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Home » Attualità » Persone disabili a rischio povertà, Bulgaria maglia nera dell’Europa. Seguono le repubbliche baltiche

Persone disabili a rischio povertà, Bulgaria maglia nera dell’Europa. Seguono le repubbliche baltiche

In Italia la percentuale è del 20,5%. I comuni sardi destinano il 45% delle spese per i servizi sociali agli interventi per la disabilità

Domenico Guarino
5 Ottobre 2022
Sono ancora troppe le persone disabili a rischio di povertà

Sono ancora troppe le persone disabili a rischio di povertà

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“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana non ammette dubbi: spetta alla Repubblica, cioè a tutti noi, fare in modo che quel principio di uguaglianza formale e sostanziale stabilito nel primo comma (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) si realizzi concretamente nelle pratiche di cittadinanza.

Peccato che per molte persone questo bellissimo principio rimanga solo sulla carta. E’ il caso delle persone diversamente abili, che sono tuttora maggiormente esposte alla marginalizzazione economica e sociale, potendo contare su un reddito al di sotto della soglia di povertà (fissata al 60% del valore mediano calcolato sulla popolazione di riferimento), ed essendo dunque fortemente a rischio di grave deprivazione materiale e sociale.

In Italia la proporzione di persone disabili a rischio di povertà è pari al 20,5%, un dato in linea con la media europea
In Italia la proporzione di persone disabili a rischio di povertà è pari al 20,5%, un dato in linea con la media europea

In Italia la proporzione di persone disabili a rischio di povertà è pari al 20,5%, un dato in linea con la media europea, che però non rappresenta uno standard accettabile. Certo, il nostro Paese se la passa meglio della Bulgaria, che fa segnare il risultato peggiore nell’Unione europea con il 37,5%, o delle repubbliche baltiche -Estonia (35,9%), Lettonia (33,7%) e Lituania (32%) – ma è ancora molto lontano dai dati della Finlandia (15,7%), della Danimarca (13,9%) e della Slovacchia (13%) che rappresentano da questo punto di vista la punta di diamante dell’Europa. Tra l’altro, il divario tra persone a rischio povertà disabili e non è andato aumentando nel corso degli anni. Nel 2016, l’andamento di questi ultimi ha raggiunto un picco (15,9%) per poi andare a calare fino al 2019 (14,6%) e mantenersi relativamente stabile nel 2020. Al contrario, il dato per le persone con disabilità è sempre in crescita, arrivando a un 21% nel 2020.

Per ripianare questo gap sono fondamentali le politiche pubbliche, che dovrebbero garantire la piena inclusione delle persone con disabilità e limitare la loro esposizione a condizioni di povertà e disagio sociale. Non sorprende dunque, da questo punto di vista che sia la Lituania a far segnare la spesa maggiore in termini di proporzione di Pil impiegato in questo ambito (4,7%). Seguono Danimarca (4,6%), Paesi Bassi (4,3%) e Slovacchia (3,9%). Gli stati che spendono di meno sono Malta (1%), Bulgaria (0,6%) e Cipro (0,5%).

E l’Italia? Il nostro Paese, secondo quanto calcolato da Openpolis, “riporta uscite pari al 2%, inferiori alla media dei paesi europei (3%)”. Più nel dettaglio, stando ai dati del 2018, gli ultimi disponibili, i comuni italiani spendono in tutto circa 7,5 miliardi di euro per la gestione del welfare nelle loro aree di competenza. I costi per gli interventi legati alla disabilità comprendono il 26,8% delle uscite totali, all’incirca 2 miliardi di euro. A livello regionale, sono i comuni sardi a far segnare la spesa più rilevante (45,7%). Seguono quelli abruzzesi (35,7%) e quelli lombardi (31,8%). È invece la più bassa per le amministrazioni dell’Emilia-Romagna (19,6%) della provincia autonoma di Bolzano (18,3%) e della Valle d’Aosta.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

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  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana non ammette dubbi: spetta alla Repubblica, cioè a tutti noi, fare in modo che quel principio di uguaglianza formale e sostanziale stabilito nel primo comma ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali") si realizzi concretamente nelle pratiche di cittadinanza. Peccato che per molte persone questo bellissimo principio rimanga solo sulla carta. E’ il caso delle persone diversamente abili, che sono tuttora maggiormente esposte alla marginalizzazione economica e sociale, potendo contare su un reddito al di sotto della soglia di povertà (fissata al 60% del valore mediano calcolato sulla popolazione di riferimento), ed essendo dunque fortemente a rischio di grave deprivazione materiale e sociale.
In Italia la proporzione di persone disabili a rischio di povertà è pari al 20,5%, un dato in linea con la media europea
In Italia la proporzione di persone disabili a rischio di povertà è pari al 20,5%, un dato in linea con la media europea
In Italia la proporzione di persone disabili a rischio di povertà è pari al 20,5%, un dato in linea con la media europea, che però non rappresenta uno standard accettabile. Certo, il nostro Paese se la passa meglio della Bulgaria, che fa segnare il risultato peggiore nell'Unione europea con il 37,5%, o delle repubbliche baltiche -Estonia (35,9%), Lettonia (33,7%) e Lituania (32%) - ma è ancora molto lontano dai dati della Finlandia (15,7%), della Danimarca (13,9%) e della Slovacchia (13%) che rappresentano da questo punto di vista la punta di diamante dell’Europa. Tra l’altro, il divario tra persone a rischio povertà disabili e non è andato aumentando nel corso degli anni. Nel 2016, l'andamento di questi ultimi ha raggiunto un picco (15,9%) per poi andare a calare fino al 2019 (14,6%) e mantenersi relativamente stabile nel 2020. Al contrario, il dato per le persone con disabilità è sempre in crescita, arrivando a un 21% nel 2020. Per ripianare questo gap sono fondamentali le politiche pubbliche, che dovrebbero garantire la piena inclusione delle persone con disabilità e limitare la loro esposizione a condizioni di povertà e disagio sociale. Non sorprende dunque, da questo punto di vista che sia la Lituania a far segnare la spesa maggiore in termini di proporzione di Pil impiegato in questo ambito (4,7%). Seguono Danimarca (4,6%), Paesi Bassi (4,3%) e Slovacchia (3,9%). Gli stati che spendono di meno sono Malta (1%), Bulgaria (0,6%) e Cipro (0,5%). E l'Italia? Il nostro Paese, secondo quanto calcolato da Openpolis, “riporta uscite pari al 2%, inferiori alla media dei paesi europei (3%)”. Più nel dettaglio, stando ai dati del 2018, gli ultimi disponibili, i comuni italiani spendono in tutto circa 7,5 miliardi di euro per la gestione del welfare nelle loro aree di competenza. I costi per gli interventi legati alla disabilità comprendono il 26,8% delle uscite totali, all'incirca 2 miliardi di euro. A livello regionale, sono i comuni sardi a far segnare la spesa più rilevante (45,7%). Seguono quelli abruzzesi (35,7%) e quelli lombardi (31,8%). È invece la più bassa per le amministrazioni dell'Emilia-Romagna (19,6%) della provincia autonoma di Bolzano (18,3%) e della Valle d’Aosta.
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