questa direzione continuano a mancare, a discapito soprattutto delle nuove generazioni, sempre più aperte e bisognose di questo genere di opportunità. Tra carenza di personale e mancanza di fondi, un settore già messo in ginocchio dal biennio pandemico rischia ora di subire un altro grande colpo, poiché gli investimenti, che avrebbero dovuto raggiungere almeno il 5% del fondo sanitario nazionale, sono crollati al 2,75% nel 2020, insieme all’aumento delle persone in necessità non solo tra il 2018 e il 2020, ma verosimilmente anche nei due anni successivi non ancora censiti, durante i quali la popolazione mondiale si è trovata a dover affrontare i danni provocati dal Covid-19.

Ed è in questo quadro catastrofico che si inserisce Serenis, centro medico autorizzato dall’ATS che offre la possibilità di supporto psicologico e psicoterapia in videochiamata a prezzi contenuti. Fondata nel 2021 da Silvia Wang e Daniele Francescon, la startup, composta da oltre 400 psicoterapeuti, si è posta fin da subito l’obiettivo di demolire del tutto i tabù che ancora persistono sul tema e di fare chiarezza sugli aspetti principali da tenere in considerazione se si vuole approcciare per la prima volta la psicoterapia.

 I 10 comandamenti della tech company

Privacy e ambiente confortevole sono due elementi che non possono mancare durante un percorso di psicoterapia (anche da remoto), soprattutto agli inizi, quando si deve ancora entrare in confidenza con il proprio interlocutore. Così facendo ci si potrà raccontare in tranquillità, senza il timore di essere ascoltati.

Dimostrarsi propensi al cambiamento per costruire quella che è anche nota come alleanza terapeutica, ovvero la solida collaborazione tra specialista e paziente, che insieme lavorano per raggiungere gli obiettivi prefissati. Cercare supporto in qualcun altro presuppone molto coraggio in chi opera questa scelta, perché implica la possibile messa in discussione di punti fermi e regole della vita di ognuno di noi: per questo è importante che la seduta psicoterapeutica rappresenti un luogo sicuro in cui aprirsi, svelare esperienze e fragilità che in altri contesti si terrebbero nascoste e dare inizio a un percorso privo di pregiudizi e soggettività al fianco di un professionista.

Ridurre la luminosità sullo schermo (se da remoto) potrebbe sembrare un consiglio secondario, eppure è di fondamentale importanza perché permette di creare un ambiente favorevole nel contesto in cui ci si trova e di non stancare troppo gli occhi nel corso della seduta.

Comodità, prima di tutto. Trovare una postazione comoda, qualunque essa sia, consente a chi parla di essere a proprio agio e non avere altri pensieri, mantenendo così la concentrazione solo sul discorso.

Parlare di pancia, sempre. Specie nel primo incontro, è molto importante lasciarsi andare alle proprie sensazioni, dubbi o paure, raccontando che cosa ha portato a intraprendere questo percorso e ricordando che non ci sono risposte giuste o sbagliate.

Prendersi il proprio tempo: non esistono tempi prestabiliti nel supporto psicologico, ma ognuno ha il proprio orologio e non è mai necessario, né efficace, correre, cercando invece di assecondare i propri bisogni e superare gli ostacoli un passo dopo l’altro.

Qualcosa non funziona? Niente paura. Può capitare, come nella vita, di trovarsi di fronte a qualcuno con cui “non scatta la scintilla” e di avere la sensazione che qualcosa non vada. Il problema non è necessariamente il terapeuta, o la sua professionalità, ma semplicemente potrebbe mancare l’alchimia e di conseguenza un rapporto di fiducia, senza il quale è complicato continuare. Parlarne con il proprio terapeuta e vocalizzare le proprie sensazioni è il primo passo per provare a trovare un punto di incontro da cui ripartire.

Fiducia, fiducia, fiducia. Come anticipato, non è detto che la prima volta sia quella buona e potrebbe succedere di sentirsi persi, fuori posto o davanti alla persona sbagliata. Spesso, però, a fare la differenza è il tempo ed è attraverso il dialogo con il terapeuta che il paziente può trovare la chiave per ridurre gli attriti e instaurare un rapporto di fiducia. Non esiste una ricetta universale, perché ognuno ha le proprie esperienze di vita e storie personali, per cui ogni dialogo è unico e a sé stante.

Una piccola parentesi utile prima di vedere gli ultimi due punti. Nella convinzione di cominciare un percorso di psicoterapia ha molta influenza anche il fattore economico. Situazione che è stata tentata di risolvere grazie al Bonus Psicologo, che ha però potuto coprire solo 41.000 domande delle quasi 400.000 arrivate (circa 1 su 10). Proprio per questo la startup ha pensato anche a tutti coloro che non hanno ricevuto il bonus, ma che hanno sentito la necessità di ricevere cure e non potendo permettersi i costi di una terapia li ha indirizzati verso alcuni enti che prestano servizi di supporto gratuito.

Per tutti i maggiorenni ci sono il Progetto Itaca, al numero 800 274 274, e quello della Croce Rossa, al 1520, linee d’ascolto gratuite di supporto psicologico attive 24 ore su 24. Per i minorenni, invece, sempre gratuitamente, oltre alla rete nazionale dei consultori, che non prestano servizio solo alle donne, in Italia è sempre attivo anche il Telefono Azzurro (dai 13 ai 18 anni), al numero 19696 con anche la chat.

Per le donne, oltre al Progetto Itaca, Croce Rossa e i consultori italiani, c’è anche MamaChat, un canale gratuito e anonimo per orientarsi nel proprio problema.

“La salute mentale dovrebbe avere la stessa dignità di ogni altra questione sanitaria”

La giovane imprenditrice Silva Wang, co-founder di Serenis

La co-founder di Serenis, Silvia Wang, conclude così sul tema del benessere mentale in Italia e sulla questione bonus: “È un’iniziativa benintenzionata, ma a nostro giudizio rivela alcuni problemi culturali. Il primo: lo Stato pensa di risolvere il problema della salute mentale dando un bonus, come se la salute mentale fosse accessoria. In realtà, la salute mentale dovrebbe avere la stessa dignità di ogni altra questione sanitaria, quindi essere offerta gratuitamente in forma pubblica. Il secondo: la mancanza di consapevolezza. L’iniziativa, per com’è stata pensata, presenta molte note stonate: un meccanismo farraginoso, risorse ripartite per popolazione invece che per bisogno e tempi lunghissimi. Persino il nome è improprio: il bonus psicologo non può essere usato da uno psicologo, inoltre psicologo e psicoterapeuta non sono sinonimi. Anche per noi che ci lavoriamo dentro non è facile orientarsi tra la terminologia, i confini tra le professioni e le aree di intervento. Il problema è sempre lo stesso: manca la cultura”.

 

 

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Un decalogo per chi si approccia per la prima volta a un percorso di psicoterapia. E' quanto elaborato da Serenis, la tech company per il benessere mentale accessibile, che ha formulato dieci consigli e indicazioni per chi sta pensando di affidarsi a un supporto psicologico, anche attraverso una piattaforma di terapia a distanza.
Il team di Serenis, startup fondata nel 2021 che vanta all'interno oltre 400 psicoterapeuti

Serenis, la piattaforma digitale per il benessere mentale

Secondo il Rapporto sulla salute mentale del Ministero della Salute 2022, relativo all’anno 2020, sono oltre 700.000 gli assistiti da servizi specialistici, con una percentuale maggiore nel caso di pazienti di sesso femminile (53,6%). Dati che differiscono anche in relazione all’età, che riflette l’invecchiamento generale della popolazione: quasi il 70% dei pazienti risulta avere più di 45 anni, mentre la maggior concentrazione si ha nella fascia 45-54 e 55-64. Nonostante i numeri dipingano un quadro piuttosto chiaro, in cui le persone entrate per la prima volta in contatto con uno specialista nel 2020 sono oltre 200.000, gli investimenti pubblici in questa direzione continuano a mancare, a discapito soprattutto delle nuove generazioni, sempre più aperte e bisognose di questo genere di opportunità. Tra carenza di personale e mancanza di fondi, un settore già messo in ginocchio dal biennio pandemico rischia ora di subire un altro grande colpo, poiché gli investimenti, che avrebbero dovuto raggiungere almeno il 5% del fondo sanitario nazionale, sono crollati al 2,75% nel 2020, insieme all’aumento delle persone in necessità non solo tra il 2018 e il 2020, ma verosimilmente anche nei due anni successivi non ancora censiti, durante i quali la popolazione mondiale si è trovata a dover affrontare i danni provocati dal Covid-19.

Ed è in questo quadro catastrofico che si inserisce Serenis, centro medico autorizzato dall'ATS che offre la possibilità di supporto psicologico e psicoterapia in videochiamata a prezzi contenuti. Fondata nel 2021 da Silvia Wang e Daniele Francescon, la startup, composta da oltre 400 psicoterapeuti, si è posta fin da subito l’obiettivo di demolire del tutto i tabù che ancora persistono sul tema e di fare chiarezza sugli aspetti principali da tenere in considerazione se si vuole approcciare per la prima volta la psicoterapia.

 I 10 comandamenti della tech company

Privacy e ambiente confortevole sono due elementi che non possono mancare durante un percorso di psicoterapia (anche da remoto), soprattutto agli inizi, quando si deve ancora entrare in confidenza con il proprio interlocutore. Così facendo ci si potrà raccontare in tranquillità, senza il timore di essere ascoltati. Dimostrarsi propensi al cambiamento per costruire quella che è anche nota come alleanza terapeutica, ovvero la solida collaborazione tra specialista e paziente, che insieme lavorano per raggiungere gli obiettivi prefissati. Cercare supporto in qualcun altro presuppone molto coraggio in chi opera questa scelta, perché implica la possibile messa in discussione di punti fermi e regole della vita di ognuno di noi: per questo è importante che la seduta psicoterapeutica rappresenti un luogo sicuro in cui aprirsi, svelare esperienze e fragilità che in altri contesti si terrebbero nascoste e dare inizio a un percorso privo di pregiudizi e soggettività al fianco di un professionista. Ridurre la luminosità sullo schermo (se da remoto) potrebbe sembrare un consiglio secondario, eppure è di fondamentale importanza perché permette di creare un ambiente favorevole nel contesto in cui ci si trova e di non stancare troppo gli occhi nel corso della seduta. Comodità, prima di tutto. Trovare una postazione comoda, qualunque essa sia, consente a chi parla di essere a proprio agio e non avere altri pensieri, mantenendo così la concentrazione solo sul discorso. Parlare di pancia, sempre. Specie nel primo incontro, è molto importante lasciarsi andare alle proprie sensazioni, dubbi o paure, raccontando che cosa ha portato a intraprendere questo percorso e ricordando che non ci sono risposte giuste o sbagliate. Prendersi il proprio tempo: non esistono tempi prestabiliti nel supporto psicologico, ma ognuno ha il proprio orologio e non è mai necessario, né efficace, correre, cercando invece di assecondare i propri bisogni e superare gli ostacoli un passo dopo l’altro. Qualcosa non funziona? Niente paura. Può capitare, come nella vita, di trovarsi di fronte a qualcuno con cui "non scatta la scintilla" e di avere la sensazione che qualcosa non vada. Il problema non è necessariamente il terapeuta, o la sua professionalità, ma semplicemente potrebbe mancare l’alchimia e di conseguenza un rapporto di fiducia, senza il quale è complicato continuare. Parlarne con il proprio terapeuta e vocalizzare le proprie sensazioni è il primo passo per provare a trovare un punto di incontro da cui ripartire. Fiducia, fiducia, fiducia. Come anticipato, non è detto che la prima volta sia quella buona e potrebbe succedere di sentirsi persi, fuori posto o davanti alla persona sbagliata. Spesso, però, a fare la differenza è il tempo ed è attraverso il dialogo con il terapeuta che il paziente può trovare la chiave per ridurre gli attriti e instaurare un rapporto di fiducia. Non esiste una ricetta universale, perché ognuno ha le proprie esperienze di vita e storie personali, per cui ogni dialogo è unico e a sé stante. Una piccola parentesi utile prima di vedere gli ultimi due punti. Nella convinzione di cominciare un percorso di psicoterapia ha molta influenza anche il fattore economico. Situazione che è stata tentata di risolvere grazie al Bonus Psicologo, che ha però potuto coprire solo 41.000 domande delle quasi 400.000 arrivate (circa 1 su 10). Proprio per questo la startup ha pensato anche a tutti coloro che non hanno ricevuto il bonus, ma che hanno sentito la necessità di ricevere cure e non potendo permettersi i costi di una terapia li ha indirizzati verso alcuni enti che prestano servizi di supporto gratuito. Per tutti i maggiorenni ci sono il Progetto Itaca, al numero 800 274 274, e quello della Croce Rossa, al 1520, linee d'ascolto gratuite di supporto psicologico attive 24 ore su 24. Per i minorenni, invece, sempre gratuitamente, oltre alla rete nazionale dei consultori, che non prestano servizio solo alle donne, in Italia è sempre attivo anche il Telefono Azzurro (dai 13 ai 18 anni), al numero 19696 con anche la chat. Per le donne, oltre al Progetto Itaca, Croce Rossa e i consultori italiani, c’è anche MamaChat, un canale gratuito e anonimo per orientarsi nel proprio problema.

"La salute mentale dovrebbe avere la stessa dignità di ogni altra questione sanitaria"

La giovane imprenditrice Silva Wang, co-founder di Serenis
La co-founder di Serenis, Silvia Wang, conclude così sul tema del benessere mentale in Italia e sulla questione bonus: "È un’iniziativa benintenzionata, ma a nostro giudizio rivela alcuni problemi culturali. Il primo: lo Stato pensa di risolvere il problema della salute mentale dando un bonus, come se la salute mentale fosse accessoria. In realtà, la salute mentale dovrebbe avere la stessa dignità di ogni altra questione sanitaria, quindi essere offerta gratuitamente in forma pubblica. Il secondo: la mancanza di consapevolezza. L’iniziativa, per com’è stata pensata, presenta molte note stonate: un meccanismo farraginoso, risorse ripartite per popolazione invece che per bisogno e tempi lunghissimi. Persino il nome è improprio: il bonus psicologo non può essere usato da uno psicologo, inoltre psicologo e psicoterapeuta non sono sinonimi. Anche per noi che ci lavoriamo dentro non è facile orientarsi tra la terminologia, i confini tra le professioni e le aree di intervento. Il problema è sempre lo stesso: manca la cultura".    
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