Quando Andrea ha detto a sua moglie che voleva diventare una donna, lei le ha risposto: “Tu per me sei morto, non esisti più”. E invece oggi Andrea è più vivo che mai. Anzi, lo è Elena, 59 anni, giudice trans* e avvocatessa della provincia di Milano. A raccontare questa storia di transizione, in un’intervista alla stessa Elena, è Mow.
Elena e la paura di perdere i clienti a lavoro
È nata come Andrea, ma oggi si chiama Elena. L’avvocatessa e giudice onorario racconta che la sua esperienza di transizione non è stata sempre difficile e dolorsa, ma comunque non sono mancati gli episodi spiacevoli, soprattutto a lavoro. “Le cancellerie – racconta Elena al magazine lifestyle di AM Network – alle volte sentendo una voce femminile dicono: ‘Ok, mandi l’avvocato’, e io rispondo: ‘L’avvocato sono io‘. Prima, da Andrea, non mi era mai successo di doverlo precisare”. E in effetti, è proprio sul luogo di lavoro che Elena è costretta a subire i pregiudizi e ad affrontare le difficoltà del suo percorso di transizione. Tra le più grandi preoccupazioni di Elena infatti, come lei racconta, c’erano proprio i suoi clienti. “Per un sacco di anni si erano visti davanti un avvocato con la giacca, la barbetta e il capello corto. Certo, si sa che esistono le persone T, ma un conto è vederle in televisione o sentirne parlare sui social, un altro è quando ne incontri una in carne e ossa e scegli di fartici rappresentare a livello legale”, dichiara Elena a Mow. Comunque, nonostante la paura, Elena non perde nessuno dei suoi clienti, a dimostrazione del fatto che a loro poco importava della sua transizione. Così Elena riesce senza troppi problemi a continuare a lavorare e a svolgere le sue mansioni da avvocatessa. E in tribunale pure, Elena non si sente discriminata. “Io non so se sono tonta – ironizza con Mow – e se non me ne accorgo. Però onestamente non ti posso dire di aver subito delle discriminazioni esplicite da parte di qualcuno”.
Il dialogo “per nulla semplice” con la moglie e la famiglia
La questione si complica con la famiglia. Prima di diventare Elena, Andrea era infatti sposato da 19 anni. “Amavo profondamente mia moglie”, racconta Elena a Mow. Ma quando le disse che avrebbe voluto affrontare questo percorso di transizione la moglie rispose: “Tu per me sei morto, non esisti più”. Inevitabile il dispiacere dell’allora Andrea nell’essersi sentito rivolgere queste parole dalla moglie, la persona che più di tutte avrebbe dovuto o potuto comprendere la necessità del marito. Però non è successo. Il dialogo e le discussioni con la moglie – racconta ancora Elena a Mow – sono andati avanti per un anno. “Non è stato per nulla semplice!”, ma alla fine, dopo aver capito che il percorso di transizione non dipendeva da problemi di coppia o quant’altro, la moglie ha compreso l’esigenza dell’ex Andrea. “Ancora oggi ci vogliamo bene e siamo molto legate”, rivela Elena a Mow.
Alessio Avellino, il poliziotto che non voleva indossare i tacchi
Il percorso di transizione non è mai una scelta facile. Oggi abbiamo raccontato la storia di Alessio Avellino, un poliziotto napoletano di 26 anni, che è riuscito nella sua impresa: quello di prestare giuramento in pantaloni, e non in gonna e tacchi. Alessio non si sentiva donna, non era una donna. Lo era solo perché i suoi documenti e il suo corpo lo dicevano. Ma prima di affrontare il percorso di transizione, Alessio ha dovuto affrontare tante difficoltà. Poi, grazie all’aiuto di una donna, Michela Pascali, che lo supportò in questo suo percorso, Alessio riuscì piano piano a diventare quello che era, quello che voleva essere. “È nel comunicare la paura che ho iniziato a capire di potermi fidare, di pochi, ma di potermi fidare. Di potermi esporre, di poterci provare a farmi vedere. E così nel dolore che mi invadeva e pervadeva, ho scoperto occhi che vestiti coi miei stessi colori hanno abbracciato la mia sofferenza, stravolgendola”, ha raccontato Alessio a Polis Aperta, l’associazione Lgbti+ delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate. Quando arrivò il giorno del giuramente, Alessio riuscì nella sua impresa: “Ho giurato in pantaloni perché le molteplici divise che hanno incontrato la mia richiesta si sono spese uniformemente nella risposta al mio bisogno. E il giorno del giuramento – conclude Alessio nella dichiarazione a Polis Aperta – è stato per me gioia, nonostante tutto, perché quello che ero si era in parte allineato con ciò che ero chiamato a fare”.