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Home » Attualità » “A 15 anni da morte di Piergiorgio, la battaglia continua“. Mina Welby, una donna in lotta per il fine vita

“A 15 anni da morte di Piergiorgio, la battaglia continua“. Mina Welby, una donna in lotta per il fine vita

Ha studiato, combattuto, rischiato il carcere per tenere fede alla promessa fatta al marito sul letto di morte: “Una legge per poter decidere quando terminare con dignità“

Letizia Cini
19 Dicembre 2021
Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni colpito da distrofia muscolare morto il 20 dicembre 2006

Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni colpito da distrofia muscolare morto il 20 dicembre 2006

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“L’avevo promesso a Piergiorgio e così ho fatto. Mi aveva invitata a portare avanti il ‘Calibano’, il suo blog; riflettendoci la sera stessa, ho compreso la portata di quella richiesta: continuare la sua battaglia”. Ha studiato, combattuto, rischiato il carcere per tenere fede alla promessa fatta al marito sul letto di morte. Sono passati 15 anni da quel giorno e Mina Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni (ruolo che fu anche di Piergiorgio), è ancora sul campo a difendere i diritti di chi soffre, la libertà di scelta sul fine vita. “penso a quel lungo pomeriggio trascorso insieme – racconta Mina Welby ricordando con commozione quel 20 dicembre di 15 anni fa – Ero vicina al suo letto, abbiamo parlato poco ma ci siamo guardati tanto e intensamente. Di tanto in tanto gli chiedevo qualcosa, se volesse ascoltare musica o guardare delle foto. ‘No’ la sua risposta. Ho avuto per un attimo la sensazione che avesse paura, che volesse ripensarci. Non voleva incontrare nessuno ma ha accettato che entrasse nella sua stanza un bambino: era il figlio di 5 anni di una mia alunna, aveva in mano una candela a forma di Babbo Natale. Piergiorgio gli ha sorriso, lo ha fatto avvicinare e accendere la candelina messa poi sopra la tv di fronte al letto”.

Il cammino

“Il cammino è ancora lungo – sospira Mina Welby – ma i passi fatti finora, nel segno della lunga battaglia di Piergiorgio per la libertà di scelta nel fine vita, sono per me una soddisfazione. Abbiamo oggi la legge 219/17 che ha introdotto il testamento biologico, ora i tempi sono maturi per compiere ulteriori passi verso l’eutanasia legale”.

Piergiorgio Welby a 59 anni, seduto su una sedia a rotelle, accompagnato dalla moglie Mina con una delegazione dei radicali italiani composta da Marco Pannella (d), Emma Bonino (s) e Daniele Capezzone

Poter decidere quando terminare “con dignità” la propria vita devastata da una malattia irreversibile e sofferenze insostenibili. Il primo a porre questa richiesta, chiamando in causa le istituzioni, è stato proprio Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni colpito da distrofia muscolare. Quindici anni fa, il 20 dicembre 2006, Welby chiese al medico Mario Riccio di staccare il respiratore che lo teneva in vita. Dopo di lui, tanti sono stati i casi che hanno scosso le coscienze ma per arrivare all’approdo in Parlamento di una normativa che regolamentasse il suicidio assistito si è dovuto attendere sino alla scorsa settimana.

La legge, tuttavia, resta per ora al palo. Dopo aver scritto all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera in cui chiedeva l’ eutanasia, nel 2006 Welby vide rifiutata la sua richiesta dal tribunale di Roma che la respinse dichiarandola “inammissibile“ a causa del vuoto legislativo su questa materia. Pochi giorni dopo, chiese a Riccio – che venne poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente – di porre fine al suo calvario staccando il respiratore sotto sedazione. Dopo di lui, un filo rosso ha legato tanti volti alla battaglia per la ‘fine dignitosà, da Giovanni Nuvoli a Eluana Englaro e dj Fabo (Fabiano Antoniani), morto in Svizzera nel 2017 nella struttura dove si era recato accompagnato da Marco Cappato dell’Associazione Coscioni per ottenere il suicidio assistito.

L’ultimo caso

L’ultimo caso è quello di Mario, tetraplegico, il primo malato ad aver ottenuto il via libera legale al suicidio medicalmente assistito in Italia, secondo l’iter stabilito dalla sentenza Cappato/Antoniani della Corte costituzionale, ma che oggi ha denunciato l’Azienda sanitaria unica delle Marche e il Comitato Etico della Regione Marche per il reato di ‘tortura’ a seguito del ritardo nelle necessarie verifiche sul farmaco letale da utilizzare e le relative modalità di somministrazione. Sullo sfondo, dopo anni di lotte e sentenze di tribunali, il Testo unico sul suicidio medicalmente assistito, di cui l’Aula della Camera ha concluso la discussione generale lo scorso 13 dicembre. Ma i tempi non paiono brevi: perchè l’Assemblea di Montecitorio si esprima sulle norme, considerate troppo poco dall’Associazione Coscioni, al centro di un acceso dibattito con forti distinguo tra le forze politiche, bisognerà probabilmente attendere almeno fino a dopo l’elezione del Capo dello Stato.

In una combo: Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Eluana Englaro, Mario Fanelli, Walter Piludu, dj Fabo (Fabiano Antoniani) e Patrizia Cocco

In attesa di una norma nazionale, sono stati fatti passi avanti negli anni, interviene la segretaria dell’Associazione Coscioni Filomena Gallo, ma non è abbastanza. “Siamo arrivati nel 2017 ad una legge sul Testamento biologico, che rende lecito il distacco dei trattamenti in corso previa sedazione palliativa profonda e alla disobbedienza civile di Cappato nel caso Dj Fabo – spiega – con un intervento nel 2019 della Corte Costituzionale che ha valore di legge e che rende non punibile l’aiuto al suicidio se la persona che ne fa richiesta ha determinate condizioni verificate dal Ssn, ovvero ha malattia irreversibile fonte di sofferenza fisica o psichica, è dipendente da trattamenti di sostegno vitale e ha piena capacità di autodeterminarsi“. Solo nel 2021 il Parlamento, sottolinea Gallo, “inizia timidamente a parlare di suicidio assistito, ma ad oggi c’è stata una sola seduta con un rinvio senza data“. Il Testo unico però, secondo Gallo, già presenta elementi di “forte criticità ed è un passo indietro rispetto alla sentenza della Corte, perché non stabilisce tempi certi di risposta per il malato e vengono aggiunti ulteriori requisiti che creano discriminazione tra gli stessi malati in base alla gravità della patologia“.

La legge

La legge, chiarisce inoltre, “si riferisce al suicidio assistito, che prevede l’autosomministrazione del farmaco letale da parte del malato stesso, ed è cosa diversa dall’ eutanasia che prevede invece la somministrazione del farmaco da parte di un terzo in modo attivo“. Se la legge è quindi un “tentativo per bloccare il referendum sull’eutanasia, allora – afferma la rispediamo al mittente. Quanto al referendum, siamo in attesa dell’udienza di ammissibilità dinanzi alla Consulta e poi, finalmente gli italiani potranno essere chiamati alle urne per decidere“.

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Instagram

  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
“L’avevo promesso a Piergiorgio e così ho fatto. Mi aveva invitata a portare avanti il ‘Calibano’, il suo blog; riflettendoci la sera stessa, ho compreso la portata di quella richiesta: continuare la sua battaglia”. Ha studiato, combattuto, rischiato il carcere per tenere fede alla promessa fatta al marito sul letto di morte. Sono passati 15 anni da quel giorno e Mina Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni (ruolo che fu anche di Piergiorgio), è ancora sul campo a difendere i diritti di chi soffre, la libertà di scelta sul fine vita. “penso a quel lungo pomeriggio trascorso insieme - racconta Mina Welby ricordando con commozione quel 20 dicembre di 15 anni fa - Ero vicina al suo letto, abbiamo parlato poco ma ci siamo guardati tanto e intensamente. Di tanto in tanto gli chiedevo qualcosa, se volesse ascoltare musica o guardare delle foto. ‘No’ la sua risposta. Ho avuto per un attimo la sensazione che avesse paura, che volesse ripensarci. Non voleva incontrare nessuno ma ha accettato che entrasse nella sua stanza un bambino: era il figlio di 5 anni di una mia alunna, aveva in mano una candela a forma di Babbo Natale. Piergiorgio gli ha sorriso, lo ha fatto avvicinare e accendere la candelina messa poi sopra la tv di fronte al letto”.

Il cammino

“Il cammino è ancora lungo - sospira Mina Welby - ma i passi fatti finora, nel segno della lunga battaglia di Piergiorgio per la libertà di scelta nel fine vita, sono per me una soddisfazione. Abbiamo oggi la legge 219/17 che ha introdotto il testamento biologico, ora i tempi sono maturi per compiere ulteriori passi verso l’eutanasia legale”.
Piergiorgio Welby a 59 anni, seduto su una sedia a rotelle, accompagnato dalla moglie Mina con una delegazione dei radicali italiani composta da Marco Pannella (d), Emma Bonino (s) e Daniele Capezzone
Poter decidere quando terminare “con dignità" la propria vita devastata da una malattia irreversibile e sofferenze insostenibili. Il primo a porre questa richiesta, chiamando in causa le istituzioni, è stato proprio Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni colpito da distrofia muscolare. Quindici anni fa, il 20 dicembre 2006, Welby chiese al medico Mario Riccio di staccare il respiratore che lo teneva in vita. Dopo di lui, tanti sono stati i casi che hanno scosso le coscienze ma per arrivare all’approdo in Parlamento di una normativa che regolamentasse il suicidio assistito si è dovuto attendere sino alla scorsa settimana. La legge, tuttavia, resta per ora al palo. Dopo aver scritto all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera in cui chiedeva l’ eutanasia, nel 2006 Welby vide rifiutata la sua richiesta dal tribunale di Roma che la respinse dichiarandola “inammissibile“ a causa del vuoto legislativo su questa materia. Pochi giorni dopo, chiese a Riccio - che venne poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente - di porre fine al suo calvario staccando il respiratore sotto sedazione. Dopo di lui, un filo rosso ha legato tanti volti alla battaglia per la ‘fine dignitosà, da Giovanni Nuvoli a Eluana Englaro e dj Fabo (Fabiano Antoniani), morto in Svizzera nel 2017 nella struttura dove si era recato accompagnato da Marco Cappato dell’Associazione Coscioni per ottenere il suicidio assistito.

L'ultimo caso

L’ultimo caso è quello di Mario, tetraplegico, il primo malato ad aver ottenuto il via libera legale al suicidio medicalmente assistito in Italia, secondo l’iter stabilito dalla sentenza Cappato/Antoniani della Corte costituzionale, ma che oggi ha denunciato l’Azienda sanitaria unica delle Marche e il Comitato Etico della Regione Marche per il reato di ‘tortura' a seguito del ritardo nelle necessarie verifiche sul farmaco letale da utilizzare e le relative modalità di somministrazione. Sullo sfondo, dopo anni di lotte e sentenze di tribunali, il Testo unico sul suicidio medicalmente assistito, di cui l’Aula della Camera ha concluso la discussione generale lo scorso 13 dicembre. Ma i tempi non paiono brevi: perchè l’Assemblea di Montecitorio si esprima sulle norme, considerate troppo poco dall’Associazione Coscioni, al centro di un acceso dibattito con forti distinguo tra le forze politiche, bisognerà probabilmente attendere almeno fino a dopo l’elezione del Capo dello Stato.
In una combo: Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Eluana Englaro, Mario Fanelli, Walter Piludu, dj Fabo (Fabiano Antoniani) e Patrizia Cocco
In attesa di una norma nazionale, sono stati fatti passi avanti negli anni, interviene la segretaria dell’Associazione Coscioni Filomena Gallo, ma non è abbastanza. “Siamo arrivati nel 2017 ad una legge sul Testamento biologico, che rende lecito il distacco dei trattamenti in corso previa sedazione palliativa profonda e alla disobbedienza civile di Cappato nel caso Dj Fabo - spiega - con un intervento nel 2019 della Corte Costituzionale che ha valore di legge e che rende non punibile l’aiuto al suicidio se la persona che ne fa richiesta ha determinate condizioni verificate dal Ssn, ovvero ha malattia irreversibile fonte di sofferenza fisica o psichica, è dipendente da trattamenti di sostegno vitale e ha piena capacità di autodeterminarsi“. Solo nel 2021 il Parlamento, sottolinea Gallo, “inizia timidamente a parlare di suicidio assistito, ma ad oggi c’è stata una sola seduta con un rinvio senza data“. Il Testo unico però, secondo Gallo, già presenta elementi di “forte criticità ed è un passo indietro rispetto alla sentenza della Corte, perché non stabilisce tempi certi di risposta per il malato e vengono aggiunti ulteriori requisiti che creano discriminazione tra gli stessi malati in base alla gravità della patologia“.

La legge

La legge, chiarisce inoltre, “si riferisce al suicidio assistito, che prevede l’autosomministrazione del farmaco letale da parte del malato stesso, ed è cosa diversa dall’ eutanasia che prevede invece la somministrazione del farmaco da parte di un terzo in modo attivo“. Se la legge è quindi un “tentativo per bloccare il referendum sull’eutanasia, allora - afferma la rispediamo al mittente. Quanto al referendum, siamo in attesa dell’udienza di ammissibilità dinanzi alla Consulta e poi, finalmente gli italiani potranno essere chiamati alle urne per decidere“.
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