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"Alla Canottieri Aniene non vogliamo donne": il circolo di Malagò chiama in causa il tribunale

Ma la richiesta di uno dei soci è stata respinta dalla giudice: legge batte cultura patriarcale uno a zero

di MARGHERITA AMBROGETTI -
11 settembre 2022
Non in tutti i locali le donne sono ben accette

Non in tutti i locali le donne sono ben accette

Qui Circolo canottieri Aniene, anno del Signore duemilaventidue, luogo in cui per le donne proprio non c’è posto. L’attacco di questo pezzo è volutamente ironico e non poteva essere altrimenti. Il Circolo canottieri Aniene di Roma è stato protagonista di una delle vicende più tragicomiche dell’ultimo periodo in fatto di parità di genere e c’è da scommettere che la faccenda non finirà qua. Iniziamo dal principio: con delibera assembleare del 4 aprile del 2022 nel circolo canottieri di Giovanni Malagò veniva autorizzata l’iscrizione anche alle donne. Con un ritardo ingiustificabile, verrebbe da aggiungere, ma meglio tardi che mai, direbbero le più sagge e i più saggi.  Tutto bene fino a che la faccenda non ha iniziato a farsi spinosa, tanto da far scendere “in acqua” addirittura una giudice del tribunale civile di Roma. In buona sostanza, uno dei soci - un architetto 82enne - pare essere stato particolarmente turbato dalla questione dell’arrivo delle donne al circolo, tanto da chiedere appunto l’immediato intervento di un giudice per procedere alla immediata sospensione della deliberazione, essendo palesemente esistenti gravi motivi. Un ricorso di 20 pagine che, se non fosse una triste realtà, sarebbe da non crederci. Dalla giudice è arrivato un sonoro “anche no”, sia per la mancanza di urgenza che per la non sussistenza di motivi validi per procedere all’annullamento. Ciò detto, restano tristemente nero su bianco il principio patriarcale e le assurde teorie secondo le quali, nell’opinione del ricorrente, le donne al Circolo non dovrebbero manco metterci piede.
Il circolo Canottieri Aniene

Il circolo Canottieri Aniene

Evidentemente in piena crisi esistenziale a causa del frantumarsi di una delle poche certezze della (sua) vita, l’architetto 82enne - peraltro sospeso dall’albo, guarda caso, per motivi disciplinari - con un linguaggio strettamente legale ha cercato di convincere la giudice che l’assemblea si è tenuta in un luogo inadatto e privo di misure sanitarie per la prevenzione del contagio da Covid-19 e che la votazione avvenuta per alzata di mano si è svolta in un contesto confusionario. La giudice non ha tardato a precisare che aprire alle donne è un dovere costituzionale e che la convocazione e lo svolgimento dell’assemblea hanno seguito percorsi corretti Questa volta, legge batte cultura patriarcale 1 a 0. Il fatto grave, però, è che ancora oggi, nel 2022, esistono luoghi esclusivamente al maschile e che per cambiare le cose è necessario addirittura dibatterne. L’applicazione di un sacrosanto diritto continua a essere volutamente scambiata con una concessione da parte di chicchessia. E non è una faccenda generazionale né una questione esclusivamente legata ad alcuni “luoghi”, è molto di più. Serve una rivoluzione culturale e serve dire forte e chiaro che un diritto è un diritto e non deve essere concesso ma semplicemente riconosciuto. Le parole sono importanti.