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Home » Attualità » Corno d’Africa, è allarme malnutrizione. “Siamo di fronte ad un crisi umanitaria enorme”

Corno d’Africa, è allarme malnutrizione. “Siamo di fronte ad un crisi umanitaria enorme”

In Kenya il 27% della popolazione soffre di fame e sete. Aumentano i prezzi dei prodotti alimentari, aggravando una realtà già critica caratterizzata da siccità, conflitti armati e conseguenze della pandemia

Edoardo Martini
13 Luglio 2022
Kenya

Kenya

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L’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli drammatici in tutto il Corno d’Africa: 20 milioni di persone potrebbero trovarsi ad affrontare livelli di crisi acuta entro settembre a causa di una siccità eccezionalmente persistente. In una situazione già catastrofica, determinata da conflitti armati tra clan, conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia ed effetti del cambiamento climatico, si inserisce anche l’impatto della guerra in Ucraina che aggrava le previsioni stimate.

La drammatica situazione di Nawoi nel villaggio in Kenya

La testimonianza: “Sogno il momento in cui avrò anche solo un pasto certo al giorno”

“Tutto intorno mi ricorda della carestia e della fame. È per colpa loro che io non ho più né un marito né dei figli. Sogno il momento in cui avrò anche solo un pasto certo al giorno“. È la drammatica testimonianza di Nawoi raccolta da Fondazione CESVI nel villaggio di Nasuroi, in Kenya, dove l’organizzazione, per supportare la popolazione, ha attivato progetti di sviluppo agricolo e pastorale e per la salute materna e infantile. L’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli drammatici in tutto il Corno d’Africa (Etiopia, Kenya e Somalia). La siccità ha avuto un impatto sui mezzi di sussistenza di agricoltori e pastori, che ha portato a una riduzione della produzione alimentare e alla morte di milioni di capi di bestiame. In particolare, nello stato della Rift Valley, si stima siano 4,1 milioni le persone in condizione di grave insicurezza alimentare: il 27% della popolazione soffre fame e sete e oltre 1,5 milioni di capi di bestiame sono morti.

Il Paese, infatti, sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni dopo quattro stagioni consecutive di piogge mancate, che potrebbero non verificarsi neanche a ottobre-dicembre. La siccità ha decimato i raccolti e provocato una forte moria di capi di bestiame, principale fonte di sostentamento delle famiglie, inasprendo anche conflitti tra villaggi. “Dallo scorso anno, abbiamo avuto pochissime piogge. Gli uomini e il bestiame non sono ancora tornati, non c’è niente per noi in questo momento” racconta Josephine Muli, accolta al centro nutrizionale di Ngaremara, gestito da CESVI, dove il suo ultimo figlio, gravemente malnutrito, riceve le cure necessarie. Josephine, mamma di 9 bimbi, è riuscita ad accorgersi subito che l’ultimo di loro era troppo piccolo per la sua età e a rivolgersi a personale esperto che potesse prendersi cura di lui.

La malnutrizione colpisce quasi un milione di minori

In Kenya sono oltre 940mila i bambini che soffrono di malnutrizione acuta (229mila grave e 713mila moderata). Il fenomeno è così diffuso che spesso le mamme considerano normale lo stato di denutrizione e la crescita rallentata e anomala dei propri figli. La mancanza di cibo e acqua spesso colpisce i bambini addirittura prima della nascita e nei primi mesi di vita: 134mila donne in gravidanza o in allattamento sono gravemente malnutrite.

“L’unica soluzione possibile per far fronte all’emergenza in Corno d’Africa è quella di tornare a un’agricoltura locale, riappropriarsi di metodi autoctoni che si adattano meglio ai cambiamenti climatici”, commenta Valeria Emmi, Advocacy and Networking Senior Specialist di CESVI. E aggiunge: “La dipendenza verso uno/due Paesi produttori di cibo, così fondamentale per la catena alimentare, deve essere interrotta, e i Paesi in difficoltà aiutati a mettere in atto sistemi di coltivazione. Anche se la guerra in Ucraina finisse, non potrà risolvere la drammatica escalation iniziata nel 2020.”

La mamma Josephine con suo figlio al centro nutrizionale gestito da CESVI

L’intervento di CESVI contro gli effetti del cambiamento climatico

CESVI è attiva nel Corno d’Africa dal 2006, con numerosi progetti che mirano a promuovere la sicurezza alimentare, soprattutto di donne e gruppi vulnerabili traverso programmi di sviluppo rurale, l’igiene e l’accesso all’acqua potabile e ai programmi per la salute materna e infantile. “Siamo di fronte ad una crisi umanitaria enorme: un vero e proprio disastro. Qui si muore di fame e di sete”, spiega Isabella Garino, Head of Mission Cesvi in Corno d’Africa. “Stiamo distribuendo acqua e beni di prima necessità, offrendo cure mediche e programmi di nutrizione, lavorando con le comunità di allevatori e pastori più duramente colpite da questa emergenza climatica e accogliendo gli sfollati interni”, aggiunge.

In Somalia CESVI ha attivato un intervento multisettoriale in risposta alla crisi umanitaria e alle emergenze ambientali per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni nelle regioni di Lower Shabelle, Mudug, Galgadug e Hiraan e migliorare l’accesso ai servizi sanitari e nutrizionali essenziali, favorire la conoscenza di pratiche igieniche per diminuire la mortalità e morbilità e favorire la sicurezza alimentare delle popolazioni colpite dalla crisi.

In Etiopia sta distribuendo foraggio e medicine veterinarie per 300 pastori delle comunità di Sodda e Madacho, nella zona di Borena; inoltre, sta sostenendo la comunità pastorizie anche nella produzione di foraggio resistente ai cambiamenti climatici ed in particolare ha acquistato semi di foraggio che richiedono meno acqua.

In Kenya CESVI collabora anche con le comunità agropastorali e le autorità governative promuovendo progetti legati allo sviluppo agricolo e fornendo strumenti e modelli per la gestione delle risorse naturali. In particolare, sostiene le piccole allevatrici di bestiame e pollame, come Nawoi, in modo che possano avere uova e carne per sfamarsi. All’interno del villaggio di Nasuroi è stato, inoltre, costruito un pozzo che permette alla popolazione di avere acqua pulita per dissetarsi, utile anche per la sopravvivenza degli animali, “Il pozzo tiene in vita molti e molte di noi” conclude la donna.

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  • Stando alle ultime stime, in Italia vivono almeno 88mila donne vittima di mutilazioni genitali femminili, con tutti i gravi problemi fisici, funzionali, psicologici che ne derivano. In base ai dati diffusi dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) e dall’Unicef, nel mondo ammonterebbero ad almeno 200 milioni donne e ragazze che hanno subito mutilazioni genitali. Nel 2023, circa 4,2 milioni di bambine e ragazze nel mondo sono a rischio di subire queste pratiche.

Attraverso la testimonianza di Ayaan Hirsi Ali, autrice de “L’infedele", proviamo a spiegare con le giuste parole in tutta la sua cruda realtà cosa racchiuda veramente:

“Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo… Altre due donne mi tennero le gambe divaricate. L’uomo che era un cinconcisore tradizionale appartenente al clan dei fabbri, prese un paio di forbici. Con l’altra mano afferrò quel punto misterioso e cominciò a tirare… Sentii il rumore, come un macellaio che rifila il grasso da un pezzo di carne.”

Nella Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili il presidente della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica Sicpre, il professor Francesco Stagno d’Alcontres, dichiara: 

“Spesso l’evento della mutilazione viene rimosso dai ricordi, mentre restano i dolori nei rapporti sessuali, le difficoltà nella minzione e durante il parto. La mutilazione genitale è un evento che modifica il corso della vita e noi lo dobbiamo contrastare sul piano della cultura e affrontare sul piano medico e scientifico”.

L’edizione 2023 del Summit Itinerante contro la mutilazioni genitali femminili, l’evento che si svolge in data odierna a Roma, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustininani, sede della Presidenza del Senato della Repubblica, vede il saluto di esponenti del Governo, la testimonianza di una vittima e la partecipazione di importanti personalità, tra cui gli esperti della chirurgia plastica italiana chiamati a raccolta dalla Sicpre.

Letizia Cini ✨

#lucenews #lucelanazione #giornatamutilazionigenitalifemminili #linfedele
  • "Vorrei ringraziare la comunità queer per il vostro amore e per aver inventato un genere". 👑

Con queste parole di ringraziamento, Queen Bay riscrive la storia dei Grammy Awards. Beyoncé ier sera ha battuto tutti i record: con la 32esima vittoria incassata, è la star più premiata della storia degli Oscar della musica.

Con altri quattro grammofoni d’oro, la star americana, icona mondiale e paladina dei diritti civili e della body positivity, ha così superato il primato del direttore d’orchestra Georg Solti scomparso nel ‘97 e che, fino a stanotte, era rimasto imbattuto per due decenni con 31 vittorie. Queen Bay ha voluto dedicare la vittoria alla comunità Lgbtq+.

#lucenews #lucelanazione #qn #beyoncé #grammyawards2023
  • Stava regalando libri alle ragazze quando è stato arrestato a Kabul, giovedì 3 febbraio. Ismail Mashal, un professore universitario afghano, 37 anni, in aperta critica con il bando posto dai Talebani all’istruzione femminile, andava in giro con un carretto pieno di volumi gratuiti che distribuiva a donne e bambine, quando le forze di sicurezza lo hanno accusato di “azioni provocatorie” dalle autorità che lo hanno portato in carcere. Lo riferisce la Bbc.

Alcuni testimoni hanno riferito che il professore è stato schiaffeggiato, preso a pugni e a calci dalle forze di sicurezza locali durante l’arresto. Tuttavia Abdul Haq Hammad, un funzionario del ministero dell’Informazione e della Cultura talebani, ha dichiarato che il docente è stato trattato bene mentre era in custodia. 

Mashal è salito alla ribalta dopo aver strappato i documenti accademici in diretta tv per protestare contro il divieto dei talebani all’istruzione universitaria e secondaria per le donne. Il video in diretta televisiva è diventato virale. 

Ex giornalista, il 37enne dirigeva un’università privata a Kabul, frequentata da 450 studentesse che seguivano i corsi di giornalismo, ingegneria e informatica, tutte discipline che il ministro dell’Istruzione afghano sosteneva non dovessero essere insegnate alle ragazze in quanto contrarie all’islam e la cultura afghana. Quando a dicembre i Talebani hanno annunciato che alle studentesse universitarie non sarebbe più stato permesso di tornare a studiare fino a nuovo ordine, il professor Mashal ha chiuso definitivamente la sua scuola, affermando che “l’istruzione o si offre a tutti o a nessuno“.

“L’unico potere che ho è la mia penna, anche se mi uccidono, anche se mi fanno a pezzi, non resterò in silenzio“, ha dichiarato il mese scorso il professore. Ha anche affermato che un maggior numero di uomini deve insorgere per protestare contro le restrizioni imposte alle donne. Durante il loro incontro a Kabul, Mahsal, padre di due figli, ha precisato che non temeva di essere arrestato o ucciso. Si è detto invece certo che alla fine i Talebani avrebbero cercato di metterlo a tacere, ma è rimasto convinto che fosse un prezzo onesto da pagare.

#lucenews #kabul
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La mamma Josephine con suo figlio al centro nutrizionale gestito da CESVI

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