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Donne di conforto: morta a 92 anni l'ultima schiava sessuale taiwanese

Oltre 200 mila le ’comfort women’, cittadine rese schiave sessualmente dall’esercito giapponese fra Taiwan, Corea del Sud e Cina. La Taipei Women’s Rescue Foundation: "Una ferita ancora aperta"

di LETIZIA CINI -
26 maggio 2023
Nella foto d’archivio, l’ex ’donna di conforto’ taiwanese Chen Lien Hua

Nella foto d’archivio, l’ex ’donna di conforto’ taiwanese Chen Lien Hua

Donne di conforto, a Taiwan è morta all’età di 92 anni l’ultima 'schiava sessuale' dell’esercito giapponese durante la Seconda Guerra mondiale: "Ma non si può voltare pagina su una ferita della storia umana”. A riferirlo è la Bbc, rilanciando il messaggio della Taipei Women’s Rescue Foundation che con altri attivisti si sono impegnati a continuare la propria lotta in memoria delle “nonne”, ragazze rapite dai soldati per servire nei bordelli militari.
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Nella foto d’archivio, l’ex ’donna di conforto’ taiwanese Chen Lien Hua si trova di fronte a un poster per la mostra “Comfort Women Wanted” dell’artista coreano-americano Lee Chang-jin a Taipei il 9 dicembre 2013

“Le donne piangevano ma non c’importava se le donne vivevano o morivano. Noi eravamo i soldati dell’imperatore. Sia nei bordelli militari sia nei villaggi, violentavamo senza riluttanza“, l'agghiacciante ricorso dell'ex militare giapponese Yasuji Kaneko, testimone di questa tragica pagina di storia, .
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Secondo stime concordanti, durante il conflitto del 1939-1945, oltre di 200 mila donne furono rese schiave sessualmente dall’esercito giapponese

Donne di conforto, i numeri della vergogna

Secondo stime concordanti, durante il conflitto del 1939-1945, oltre 200 mila donne furono rese schiave sessualmente dall’esercito giapponese, cittadine principalmente della Corea del Sud ma anche da Taiwan, Cina e Indonesia. A Taiwan, governata dal Giappone dal 1895 al 1945, quasi 60 donne si erano fatte avanti nel corso degli anni come sopravvissute a questa forma di schiavitù, secondo la Taipei Women’s Rescue Foundation, che stima ce ne fossero almeno 2 mila. Per il ministero degli Esteri dell’isola, la loro vicenda rappresenta una “ferita nella storia umana”. Per Jeff Liu, del ministero degli Affari esteri di Taiwan, “il governo ha attribuito grande importanza alla dignità e al benessere delle ex taiwanesi sopravvissute. Ha continuato a esprimere preoccupazione al governo giapponese e a sollecitare la parte giapponese ad affrontare la nostra richiesta di scusarsi e risarcire le “donne di conforto” taiwanesi e le loro famiglie”.
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Secondo stime concordanti, durante il conflitto del 1939-1945, oltre di 200 mila donne furono rese schiave sessualmente dall’esercito giapponese, fra Corea del Sud ma anche da Taiwan, Cina e Indonesia

Secondo la stessa fondazione, in realtà l’ultima sopravvissuta conosciuta dell’isola - che non voleva che il suo nome fosse reso pubblico e quindi è stata chiamata semplicemente “nonna” - è morta il 10 maggio all’età di 92 anni. La notizia della sua morte è stata però resa pubblica solo dopo un funerale privato. “Continueremo a sostenere il programma di studi, il Museo di storia nazionale e i libri di storia di Taiwan che dovrebbero registrare la verità storica delle ‘donne di conforto’/schiave sessuali militari a Taiwan, in modo che questa storia non scompaia a causa della morte delle nonne”, ha dichiarato la Taipei Women’s Rescue Foundation.
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Schiave del sesso, ferita aperta tra Taiwan e Giappone

La schiavitù delle donne in tempo di guerra in Giappone è una questione politicamente irrisolta in tutta l’Asia. Sebbene il governo giapponese abbia riconosciuto le atrocità del passato, secondo gli osservatori più critici, nel corso dei decenni, i funzionari si sono rifiutati di assumersi la piena responsabilità della schiavitù sessuale. Il governo giapponese ha affermato che le vittime sono state reclutate da civili in bordelli militari gestiti commercialmente. La querelle ha scatenato proteste a Taiwan, con gruppi di donne che hanno fatto pressioni per ottenere un risarcimento per i sopravvissuti, risarcimento che ad oggi solo la Corea del Sud ha ricevuto formalmente.

Vita e morte delle 'comfort women'

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A Taiwan è morta all’età di 92 anni l’ultima ’donna di conforto’, schiava sessuale dell’esercito giapponese durante la Seconda Guerra mondiale

Approssimativamente i tre quarti delle donne in questione morirono e la maggior parte delle sopravvissute perse la fertilità a causa dei traumi e delle malattie trasmesse. Molte storie sono state raccontate su orrori, brutalità, sofferenze e inedia delle donne olandesi nei campi di prigionia giapponese. Hank Nelson, professore emerito della Divisione di ricerca del Pacifico asiatico all’Università Nazionale Australiana, scrisse riguardo ai bordelli creati dai giapponesi a Rabaul, nella Papua Nuova Guinea durante la seconda guerra mondiale. Nei suoi scritti, Nelson cita il diario di Gordon Thomas, un soldato prigioniero di guerra a Rabaul. Thomas scrisse che le donne che lavoravano nei bordelli "erano al servizio di 25-35 uomini al giorno" e che erano "vittime della tratta di schiavi".
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Chen Lien Hua al museo di Taipei

Nelson cita inoltre Kentaro Igusa, un chirurgo della Marina giapponese, distaccato a Rabaul. Igusa scrisse nelle sue memorie che le donne continuavano il loro lavoro nonostante infezioni e gravi disagi, anche se “gridavano e imploravano aiuto”.

In Corea l'ex schiava sessuale Lee Yong-soo

Trent'anni fa ha reso pubblica la sua tremenda storia di rapimento, stupro e prostituzione forzata da parte dell'esercito giapponese nella Corea del Sud occupata militarmente. Da quel momento non ha mai più taciuto, ma ha portato il suo terribile racconto in giro per il mondo. Oggi però, ormai molto anziana, Lee Yong-soo teme di non avere più tempo per chiudere la sua vicenda.
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Lee Yong-soo è stata una Comfort women, vere e proprie schiave sessuali delle truppe imperiali giapponesi durante l'occupazione in Corea del Sud

Alla veneranda età di 93 anni l'attivista dà il volto a un gruppo sempre più esiguo (sono ormai solo nove) di sopravvissuti alla schiavitù sessuale in Corea del Sud, che dall'inizio degli anni Novanta chiede al governo giapponese di ammettere la propria colpa e di presentare scuse sincere e inequivocabili. Come raccontato su Luce!, Lee Yong-soo, che all'inizio degli anni novanta ha denunciato pubblicamente quel periodo buio nel suo passato, oggi non si vuole arrendere all'insensibilità della diplomazia giapponese e nonostante lo scorrere inesorabile del tempo renda questa sua battaglia sempre più difficile. La sua ultima - e forse definitiva - impresa è quella di convincere i governi della Corea del Sud e del Giappone a risolvere la loro decennale impasse sulla schiavitù sessuale chiedendo giustizia alle Nazioni Unite.
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Lee Yong-soo durante la cerimonia di inaugurazione delle statue in onore delle 'Comfort women'

Lee è a capo del gruppo internazionale di sopravvissuti che la scorsa settimana ha inviato una richiesta agli ispettori dell'Onu per i diritti umani affinché Seul e Tokyo si rivolgano congiuntamente alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja. Il gruppo vuole anche che il governo coreano avvii una procedura di arbitrato contro il Giappone se Tokyo non accetterà di portare il caso di fronte agli esperti. Per la 93enne è difficile essere paziente quando intorno a lei i sopravvissuti continuano a morire. Si preoccupa poi che la loro vicenda venga dimenticata o distorta dagli evidenti sforzi del Giappone di minimizzare la natura coercitiva e violenta della schiavitù sessuale della Seconda Guerra Mondiale e di escluderla dai libri di scuola.