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Home » Attualità » Dalla foto simbolo a una nuova vita. Mustafa, il bambino siriano senza arti, è in Italia

Dalla foto simbolo a una nuova vita. Mustafa, il bambino siriano senza arti, è in Italia

Il piccolo di 6 anni e il padre Munzir rimasero gravemente mutilati in un bombardamento in Siria. Dopo il successo dello scatto del turco Mehmet Aslan, adesso tutta la famiglia può finalmente voltare pagina

Remy Morandi
21 Gennaio 2022
"Hardship of Life", la foto simbolo del turco Mehmet Aslan

"Hardship of Life", la foto simbolo del turco Mehmet Aslan

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Munzir e Mustafa, la foto-simbolo “Hardship of Life” / Credit Mehmet Aslan

 

Come si toglie il sorriso a un bambino? Nessuno o niente pare esserci riuscito con il piccolo Mustafa, 6 anni, siriano, nato senza alcun arto a causa dei bombardamenti e della guerra in Siria. Al contrario, lo sguardo vivace, la risata, la gioia di vivere tipica di un bimbo di 6 anni sono rimasti indelebili su di lui. Come indelebile è la presenza e l’amore del padre Munzir El Nezzel, 35 anni, anche lui rimasto mutilato per le bombe, che nella foto simbolo scattata dal fotografo turco Mehmet Aslan sorregge in aria con presa salda il suo piccolo Mustafa.

https://luce.lanazione.it/wp-content/uploads/2022/01/bambino2.mp4

Adesso quella gioia di vivere è atterrata da noi, perché Mustafa, Munzir, la madre Zeynep e le altre due sorelline, Nur e Sacide, sono arrivati ieri sera in Italia. Partita da Istanbul, la famiglia El Nezzel è atterrata ieri a Roma e si è diretta subito a Siena in una casa messa a disposizione dalla Caritas dell’Arcidiocesi di Siena. Qui dovrà osservare la quarantena di 10 giorni prevista dalle norme anti-Covid. Poi Mustafa e Munzir partiranno per il Centro Protesi Vigorso di Budrio, a Bologna, dove potranno sottoporsi a cure mediche di lungo termine, grazie al sostegno della raccolta fondi del “Siena Awards Festival” che attraverso la piattaforma Gofundme è riuscita a raccogliere in poco tempo circa 100mila euro.

L’arrivo di Mustafa a Roma

Esprime “profonda soddisfazione” per l’arrivo della famiglia siriana il ministero degli Esteri. Il Siena Awards ringrazia le migliaia di persone rimaste profondamente colpite dalla foto di Mehmet Aslan e tutti coloro che hanno contribuito alla raccolta fondi, ancora aperta sulla piattaforma Gofundme. “È un sogno che si avvera, è un sogno in cui credevamo. Siamo orgogliosi che questa iniziativa sia partita dall’Italia. Una foto può fare la differenza”, dichiara su Rai Radio1 Luca Venturi, fondatore del “Siena International Photo Awards”. Profondamente soddisfatto dell’esito della vicenda anche il sindaco di Siena Luigi De Mossi: “Per entrambi, padre e figlio, ci sarà la speranza di tornare a nuova vita”. Infine, anche il fotografo Mehmet Aslan commenta l’arrivo della famiglia El Nezzel in Italia: “Un sogno che si avvera”, dichiara gioioso. E alla domanda dell’Agi del perché, secondo lui, la sua foto abbia vinto un concorso in cui partecipavano tanti altri grandi artisti, Aslan non ha dubbi: “Siamo in un’epoca in cui la differenza tra verità e fake news si è purtroppo ridotta. Foto, video e notizie sono fatte più per stupire che per comunicare. Questa foto ha vinto perché, purtroppo, è tremendamente vera e reale”.

La storia della famiglia di Mustafa (e della foto simbolo)

Nel 2016 Munzir e la moglie Zeynep si trovavano in un mercato a Idlib, una città della Siria nord-occidentale al confine con la Turchia. All’improvviso una bomba lanciata dai caccia del regime di Bashar al-Assad colpisce il mercato e la giovane coppia. Nell’attacco Munzir perde la gamba destra, e sia lui che la moglie Zeynep, incinta di Mustafa, vengono trasportati con l’ambulanza in Turchia. I due vengono curati, ma il feto che portava in grembo Zeynep subisce danni irreversibili. Pochi giorni dopo infatti nasce Mustafa, senza alcun arto, né braccia né gambe.

Il padre Munzir e il piccolo Mustafa / Foto di Mehmet Aslan

Tre anni dopo il bombardamento al mercato, Munzir e Zeynep decidono di scappare dalla Siria insieme ai figli, rifugiandosi nella provincia turca di Hatay. È proprio qui che ad aprile del 2021 viene scattata la foto-simbolo “Hardship of Life” (La difficoltà della vita) del turco Mehmet Aslan, vincitrice del prestigioso Siena International Photo Awards (SIPA) 2021. Dopo la pubblicazione della foto, rilanciata immediatamente sulla Rete per fare il giro del mondo, tutti si sono mobilitati per aiutare il piccolo Mustafa e la sua famiglia. Nel solco del moto di solidarietà suscitato anche l’Ambasciata d’Italia ad Ankara, in stretto coordinamento con la Farnesina, si è immediatamente attivata per rintracciare la famiglia e per individuare adeguati programmi di accoglienza nel nostro Paese. L’operazione è riuscita e parallelamente è stata attivata una raccolta fondi del “Siena Awards Festival” per permettere a tutta la famiglia di Mustafa di crearsi una nuova vita. La raccolta ha già raggiunto i 100mila euro di donazioni. E adesso con l’arrivo della famiglia di Mustafa in Italia la strada sembra essere tutta in discesa.

Come si toglie il sorriso a un bambino? Non si può togliere.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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La storia della famiglia di Mustafa (e della foto simbolo)

Nel 2016 Munzir e la moglie Zeynep si trovavano in un mercato a Idlib, una città della Siria nord-occidentale al confine con la Turchia. All’improvviso una bomba lanciata dai caccia del regime di Bashar al-Assad colpisce il mercato e la giovane coppia. Nell’attacco Munzir perde la gamba destra, e sia lui che la moglie Zeynep, incinta di Mustafa, vengono trasportati con l’ambulanza in Turchia. I due vengono curati, ma il feto che portava in grembo Zeynep subisce danni irreversibili. Pochi giorni dopo infatti nasce Mustafa, senza alcun arto, né braccia né gambe.
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