Burkini, a Trieste la polemica finisce in mare. Inquinano più due metri di tessuto o una nave da crociera? Se lo sono chiesti in tanti, a Trieste, dando vita a una pacifica protesta in sostegno delle donne musulmane. Circa una sessantina di persone – compresi alcuni uomini – hanno partecipato domenica mattina a Trieste al flash mob andato in scena per una decina di minuti allo stabilimento balneare Lanterna meglio conosciuto come Pedocin.
L’iniziativa è nata per dimostrare solidarietà e sostegno alle cittadine di fede islamica che hanno l’usanza di fare il bagno in mare vestite o indossando il burkini, secondo tradizione. Proprio al “Pedocin”, la scorsa domenica, alcune bagnanti musulmane avevano ricevuto critiche da alcune donne in costume, dando il via a un’animata discussione.
Burkini, a Trieste la polemica finisce in mare
Ne era sorta una polemica su media e social, sulla falsariga di quella legata a Marina Julia e al sindaco Anna Maria Cisint. Anche in quel caso era stato organizzato un flash mob. Alla manifestazione di domenica mattina alcune donne hanno sventolato cartelli e scritte: “Usi e costumi locali: intolleranza e poca creanza” e “Inquina di più un vestito o una nave da crociera?”.
Tutto si è concluso con uomini e donne in mare a formare un grande cerchio.
Bagno di solidarietà
Contro chi non tollera il burkini e contro le varie forme di razzismo, si è svolta a Trieste una manifestazione dal titolo “Bagno in solidarietà con le donne musulmane. Andiamo tutte in acqua vestite”.
L’annuncio si è diffuso sui social e l’evento si è tenuto al lido Pedocin, lo storico stabilimento balneare dove uomini e donne sono in due settori diversi, separati da un muro, retaggio dei primi tuffi in mare dell’inizio del secolo scorso.
Il Pedocin è il lido dove domenica scorsa alcune donne triestine hanno criticato alcune frequentatrici musulmane perché intendevano fare il bagno vestite. La manifestazione fa seguito al flash mob promosso di recente a Monfalcone con le stesse motivazioni, anche sindaca della città, Anna Maria Cisint, aveva criticato le donne che fanno il bagno vestite, annunciando che è in preparazione un provvedimento che vieti il bagno in mare vestiti, con il burkini o comunque coperte. Il testo, fa sapere la sindaca, sarà pronto per ottobre.
Musulmane per un giorno
Un gruppo di oltre cinquanta donne (più alcuni uomini) ha fatto il bagno vestite nelle acque dello storico lido balneare Pedocin. Una manifestazione dal grande valore simbolico e non solo locale, a sostegno delle donne musulmane che in burkini (o vestite) sono state criticate domenica scorsa, al lido Lanterna che i triestini chiamano familiarmente Pedocin.
Un luogo storico perché diviso in settore maschile e femminile, retaggio dei primi bagni di mare del XX secolo. E oggi proprio di tale differenziazione è stata violata la sacralità con la folla di giornalisti e cameramen maschi (e forze dell’ordine) entrati nel comparto donne al seguito delle manifestanti, un centinaio di persone in tutto.
Tra di loro, anche alcune donne musulmane. Domenica scorsa le autoctone triestine si sono appellate a una difesa della libertà della donna ma hanno anche accusato le donne musulmane di scarsa igiene nel fare il bagno con i «vestiti puzzolenti» con cui erano a casa e poi in autobus.
La risposta, era affidata a un cartello: “Inquina di più un vestito o una nave da crociera?”, in riferimento alle quotidiane toccate delle enormi navi da crociera che ormeggiano proprio lungo le Rive, in centro città. Altri cartelli recitavano La biodiversità è bella e Al Pedocin vogliamo stare in pace, che significa stare tutti insieme.
La manifestazione
La manifestazione è proseguita con il bagno in mare vestite, e formando un grande cerchio di riconciliazione. Ma si sono anche riproposte le contrapposizioni tra i bagnanti, e non sono mancate le voci critiche, quando non volgari, anche dal settore maschile: «Tornatevene a casa vostra!» e via così con qualche tono razzista e sessista.
Le reazioni
Ieri sul delicato argomento è intervenuta Nurah Omar, vicepresidente Associazione culturale islamica di Trieste, che intravede una discriminazione: “Se una donna italiana non musulmana avesse deciso di andare al mare vestita o di coprirsi per ragioni di salute o perché non si sente a suo agio con il proprio corpo, non ci sarebbe stata nessuna discussione”.
E invoca la libertà di ciascuno di vestirsi come preferisce, purché “una scelta personale libera”. La manifestazione è stata organizzata dal basso, con il tam tam dei social, priva di patrocini, marche, insegne associative o partitiche.
Sempre domenica 20 agosto sono intervenuti il senatore e coordinatore della Lega Friuli Venezia Giulia Marco Dreosto che ha parlato di manifestazione flop accusando la sinistra, e le donne Verdi, per le quali “solidarietà e sorellanza possono aiutare le donne musulmane nell’integrazione, non altri divieti”.
Gianfranco Schiavone, presidente di Ics, che si occupa di migranti, ha ricordato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo: “Sancisce una inderogabile libertà della persona a manifestare il proprio credo in pubblico, anche attraverso l’abbigliamento”.
Cosa prevede la legge in Italia
Con la circolare del 24 luglio 2000, il Ministero dell’Interno italiano ha precisato che il turbante, il chador e il velo, imposti da motivi religiosi, sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto”.
“Non sussiste dunque alcun obbligo di adeguarsi a presunti ‘abitudini’ e prassi locali, come impropriamente sostenuto da diversi esponenti politici e persino dal sindaco di Trieste che, nello svolgimento della sua carica istituzionale, è invece chiamato a garantire la sicurezza e l’incolumità delle persone in ogni luogo”, sottolinea Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics).
Il precedente francese
La lotta contro l’uso di frequentare le spiagge, e ancor di più le piscine, con i vestiti o anche il burkini, un indumento fatto dello stesso materiale dei costumi ma che copre tutto il corpo, non è fra l’altro un’esclusiva di Trieste o Monfalcone.
Già nel 2016, 15 comuni del sud della Francia, fra cui Cannes e Nizza, avevano proibito l’uso di questo indumento, e un tribunale francese ne aveva vietato l’uso nelle piscine per motivi di sicurezza e igiene, sentenza poi confermata nel 2022.