A Cortina diritti negati alle donne. Ma che significa? Intanto si parla di diritti sulle proprietà collettive che, secondo usanze e istituzioni antiche quanto il territorio stesso, nelle Dolomiti si traducono in passaggi di eredità che seguono esclusivamente la linea maschile.
Insomma i beni fondiari indivisi, come boschi e pascoli, alla morte del proprietario potrebbero essere rivendicati solo dai figli o parenti uomini. Ed ecco la risposta alla domanda precedente: le figlie femmine, le mogli, le nipoti, non hanno avuto, finora, alcuna possibilità. Perché così stabilisce la tradizione e così si è sempre fatto. Ma ora le cose potrebbero cambiare.
Il maschilismo a Cortina
Con una sentenza recente, infatti, la Corte d’appello di Venezia ha stabilito che si debba “tener conto dell’evoluzione dei modelli familiari e sociali e rispettare il principio costituzionale di uguaglianza di genere femminile e maschile”.
I giudici, di fatto, condannano così il radicato maschilismo che pervade certe località sulle montagne del Veneto ma non solo. Maschilismo che si concretizza in vere e proprie Regole di comportamento da seguire per far sì che la linea che è stata sempre seguita non subisca cambiamenti o tentativi di emancipazione femminile.
La Regola Casamazzagno nega i diritti alle donne
In particolare la decisione della Corte si riferisce a un’antica istituzione secondo cui le famiglie del luogo che posseggono beni fondiari devono gestire le loro proprietà collettive attraverso gli organi statuari.
Si tratta della cosiddetta Regola di Casamazzagno, nel Comelico, che più in generale coinvolge l’intera area circostante, compresa Cortina d’Ampezzo, da sempre restia a qualsiasi forma di modernizzazione di questo sistema arcaico e discriminatorio.
“È il momento di cambiare”, dichiara però al Corriere della Sera il segretario generale delle Regole ampezzane, Stefano Lorenzi, che invece da anni porta avanti un’istanza di adeguamento alla società attuale.
“Da noi c’è uno zoccolo duro di intransigenti. Questi regolieri temono che attraverso la donna arrivi il forestiero, perché se si sposa con un uomo che non è del luogo, i figli potrebbero portare un cognome non originario – aggiunge -. Insomma, qui vogliono evitare il rischio che gli Esposito sostituiscano i Ghedina.
Naturalmente è un timore infondato e anacronistico nella società attuale che riconosce oltretutto il doppio cognome. Però questa cosa da noi è ancora un tabù, mi auguro che i nostri si diano una svegliata”, conclude Lorenzi.
Paura di perdere l’identità
Ma quanto vale questa tradizionale usanza? Le proprietà amministrate secondo questa istituzione, in una delle zone montane più note e frequentate d’Italia, supera l’80% del territorio.
E le antiche famiglie a cui appartengono sono circa 1.100 e rappresentano il 40% dell’intera popolazione residente (anche se sono più che dimezzate in un secolo). Un vero e proprio tesoretto in mano a pochissimi, che non sembrano affatto propensi a privarsene. Per timore di perdere un privilegio trasmesso di generazione in generazione che però appare oggi anacronistico e discriminatorio.
“Hanno paura di perdere l’identità e non si rendono conto che invece la perdono se non si adeguano”, sostiene infatti lo storico Giandomenico Zanderigo Rosolo interpellato dal Corriere. Che insieme alla figlia Marianna ha promosso la causa contro la Regola di Casamazzagno. “Il numero dei nuclei storici è infatti in costante calo, visto che si fanno sempre meno figli e che si estinguono quelli senza una discendenza maschile”.