
Chiara Freri
In un settore storicamente maschile come quello dell’edilizia, Chiara Freri, Direttrice Marketing e Partner di 4BILD, ha scelto di non adattarsi, ma di innovare. Grazie al suo lavoro, 4BILD è diventata la prima realtà della distribuzione edilizia in Italia ad aver ottenuto la certificazione UNI PDR 125:2022 per la parità di genere. L’abbiamo incontrata per parlare di diversità, sostenibilità, progetti inclusivi e di come, anche nel mondo dei mattoni, si possa “pensare nuovo”. Chiara, partirei da te: come sei arrivata a ricoprire un ruolo di leadership in un settore ancora oggi a forte prevalenza maschile come quello della distribuzione edile?
4BILD è L'azienda fondata da mio padre, ma inizialmente io ho scelto un altro percorso: ho fatto il Dams a Bologna, ho fatto l'accademia e poi ho lavorato nel mondo della comunicazione. Finché più o meno 16 anni fa ho scelto di entrare in azienda. E ora la gestisco e sono partner insieme a mio fratello e altri soci. Chiaramente il mio ruolo è rimasto legato al mio percorso professionale, quindi sono anche direttrice marketing.
Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare entrando in un settore prevalentemente e tradizionalmente maschile?
È stato sfidante per prima cosa entrare in un mercato come quello dell’edilizia attraverso il mondo del marketing e della comunicazione, perché una ventina di anni fa il settore era molto indietro sotto questo punto di vista. Ma è stato anche questo a rendere avvincente il mio percorso. In generale, ho sempre cercato di far andare le cose oltre il consueto: è la mia filosofia ed è diventata poi anche la visione di 4BILD. E da questo punto di vista, ci abbiamo voluto metterci in gioco anche sul terreno dell’inclusione e della diversità. 4BILD è stata la prima azienda italiana della distribuzione edilizia a ottenere la Certificazione UNI PDR 125:2022 per la parità di genere. Qual è stato il percorso che vi ha portato a raggiungere questo importante traguardo?
Ci sono stati tre passaggi importanti. Partendo proprio dall'inizio, nel nostro marchio c'è un'icona di una persona, quindi ritengo che il tema dell'equità e la volontà di mettere le persone al centro fossero da sempre nel DNA dell'azienda. Nel corso degli anni, 4BILD è passata dall’essere un’azienda molto piccola ad una di medie dimensioni, con 210 persone che lavorano insieme: è nata allora la necessità di dare concretezza a questo valore. Ed è da qui che è nata l’esigenza di ottenere la certificazione. Ho pensato: “Siamo in tanti ed è il momento di riscrivere la nostra storia e la nostra identità come azienda, perché non è importante solo il marchio, ma anche tutto ciò che ci sta dietro”. Con questo percorso abbiamo potuto davvero dare importanza e risalto ad ogni persona che lavora per 4BILD.
Con questa idea, abbiamo iniziato un lavoro collettivo, coinvolgendo anche il progetto Campo Teatrale, sul tema delle identità e della leadership collettiva. Il focus è stato capire il valore delle persone e delle diversità. È stato necessario fare dei percorsi di formazione, perché all’interno della stessa azienda sono predenti lavoratori con ruoli e background culturali diversi. Siamo arrivati al tema della certificazione dopo aver fatto un grande lavoro interno.
E un altro passaggio importante che ci ha portato alla certificazione è stata la creazione di 4BILD Academy, una Corporate Academy che ha l'obiettivo non solo di formare il personale su tematiche tecniche o commerciali, ma anche proprio di condivisione di un visione e di creazione di un linguaggio in cui tutti all'interno dell'azienda si possano riconoscere.
Dopo tutto questo percorso interno, scegliere di ottenere la certificazione è stato naturale. E non lo vediamo come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza. Quando avete iniziato questo percorso, anche formativo, come è stato accolto dai vostri dipendenti?
Anche questo è stato piuttosto naturale. Abbiamo scelto di procedere in modo graduale e di non imporre nulla a nessuno. Il lavoro fatto con Campo Teatrale, ma anche con Fondazione Diversity, ci hanno permesso di mettere le persone al centro e di costruire così nuove consapevolezze. L’azienda non ha imposto dei cambiamenti dall’alto al solo scopo di ottenere la certificazione. In azienda parlate di “rendere visibile l'invisibile”: cosa significa, concretamente, nella vostra quotidianità lavorativa?
Per noi ha voluto dire costruire insieme un’identità nuova. Quando noi parliamo di inclusione, parliamo anche di target che possono comprare da noi e che si può raggiungere seguendo una politica più inclusiva. Dare valore al benessere delle persone ci permette anche di creare business e innovazione, di dare servizi aggiuntivi a un mercato che esiste ma non viene preso in considerazione. Quindi un approccio inclusivo può rappresentare anche un vantaggio competitivo per le aziende del settore edilizio?
Assolutamente sì! Delle politiche aziendali che guardano l'inclusività e alla diversità con occhi diversi portano permetto di raggiungere dei nuovi target, che spesso non vengono considerati e ma che esistono. Ci sono diversi dati che dimostrano come oggi le società non siano pronte a dare risposta a moltissime persone con esigenze diverse.
Per fare un esempio, noi abbiamo lavorato sui nostri showroom di finiture per la casa - che normalmente in Italia non sono strutturati per accogliere persone con disabilità - per fare in modo che diventino adatti all’esperienza di acquisto di persone non vedenti. Accogliere un cliente con disabilità è una rivoluzione. E lo è si in termini culturali, che in termini di vantaggio competitivo.
Oltre al lavoro interno, stai lavorando su iniziative che mirano a cambiare l'intero settore, come il recente evento “Pensa Nuovo”: ci puoi raccontare qualcosa di più?
Abbiamo organizzato l’evento “Pensa Nuovo” poche settimane fa proprio con l’obiettivo di scrollarci di dosso alcuni pregiudizi, non solo legati al genere - tema ovviamente centrale - ma anche a quelli che riguardano il nostro settore. L’edilizia è spesso sottovalutata, eppure ha un peso enorme sia dal punto di vista economico, perché rappresenta una quota rilevante del PIL, sia dal punto di vista sociale: costruire città e case significa prendersi cura della collettività, ed è strettamente legato a sfide attuali come quella della sostenibilità.
Nel nostro immaginario collettivo esistono ancora stereotipi culturali che associano certe competenze o ruoli a un genere piuttosto che all’altro. Ma in realtà, esperienze e punti di vista diversi si completano. Lavorare in edilizia come donna significa portare un’osservazione diversa, attenzione al dettaglio, sensibilità relazionale. È una ricchezza, non un’eccezione.
Quali sono i prossimi passi che avete in programma?
Il prossimo passo importante è la chiusura del nostro primo bilancio di sostenibilità, che rappresenta un ulteriore tassello del percorso concreto che stiamo costruendo su questi temi. Un altro fronte per noi cruciale è quello ambientale: abbiamo aderito al consorzio REC, nato in seno a Federcomated e Confcommercio, che permette ai rivenditori di materiali edili di gestire in modo virtuoso i rifiuti da costruzione e demolizione. In una città come Milano, questi rifiuti rappresentano un impatto ambientale enorme, poterli raccogliere in modo selettivo, catalogarli per codice CER, e farli tornare a essere materiali riutilizzabili è un grande passo verso l’edilizia circolare.
Sul piano sociale, stiamo rafforzando il nostro impegno sul territorio sostenendo associazioni culturali, sportive e di beneficenza nei luoghi dove siamo presenti. Per noi è un modo per alimentare un senso di comunità, di collettività, che rischia di perdersi ma che resta fondamentale.
Infine, stiamo lavorando con il Collegio dei Geometri e altri Ordini professionali per promuovere l’ingresso di più donne nel settore. Oggi, se riceviamo dieci curriculum per una posizione tecnica, nove sono maschili. Per cambiare davvero le cose dobbiamo partire dalla formazione. Anche l’edilizia - che è, non a caso, un sostantivo femminile - ha bisogno di sguardi diversi, e vogliamo fare la nostra parte per costruire un settore più inclusivo fin dalla base.