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Home » Attualità » Bullismo, l’associazione “Fare X Bene” in prima linea per aiutare i giovani

Bullismo, l’associazione “Fare X Bene” in prima linea per aiutare i giovani

Giusy Laganà: "Siamo nati come onlus di servizio per le donne vittime di violenza e per promuovere la cultura della tolleranza e del benessere nelle scuole"

Andrea Mucci
16 Marzo 2023
Giusy Laganà, direttrice generale di "Fare X Bene" Onlus

Giusy Laganà, direttrice generale di "Fare X Bene" Onlus

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L’associazione “Fare X Bene Onlus è attiva dal 2009 contro ogni forma di violenza e discriminazione, in particolare nei confronti di donne, bambini e persone con disabilità. Con passione porta la multidisciplinarietà nella propria attività, soprattutto nelle scuole. Per scoprirne la storia, le attività e gli obiettivi abbiamo sentito Giusy Laganà, direttrice generale di questa significativa realtà.

Il nome della vostra associazione è già un manifesto: come nasce e quale è la storia di “Fare X Bene”, le sue attività e gli scopi?

“L’associazione nasce oltre tredici anni fa dalla volontà di alcune persone – che già lavoravano in questo settore o provenivano comunque dal mondo dell’imprenditoria – di dare vita a un’associazione di tipo diverso nel panorama italiano, dove tutti i professionisti che venivano dal mondo profit o del no profit, ma con una grande competenza, realizzassero progetti concreti. Nella nostra testa ‘Fare X Bene’ doveva essere quella che può essere definita come un’associazione di servizio: non avere costi fissi. Noi non abbiamo una sede fissa, siamo tutti professionisti esterni che hanno anche altri lavori: io, ad esempio, sono un’insegnante, il presidente dell’associazione è l’ex proprietario di ‘Salmoiraghi & Viganò’, il disegnatore del logo dell’associazione è stato il grande stilista, imprenditore Elio Fiorucci e la vice presidente, Monica Savaresi, era una delle produttrici di Zelig, quindi del mondo di Bananas”.

Quindi?

“Oltre il novantacinque per cento dei nostri costi sono i progetti. Abbiamo infatti azzerato quelli che sono i costi vivi (strutture, sedi, telefoni, stipendi, spese per raccolta fondi) dedicando tutte le nostre risorse ai progetti”.

Come?

“Noi lavoriamo in tutta Italia sostanzialmente all’interno delle scuole e ci incontriamo presso tutte quelle realtà aziendali con le quali collaboriamo”.

Cosa fate nella pratica?

“Da sempre aiutiamo e facciamo consulenza legale e psicologica nei confronti delle donne e delle ragazze vittime di violenza. Abbiamo uno sportello presso Coin, attivo a Catania e a Milano e online”.

Altri luoghi in cui lavorate?

“Nelle scuole, perché durante il Covid si è molto acuito il tema della violenza domestica e del cyberbullismo: i ragazzi hanno sdoganato la formula dell’utilizzo dei device e del cellulare per farsi del male, mandarsi foto, per revenge porn, sexting, aumentati in percentuali notevoli come la violenza domestica. Lo sportello è nato prima di tutto come online”.

Un momento del premio "Women for Women" con Valentina Pitzalis
Un momento del premio “Women for Women” con Valentina Pitzalis

L’associazione ha iniziato la sua attività facendo assistenza e consulenza alle donne vittime di violenza, “per esempio a Valentina Pitzalis, donna bruciata viva dal marito e sopravvissuta al rogo con la perdita di una mano” Giusy Laganà spiega che assieme alla Pitzalis, con cui ha scritto il libro “Nessuno può toglierti il sorriso”, e che è ambassador dell’associazione, si reca nelle scuole per dare testimonianza.

Lavorate per diffondere conoscenza e fare prevenzione?

“Lavorando su queste tematiche ci siamo resi subito conto che il nostro lavoro è monco se non facciamo anche prevenzione: se io assisto e aiuto le donne vittime di violenza agisco sempre in emergenza; io devo andare però a scardinare questo sistema facendo anche prevenzione, sensibilizzazione, educazione nelle scuole”.

La vostra associazione è impegnata nella sensibilizzazione nelle scuole, nelle piazze e sul web, in particolare contro bullismo e cyberbullismo. Il video #maipiùunbancovuoto ha avuto milioni di visualizzazioni e centinaia di migliaia di condivisioni, ma le misure legislative adottate in materia – in primis la legge del 2017 contro il cyberbullismo – non hanno arginato il fenomeno. Cosa manca ancora?

“Il bullismo e cyberbullismo sono una forma di violenza, se ne parla per ragazzi che non devono aver compiuto diciotto anni e questo è un tema immenso: non è quindi una litigata fra due persone adulte. Il bullismo è solo tra ragazzi e deve essere compiuto più volte per essere tale, altrimenti è un’altra forma di reato. Se io riprendo e metto online un gesto violento verso un’altra persone quella forma di bullismo diventa cyberbullismo. La legge del 2017 ha stabilito una cosa fondamentale: per il cyberbullismo non c’è bisogno che io ripeta quel gesto cinquanta volte”.

Ci spiega meglio?

“Se Carolina Picchio ha avuto un video che è stato messo online una sola volta, quella volta sola è bastata a rovinarle la reputazione. Carolina è morta di vergogna, è morta per quel video che potevano vedere i nonni, gli zii, i parenti, il papà, il prete all’oratorio, i professori e quindi non è sopravvissuta a quella solitudine, perchè è stato fatto da quelli che lei definiva degli amici”.

Cosa è necessario fare, allora?

“Quella legge c’è, ma deve essere attuata, come la legge contro la violenza di genere, perché se io commetto un gesto di quel tipo devo prendere il ragazzo, ammonirlo: cartellino giallo, ‘non lo devi fare più'”.

E in seguito?

“Cartellino rosso, a quel punto il ragazzo va messo alla prova. E da quel momento in poi, due, tre anni, io ti monitorerò. Dobbiamo farlo perché – cosa fondamentale – spesso questi fatti non vengono denunciati dagli adulti perché ‘altrimenti questi ragazzi li roviniamo, perché se no poi si traumatizzano’”.

Ma alla vittima chi ci pensa?

“Se noi adulti di riferimento, professori, non compiamo un gesto fondamentale che è quello di uscire dall’omertà e di denunciarli, noi questo trend non lo scardiniamo. Dobbiamo fare in modo che i ragazzi non si vergognino e non si sentano sbagliati e non abbiano paura di raccontare questi fenomeni. Ma se noi per primi come adulti non gli diamo questa possibilità, quella legge è vuota: non la possiamo attuare se non denunciamo”.

Un momento del progetto "Spalla a Spalla" con il tennista Matteo Berrettini
Un momento del progetto “Spalla a Spalla” con il tennista Matteo Berrettini

L’associazione cosa insegna ai ragazzi?

“Che ognuno è unico nel suo genere e ha le proprie caratteristiche. Quando un ragazzo viene preso in giro, noi adulti non dobbiamo sminuire dicendo che è uno scherzo. Lo scherzo è tale se tutti ridiamo. Io devo ridere con gli altri, non devo ridere degli altri”.

Quanto è importante scardinare i falsi miti?

“Tanto. ‘Il bullismo fortifica, se non uccide mi rende più forte, che tanto passerà…’ non va bene. Sarebbe come dire che si può capire la malattia solo se la si prova: questo non è vero. Io non ho bisogno di fortificarmi con il dolore. Tutti i ragazzi ci dicono che alle scuole medie sono stati male, hanno vissuto male, non avevano nessuno a cui dirlo, si sentivano sbagliati e soli. Un ragazzo su dieci tenta di togliersi la vita perché vittima di questo, perché viviamo nell’epoca dell’apparenza, perché se non ho abbastanza like i miei genitori me li comprano per il compleanno. Dobbiamo insegnare loro che possono venire a parlare con gli adulti e devono denunciare e questa legge deve funzionare anche colpendo i testimoni e gli spettatori omertosi. La legge del 2017 deve essere attuata nelle scuole e dobbiamo sanzionare tutti quei ragazzi che vedono e stanno zitti, che vedono e dicono che tanto non riguarda loro”.

Altrimenti?

“Perché se tutti la pensiamo così il bullo ha degli spettatori, dei testimoni. Il bullo è un ragazzo che non sta bene, che soffre, che sicuramente ha problemi, a cui noi dobbiamo insegnare che ciò che fa è sbagliato e non lo rende migliore. E se togliamo un pubblico a uno spettacolo, il bullo per chi lo fa?”.

Un'iniziativa a Rozzano (Milano) con il rapper poliziotto Revman
Un’iniziativa a Rozzano (Milano) con il rapper poliziotto Revman

Fra i nuovi Cavalieri al Merito della Repubblica Italiana, nominati dal presidente Sergio Mattarella figura Simona Fedele, autista dell’Atac di Roma che ha fermato il mezzo che conduceva per soccorrere un ragazzino bullizzato nel bus. Secondo la vostra esperienza la comunità, la scuola, la famiglia svolgono oggi a pieno il loro ruolo di attenzione, tutela, ed educazione con i ragazzi per prevenire la violenza? E quali le principali cause di questa? Dove particolarmente si annida?

“La legge del 2017 ha stabilito una cosa fondamentale: ogni scuola deve avere un referente bullismo e cyberbullismo, un professore quindi formato – attraverso ore di apprendimento e di formazione – su quelle tematiche. Quando poi questi fenomeni avvengono fuori della scuola – continua la direttrice – la comunità educante: famiglia, professori e tutti gli adulti – come questa donna che guidava l’autobus – sono chiamati a essere presenti”.

Secondo Giusy Laganà all’interno della scuola i professori devono capire che quando un ragazzo si apre e prova a raccontare qualcosa con molta fatica deve essere ascoltato, senza che gli si dica che il fatto è avvenuto magari fuori dalla scuola o sulla chat della classe: “tutto ciò di cui i genitori, i professori e gli adulti di riferimento sono informati riguarda loro”.

Dunque?

“Riguarda noi. Se domani un ragazzino si fa del male perché non siamo intervenuti perché non ci riguardava, è colpa nostra, ne siamo responsabili. I professori devono prendere l’impegno di ascoltare i ragazzi, rendersi partecipi di questo e tentare di capire che cosa accade”.

Si sottolinea che l’associazione aiuta molte scuole a scrivere le cosiddette “linee guida” – che ogni plesso dovrebbe avere visibili sul sito della scuola – in quanto ogni istituto che ha il referente bullismo e cyberbullismo ha poi un team che scrive anche le regole interne all’istituto. Laganà spiega che ci sono alcune forme che devono essere denunciate, come quella di Carolina Picchio, altre in cui i docenti contattano i genitori, ne parlano insieme per dare sanzioni, attività da fare, di recupero, di re-inserimento al fine di comprendere dove si è sbagliato. “Noi – precisa la direttrice – veniamo spesso chiamati nelle scuole a fare dei percorsi che realizziamo con le aziende e forniamo gratuitamente, oppure la Onlus è chiamata direttamente dalle scuole”.

Un momento del progetto affettività e sessualità nelle scuole
Un momento del progetto affettività e sessualità nelle scuole

Il caso di cronaca

Laganà riporta un episodio raccontatole: “un ragazzino è entrato a scuola con un coltellino serramanico e ha minacciato un proprio compagno, appendendolo al muro. Alla domanda ai professori su cosa abbiano fatto dopo l’accaduto è stato risposto: il ragazzino col coltellino è stato sospeso. Quello che dovrebbero fare gli adulti e che dice la legge – riflette la dottoressa – è ascoltare i ragazzi, prendere la vittima, il bullo, i testimoni spettatori e capire che cosa è successo: attuare un iter di conoscenza della situazione, senza colpevolizzare nessuno, senza giudizio, senza pregiudizio”. E spiega che il ragazzino autore dell’atto erano mesi che veniva bullizzato dall’altro compagno per cui non ce l’ha fatta più e ha reagito e che è necessario punire entrambi, autore e vittima e fare un recupero con tutti e due spiegandone i motivi. Continua poi: “Spesso l’esasperazione delle vittime porta a un’azione che è quasi più violenta di quella che fa il bullo. Dobbiamo stare molto, molto attenti nel giudizio e nell’azione.” A tal proposito Laganà riporta una frase della studentessa Carolina Picchio, purtroppo protagonista del significativo video #maipiùinbancovuoto: “le parole fanno più male delle botte” La direttrice ricorda che purtroppo queste non sono storie isolate e riguardano sia femmine che maschi.

Progetti futuri

Ci vuole raccontare di alcuni dei vostri progetti in corso o in cantiere per il futuro?

“Ne abbiamo veramente tanti”.

I più significativi?

“La sana e corretta alimentazione: c’è un progetto che si chiama ‘lovvati’”.

Come mai questo nome?

“Perché parti dall’amore per te stesso. Oggi tutto è esteriorità. I ragazzi sono il frutto di quella che è la visione. Il libro che si compra dalla copertina. I giovani tengono moltissimo alla loro esteriorità, sono tutti omologati, spesso si vestono nello stesso modo, hanno anche una forma molto simile di approcciarsi”.

Cosa fate allora?

“Noi insegniamo ad amarsi, ad accettarsi per quello che sono, ad accettare gli altri con le loro diversità e le loro caratteristiche e – partendo da questo – dopo anche ‘Una sana e corretta alimentazione’, perché il corpo è un tempio”.

Alcuni educatori e Giusy Laganà
Alcuni educatori e Giusy Laganà

Laganà precisa che sul sito (https://farexbene.it/) è possibile candidare le proprie scuole per i vari progetti promossi dall’associazione. E sull’impegno intrapreso con gli “educatori tra pari”, la direttrice spiega che sono giovani studenti, fra cui il tiktoker Brian Signorini con centinaia di migliaia di follower, che vengono formati e vanno nelle scuole per aiutare i ragazzi a capire – conoscendo la legge, i fenomeni di bullismo e cyberbullismo – che non sono sbagliati, parlando con loro, condividendo magari simili situazioni vissute, proponendogli di diventare portatori sani di buone pratiche. La dottoressa ancora osserva: “Molto spesso il cyberbullismo passa attraverso il body shaming: io devo volermi bene, devo fare attività fisica, mangiare bene, bere, far attività all’aria aperta, non stare tanto sul cellulare, sui device, dare delle buone regole e buone pratiche e insegnare a scegliere il cibo, a leggere le etichette, anche ai genitori, trascorrere del tempo sano a tavola con i propri figli, e stare bene insieme”.

Matteo Berrettini con gli studenti del liceo Brera di Milano
Matteo Berrettini con gli studenti del liceo Brera di Milano

Un altro progetto realizzato dall’associazione è “Spalla a spalla” –  a cui ha partecipato anche il campione di tennis Matteo Berrettini – “per parlare nelle scuole di bullismo, di cyberbullismo e anche sessualità e affettività”. A tal proposito Laganà spiega che sono coinvolti oltre mille settecento ragazzi in un liceo di Milano e in uno di Brera: “E’ la prima volta che in Italia si fa una cosa di questo tipo, sul tema dell’educazione alla sessualità, all’affettività in un contesto dove parliamo con i ragazzi di contraccezione, di accettazione del proprio corpo”.

Come conoscono questo tema i giovani?

“Molti di loro conoscono il sesso attraverso l’online, quindi attraverso canali come YouPorn, come Pornub e questo non è un approccio all’affettività amorevole, al rispetto del corpo dell’altro, diventa quasi una prestazione che noi dobbiamo fare nel migliore dei modi possibili”.

E ancora su cosa vi impegnate?

“Abbiamo progetti che riguardano anche il ‘corretto mobility’: come comportarsi in maniera rispettosa anche della regolamentazione stradale: perché i giovani usano tantissimo le biciclette, i monopattini”

E voi che impegno portate avanti su questo tema?

“Li aiutiamo a capire che esistono delle regole, i temi del rispetto sono universali”.

Un momento di un incontro con le scuole di Bassano del Grappa
Un momento di un incontro con le scuole di Bassano del Grappa

Giusy Laganà ricorda che “un altro grande progetto con la Regione Lazio è la piattaforma “Io non odio”, una sorta di Netflix dove tutti i ragazzi possono produrre e caricare una serie di contenuti: interviste, dirette live, podcast, cui le scuole stanno lavorando tantissimo perché l’odio è trasversale e la violenza è una violazione dei diritti umani”.

L’associazione collabora tantissimo con le aziende, si sostiene grazie alle donazioni e lavora molto con la multidisciplinarietà. “Quando noi andiamo nelle scuole, entriamo con uno psicologo, un avvocato, un esperto digital, web, social media e un esperto formatore-docente perché tutto il nostro approccio è multidisciplinare” precisa Laganà. L’associazione analizza ogni fenomeno dal punto di vista psicologico: “Devo saper gestire la rabbia, la tristezza, devo accettare un no, accettare i fallimenti che sono meravigliosi e mi servono per crescere e gli errori, propedeutici all’apprendimento. Dopodiché con gli avvocati noi raccontiamo quella che è la legge, che cosa dice e se la conosco non la violo. E’ un circolo virtuoso”.

Attraverso i social cosa dite ai ragazzi?

“Diciamo di stare molto attenti perché sul web non esiste l’oblio: se tu posti una fotografia non puoi più cancellarla. Quello che tu posti oggi lo vedranno domani. La web reputation, la reputazione online è fondamentale. Noi siamo quello che postiamo. Oggi se mando in giro un curriculum, devo inserire anche i miei social e i miei profili vengono magari visti da chi assume.” E dà un consiglio ai più giovani: “state molto attenti a postare perché poi cancellare è impossibile e comunque la polizia postale ritrova il post”.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
L’associazione "Fare X Bene Onlus è attiva dal 2009 contro ogni forma di violenza e discriminazione, in particolare nei confronti di donne, bambini e persone con disabilità. Con passione porta la multidisciplinarietà nella propria attività, soprattutto nelle scuole. Per scoprirne la storia, le attività e gli obiettivi abbiamo sentito Giusy Laganà, direttrice generale di questa significativa realtà. Il nome della vostra associazione è già un manifesto: come nasce e quale è la storia di "Fare X Bene", le sue attività e gli scopi? “L’associazione nasce oltre tredici anni fa dalla volontà di alcune persone - che già lavoravano in questo settore o provenivano comunque dal mondo dell’imprenditoria - di dare vita a un’associazione di tipo diverso nel panorama italiano, dove tutti i professionisti che venivano dal mondo profit o del no profit, ma con una grande competenza, realizzassero progetti concreti. Nella nostra testa ‘Fare X Bene’ doveva essere quella che può essere definita come un’associazione di servizio: non avere costi fissi. Noi non abbiamo una sede fissa, siamo tutti professionisti esterni che hanno anche altri lavori: io, ad esempio, sono un’insegnante, il presidente dell’associazione è l’ex proprietario di ‘Salmoiraghi & Viganò’, il disegnatore del logo dell’associazione è stato il grande stilista, imprenditore Elio Fiorucci e la vice presidente, Monica Savaresi, era una delle produttrici di Zelig, quindi del mondo di Bananas".

Quindi? “Oltre il novantacinque per cento dei nostri costi sono i progetti. Abbiamo infatti azzerato quelli che sono i costi vivi (strutture, sedi, telefoni, stipendi, spese per raccolta fondi) dedicando tutte le nostre risorse ai progetti". Come? “Noi lavoriamo in tutta Italia sostanzialmente all’interno delle scuole e ci incontriamo presso tutte quelle realtà aziendali con le quali collaboriamo". Cosa fate nella pratica? "Da sempre aiutiamo e facciamo consulenza legale e psicologica nei confronti delle donne e delle ragazze vittime di violenza. Abbiamo uno sportello presso Coin, attivo a Catania e a Milano e online”. Altri luoghi in cui lavorate? “Nelle scuole, perché durante il Covid si è molto acuito il tema della violenza domestica e del cyberbullismo: i ragazzi hanno sdoganato la formula dell’utilizzo dei device e del cellulare per farsi del male, mandarsi foto, per revenge porn, sexting, aumentati in percentuali notevoli come la violenza domestica. Lo sportello è nato prima di tutto come online".
Un momento del premio "Women for Women" con Valentina Pitzalis
Un momento del premio "Women for Women" con Valentina Pitzalis
L'associazione ha iniziato la sua attività facendo assistenza e consulenza alle donne vittime di violenza, “per esempio a Valentina Pitzalis, donna bruciata viva dal marito e sopravvissuta al rogo con la perdita di una mano" Giusy Laganà spiega che assieme alla Pitzalis, con cui ha scritto il libro "Nessuno può toglierti il sorriso", e che è ambassador dell’associazione, si reca nelle scuole per dare testimonianza. Lavorate per diffondere conoscenza e fare prevenzione? “Lavorando su queste tematiche ci siamo resi subito conto che il nostro lavoro è monco se non facciamo anche prevenzione: se io assisto e aiuto le donne vittime di violenza agisco sempre in emergenza; io devo andare però a scardinare questo sistema facendo anche prevenzione, sensibilizzazione, educazione nelle scuole". La vostra associazione è impegnata nella sensibilizzazione nelle scuole, nelle piazze e sul web, in particolare contro bullismo e cyberbullismo. Il video #maipiùunbancovuoto ha avuto milioni di visualizzazioni e centinaia di migliaia di condivisioni, ma le misure legislative adottate in materia – in primis la legge del 2017 contro il cyberbullismo - non hanno arginato il fenomeno. Cosa manca ancora? “Il bullismo e cyberbullismo sono una forma di violenza, se ne parla per ragazzi che non devono aver compiuto diciotto anni e questo è un tema immenso: non è quindi una litigata fra due persone adulte. Il bullismo è solo tra ragazzi e deve essere compiuto più volte per essere tale, altrimenti è un’altra forma di reato. Se io riprendo e metto online un gesto violento verso un’altra persone quella forma di bullismo diventa cyberbullismo. La legge del 2017 ha stabilito una cosa fondamentale: per il cyberbullismo non c’è bisogno che io ripeta quel gesto cinquanta volte". Ci spiega meglio? “Se Carolina Picchio ha avuto un video che è stato messo online una sola volta, quella volta sola è bastata a rovinarle la reputazione. Carolina è morta di vergogna, è morta per quel video che potevano vedere i nonni, gli zii, i parenti, il papà, il prete all’oratorio, i professori e quindi non è sopravvissuta a quella solitudine, perchè è stato fatto da quelli che lei definiva degli amici". Cosa è necessario fare, allora? “Quella legge c’è, ma deve essere attuata, come la legge contro la violenza di genere, perché se io commetto un gesto di quel tipo devo prendere il ragazzo, ammonirlo: cartellino giallo, ‘non lo devi fare più'". E in seguito? “Cartellino rosso, a quel punto il ragazzo va messo alla prova. E da quel momento in poi, due, tre anni, io ti monitorerò. Dobbiamo farlo perché – cosa fondamentale - spesso questi fatti non vengono denunciati dagli adulti perché 'altrimenti questi ragazzi li roviniamo, perché se no poi si traumatizzano'”. Ma alla vittima chi ci pensa? “Se noi adulti di riferimento, professori, non compiamo un gesto fondamentale che è quello di uscire dall’omertà e di denunciarli, noi questo trend non lo scardiniamo. Dobbiamo fare in modo che i ragazzi non si vergognino e non si sentano sbagliati e non abbiano paura di raccontare questi fenomeni. Ma se noi per primi come adulti non gli diamo questa possibilità, quella legge è vuota: non la possiamo attuare se non denunciamo”.
Un momento del progetto "Spalla a Spalla" con il tennista Matteo Berrettini
Un momento del progetto "Spalla a Spalla" con il tennista Matteo Berrettini
L’associazione cosa insegna ai ragazzi? "Che ognuno è unico nel suo genere e ha le proprie caratteristiche. Quando un ragazzo viene preso in giro, noi adulti non dobbiamo sminuire dicendo che è uno scherzo. Lo scherzo è tale se tutti ridiamo. Io devo ridere con gli altri, non devo ridere degli altri”. Quanto è importante scardinare i falsi miti? “Tanto. 'Il bullismo fortifica, se non uccide mi rende più forte, che tanto passerà…' non va bene. Sarebbe come dire che si può capire la malattia solo se la si prova: questo non è vero. Io non ho bisogno di fortificarmi con il dolore. Tutti i ragazzi ci dicono che alle scuole medie sono stati male, hanno vissuto male, non avevano nessuno a cui dirlo, si sentivano sbagliati e soli. Un ragazzo su dieci tenta di togliersi la vita perché vittima di questo, perché viviamo nell’epoca dell’apparenza, perché se non ho abbastanza like i miei genitori me li comprano per il compleanno. Dobbiamo insegnare loro che possono venire a parlare con gli adulti e devono denunciare e questa legge deve funzionare anche colpendo i testimoni e gli spettatori omertosi. La legge del 2017 deve essere attuata nelle scuole e dobbiamo sanzionare tutti quei ragazzi che vedono e stanno zitti, che vedono e dicono che tanto non riguarda loro”. Altrimenti? “Perché se tutti la pensiamo così il bullo ha degli spettatori, dei testimoni. Il bullo è un ragazzo che non sta bene, che soffre, che sicuramente ha problemi, a cui noi dobbiamo insegnare che ciò che fa è sbagliato e non lo rende migliore. E se togliamo un pubblico a uno spettacolo, il bullo per chi lo fa?".
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Un momento del progetto affettività e sessualità nelle scuole
Un momento del progetto affettività e sessualità nelle scuole

Il caso di cronaca

Laganà riporta un episodio raccontatole: “un ragazzino è entrato a scuola con un coltellino serramanico e ha minacciato un proprio compagno, appendendolo al muro. Alla domanda ai professori su cosa abbiano fatto dopo l’accaduto è stato risposto: il ragazzino col coltellino è stato sospeso. Quello che dovrebbero fare gli adulti e che dice la legge – riflette la dottoressa – è ascoltare i ragazzi, prendere la vittima, il bullo, i testimoni spettatori e capire che cosa è successo: attuare un iter di conoscenza della situazione, senza colpevolizzare nessuno, senza giudizio, senza pregiudizio”. E spiega che il ragazzino autore dell’atto erano mesi che veniva bullizzato dall’altro compagno per cui non ce l’ha fatta più e ha reagito e che è necessario punire entrambi, autore e vittima e fare un recupero con tutti e due spiegandone i motivi. Continua poi: “Spesso l’esasperazione delle vittime porta a un’azione che è quasi più violenta di quella che fa il bullo. Dobbiamo stare molto, molto attenti nel giudizio e nell’azione.” A tal proposito Laganà riporta una frase della studentessa Carolina Picchio, purtroppo protagonista del significativo video #maipiùinbancovuoto: “le parole fanno più male delle botte” La direttrice ricorda che purtroppo queste non sono storie isolate e riguardano sia femmine che maschi.

Progetti futuri

Ci vuole raccontare di alcuni dei vostri progetti in corso o in cantiere per il futuro? “Ne abbiamo veramente tanti”. I più significativi? “La sana e corretta alimentazione: c’è un progetto che si chiama ‘lovvati’". Come mai questo nome? “Perché parti dall’amore per te stesso. Oggi tutto è esteriorità. I ragazzi sono il frutto di quella che è la visione. Il libro che si compra dalla copertina. I giovani tengono moltissimo alla loro esteriorità, sono tutti omologati, spesso si vestono nello stesso modo, hanno anche una forma molto simile di approcciarsi”. Cosa fate allora? “Noi insegniamo ad amarsi, ad accettarsi per quello che sono, ad accettare gli altri con le loro diversità e le loro caratteristiche e – partendo da questo – dopo anche ‘Una sana e corretta alimentazione’, perché il corpo è un tempio”.
Alcuni educatori e Giusy Laganà
Alcuni educatori e Giusy Laganà
Laganà precisa che sul sito (https://farexbene.it/) è possibile candidare le proprie scuole per i vari progetti promossi dall’associazione. E sull’impegno intrapreso con gli "educatori tra pari", la direttrice spiega che sono giovani studenti, fra cui il tiktoker Brian Signorini con centinaia di migliaia di follower, che vengono formati e vanno nelle scuole per aiutare i ragazzi a capire – conoscendo la legge, i fenomeni di bullismo e cyberbullismo – che non sono sbagliati, parlando con loro, condividendo magari simili situazioni vissute, proponendogli di diventare portatori sani di buone pratiche. La dottoressa ancora osserva: “Molto spesso il cyberbullismo passa attraverso il body shaming: io devo volermi bene, devo fare attività fisica, mangiare bene, bere, far attività all’aria aperta, non stare tanto sul cellulare, sui device, dare delle buone regole e buone pratiche e insegnare a scegliere il cibo, a leggere le etichette, anche ai genitori, trascorrere del tempo sano a tavola con i propri figli, e stare bene insieme”.
Matteo Berrettini con gli studenti del liceo Brera di Milano
Matteo Berrettini con gli studenti del liceo Brera di Milano
Un altro progetto realizzato dall’associazione è "Spalla a spalla" –  a cui ha partecipato anche il campione di tennis Matteo Berrettini - “per parlare nelle scuole di bullismo, di cyberbullismo e anche sessualità e affettività". A tal proposito Laganà spiega che sono coinvolti oltre mille settecento ragazzi in un liceo di Milano e in uno di Brera: “E' la prima volta che in Italia si fa una cosa di questo tipo, sul tema dell’educazione alla sessualità, all’affettività in un contesto dove parliamo con i ragazzi di contraccezione, di accettazione del proprio corpo”. Come conoscono questo tema i giovani? “Molti di loro conoscono il sesso attraverso l’online, quindi attraverso canali come YouPorn, come Pornub e questo non è un approccio all’affettività amorevole, al rispetto del corpo dell’altro, diventa quasi una prestazione che noi dobbiamo fare nel migliore dei modi possibili”. E ancora su cosa vi impegnate? “Abbiamo progetti che riguardano anche il ‘corretto mobility’: come comportarsi in maniera rispettosa anche della regolamentazione stradale: perché i giovani usano tantissimo le biciclette, i monopattini" E voi che impegno portate avanti su questo tema? “Li aiutiamo a capire che esistono delle regole, i temi del rispetto sono universali".
Un momento di un incontro con le scuole di Bassano del Grappa
Un momento di un incontro con le scuole di Bassano del Grappa
Giusy Laganà ricorda che “un altro grande progetto con la Regione Lazio è la piattaforma "Io non odio", una sorta di Netflix dove tutti i ragazzi possono produrre e caricare una serie di contenuti: interviste, dirette live, podcast, cui le scuole stanno lavorando tantissimo perché l’odio è trasversale e la violenza è una violazione dei diritti umani”. L’associazione collabora tantissimo con le aziende, si sostiene grazie alle donazioni e lavora molto con la multidisciplinarietà. “Quando noi andiamo nelle scuole, entriamo con uno psicologo, un avvocato, un esperto digital, web, social media e un esperto formatore-docente perché tutto il nostro approccio è multidisciplinare" precisa Laganà. L’associazione analizza ogni fenomeno dal punto di vista psicologico: “Devo saper gestire la rabbia, la tristezza, devo accettare un no, accettare i fallimenti che sono meravigliosi e mi servono per crescere e gli errori, propedeutici all’apprendimento. Dopodiché con gli avvocati noi raccontiamo quella che è la legge, che cosa dice e se la conosco non la violo. E’ un circolo virtuoso”. Attraverso i social cosa dite ai ragazzi? “Diciamo di stare molto attenti perché sul web non esiste l’oblio: se tu posti una fotografia non puoi più cancellarla. Quello che tu posti oggi lo vedranno domani. La web reputation, la reputazione online è fondamentale. Noi siamo quello che postiamo. Oggi se mando in giro un curriculum, devo inserire anche i miei social e i miei profili vengono magari visti da chi assume.” E dà un consiglio ai più giovani: “state molto attenti a postare perché poi cancellare è impossibile e comunque la polizia postale ritrova il post”.
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