“Nano”, “obesa”, “moglie di”: il Prado riscrive le didascalie per un linguaggio più inclusivo. Perché le parole sono importanti

Il Museo del Prado ha rivisto le didascalie delle sue opere per eliminare termini sessisti e abilisti. Un gesto che non è solo linguistico, ma profondamente culturale e politico.

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
14 maggio 2025
Il museo Prado di Madrid

Il museo Prado di Madrid

Quando cambia il linguaggio, cambia anche la realtà. Non è una formula astratta, né un’esagerazione retorica: è un principio che trova conferma ogni volta che le parole si fanno più consapevoli, più inclusive, più attente alla dignità di ogni persona. Un esempio potente viene dal Museo del Prado di Madrid — uno dei luoghi simbolo della cultura europea — che ha deciso di rivedere le didascalie delle sue opere per eliminare termini sessisti, abilisti, stigmatizzanti.

La scelta del Prado

Parole come “handicappato”, “nano”, “obesa”, “moglie di” vengono sostituite da descrizioni più rispettose, che restituiscono centralità e complessità a chi è stato a lungo ridotto a una condizione fisica, a un ruolo subalterno, a una deviazione dalla norma. In alcuni casi, questo significa semplicemente riportare il nome proprio di una donna, prima definita solo in relazione a un uomo. In altri, si tratta di non descrivere una persona con disabilità solo attraverso la sua diagnosi medica, ma attraverso ciò che rappresenta nell’opera e nella storia. È un cambiamento che può sembrare minimo, quasi invisibile. Ma non lo è. Dietro ogni parola c’è un immaginario. E aggiornare il linguaggio di un museo significa agire su quell’immaginario collettivo che, nel tempo, ha modellato i nostri sguardi, i nostri giudizi, le nostre esclusioni. L’arte, d’altronde, non è mai stata neutra. Ha raccontato e spesso legittimato un mondo fatto a misura di pochi: maschi, bianchi, sani, benestanti. Ha rappresentato la bellezza secondo canoni rigidi e spesso crudeli, ha relegato le donne a muse o oggetti del desiderio, ha trasformato la disabilità in spettacolo o in simbolo di sofferenza. Senza mai interrogarsi sullo sguardo che imponeva. Ecco perché la scelta del Prado è importante. Perché non si limita a correggere un errore formale, ma si assume la responsabilità pubblica del proprio ruolo: quello di custode di memoria e, insieme, di agente di cambiamento. Non si tratta di cancellare il passato né di riscriverlo secondo una morale contemporanea. Si tratta, piuttosto, di leggerlo meglio, con più strumenti, più voci, più rispetto. Di rimettere al centro ciò che era stato messo ai margini.

Il clima culturale e politico della Spagna

Il gesto del museo si inserisce in un clima culturale più ampio e coerente. In Spagna, a febbraio 2024, il Parlamento ha approvato una modifica alla Costituzione sostituendo il termine “disminuido” (diminuito, handicappato) con “persona con discapacidad”. Un cambiamento apparentemente minimo, ma che riconosce la persona prima della sua condizione, l’identità prima della diagnosi. Un atto simbolico, ma anche concreto: perché le parole con cui definiamo i cittadini costruiscono anche i diritti che riconosciamo loro. Questo dialogo tra politica e cultura, tra diritto e immaginario, tra istituzioni e linguaggio, è un segnale prezioso. Perché solo quando l’arte e le leggi iniziano a parlare la stessa lingua — quella del rispetto — il cambiamento diventa non solo possibile, ma reale. Che siano musei, scuole, parlamenti o media, ogni luogo che produce narrazione ha oggi la responsabilità di interrogarsi sul proprio sguardo. E di cambiarlo, se necessario. Non per aderire a un’ideologia, ma per aprirsi a un’umanità più vasta. Perché non è solo questione di termini. È questione di visione del mondo. E un mondo che sceglie parole più giuste è già un mondo che si mette in cammino per diventarlo.