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Home » Attualità » Fabio Ridolfi chiede il suicidio assistito: “Immobilizzato a letto da 18 anni, lo Stato mi aiuti a morire”

Fabio Ridolfi chiede il suicidio assistito: “Immobilizzato a letto da 18 anni, lo Stato mi aiuti a morire”

Il 46enne di Fermignano (Pesaro Urbino) è tetraplegico e può solo muovere gli occhi, con cui comunica. Fabio non ne può più di vivere così e lancia un video appello condiviso dall'Associazione Luca Coscioni: "Ogni giorno la mia condizione diventa sempre più insostenibile. Gentile Stato italiano, aiutami a morire"

Remy Morandi
18 Maggio 2022
Fabio Ridolfi suicidio assistito

Fabio Ridolfi suicidio assistito

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Un video che lascia spazio a poche parole. Un appello che difficilmente può rimanere inascoltato. Fabio Ridolfi, 46 anni di Fermignano (Pesaro Urbino) è un uomo che da 18 anni è completamente immobilizzato perché tetraplegico, costretto a stare a letto ogni giorno e a parlare solo tramite gli occhi, l’unica parte del corpo che riesce a muovere. Fabio non ne può più di vivere così, e per questo ha lanciato un appello per richiedere il suicidio assistito. “Lo Stato mi aiuti a morire“, dice in un video condiviso sui social dall’Associazione Luca Coscioni.

Fabio Ridolfi è il terzo italiano a chiedere il suicidio assistito. Altri due tetraplegici marchiagiani ne avevano fatto richiesta. Ma mentre Mario e Antonio hanno scelto l’anonimato, Fabio ha deciso di metterci la faccia, di diffondere la sua storia e di dire al mondo, e soprattutto allo Stato italiano, che la sua non è una vita. E per questo vuole morire.

L’appello di Fabio, tetraplegico e immobilizzato da 28 anni: “Lo Stato mi aiuti a morire”

Fabio Ridolfi, di Fermignano (Pesaro Urbino), chiede il suicidio assistito allo Stato Italiano. Il 46enne è immobilizzato da quando ne ha 18 perché tetraplegico (Foto screenshot video Associazione Luca Coscioni)

“Gentile Stato italiano, da 18 anni sono ridotto così. Ogni giorno la mia condizione diventa sempre più insostenibile. Aiutami a morire”. È questo l’apello di Fabio Ridolfi, l’uomo che da 18 anni è immobilizzato a letto a causa di una tetrapresi da rottura dell’artesia basilare. Il 46enne può solamente muovere gli occhi e comunica attraverso un puntatore oculare. Assistito dall’Associazione Luca Coscioni, si è rivolto all’Asur (Azienda Sanitaria Unica Regionale) Marche che, in seguito alla giurisprudenza creata dai casi di Mario e Antonio, ha attivato le verifiche previste dalla sentenza della Corte Costituzionale Cappato/dj Fabo.

Fabio Ridolfi è stato sottoposto a tutte le visite mediche del caso ma, dal 15 marzo quando la relazione medica è stata inviata al Comitato Etico Regione Marche – fa sapere l’Associazione Luca Coscioni – “ancora non è arrivato nessun parere, né sulle sue condizioni né sulle modalità per poter procedere con suicidio medicalmente assistito”.

Il 46enne è la terza persona in Italia ad aver fatto richiesta di suicidio assistito, dopo Mario e Antonio. In contatto da tempo con Mina Welby, Fabio Ridolfi aveva valutato anche la possibilità di andare in Svizzera (ne avevamo parlato qui, nella storia di Anna Milazzo). A differenza degli altri due tetraplegici marchigiani, che hanno scelto l’anonimato, Fabio ha reso noto il suo nome e il suo volto, diffondendo un video in cui lo si vede comporre il suo appello con il puntatore oculare.

Marco Cappato, segretario nazionale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni: “Fabio chiede di porre fine alle sue sofferenze in modo indolore, è un suo diritto”

L’Associazione Luca Coscioni: “Fabio chiede di porre fine alle sue sofferenze, è un suo diritto”

“Fabio chiede di porre fine alle sue sofferenze in modo indolore, con le modalità più veloci e rispettose della sua dignità. È un suo diritto, sulla base della sentenza della Corte costituzionale nel caso Cappato/Antoniani – hanno dichiarato Filomena Gallo e Marco Cappato, segretario nazionale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni -. Ancora una volta, come già successo con Mario e Antonio, il ritardo dell’Asur nel rispondere alla sua richiesta, in violazione degli obblighi di legge, comporta sofferenze che per Fabio sono da anni insopportabili”.

Mario e Antonio, però, hanno dovuto ingaggiare delle battaglie legali, a suon di diffide, per ottenere la verifica da parte dell’Asur delle condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito, previste dalla sentenza della Consulta. Nel caso di Mario, alla fine, è arrivato il parere positivo del Comitato Etico Regione Marche e sono state superate anche alcune difficoltà interpretative legate al tipo di sostanza da utilizzare, alla quantità e alle modalità di somministrazione. Antonio invece è ancora in attesa. Ma sulla scorta di queste esperienze, l’Asur questa volta non ha atteso l’ordine dei giudici e si è attivata per le modifiche.

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  • Se spesso sentiamo parlare di body shaming rivolto alle persone in carne, c’è chi invece ha passato anni a sentirsi dire di essere “Troppo magra”. 

Ma ora Ema Stokholma dice basta e spiega il motivo di quel corpo che sia i fan che gli haters si sentono in diritto di giudicare. La 38enne francese naturalizzata italiana ha voluto zittire una volta per tutte quelle dicerie sul suo conto, rivelando di soffrire di un disturbo legato all’alimentazione: soffre di inappetenza, ovvero di mancanza di appetito, da quando era bambina. 

“Inappetenza significa che posso tranquillamente scordarmi di mangiare per più di ventiquattro ore senza sentire i sintomi della fame, soprattutto se lavoro molto o sono in viaggio. Intanto sono sotto peso da sempre e questo non mi sta più bene, voglio prendermi cura del mio corpo e dosare bene le energie che non mangiando non riesco a gestire.
Da 38 anni per mangiare correttamente mi devo sforzare di pensarci, mettere la sveglia apposta e ritagliarmi il tempo perché il cibo è davvero la cosa che più rimando nella vita dando spazio ad altre attività”.

Di Marianna Grazi ✍

#lucenews #lucelanazione #emastokholma #dca #disturboalimentare #inappetenza
  • Le giovani americane, oggi per la prima volta, avranno meno diritti delle loro nonne. Non era mai accaduto nell’occidente contemporaneo.
“È stata fatta la volontà di Dio", dice Trump. E ascoltando con sgomento l’ex presidente del Paese che guida il mondo, ho pensato all’abnormità di parole che scavano voragini in ciò che noi occidentali abbiamo conquistato nell’ultimo secolo.

Perché il fondamento dei nostri tessuti sociali e politici è la laicità. È la laicità che ha garantito la nascita delle democrazie e il loro sviluppo, e che insieme alle democrazie ha accompagnato il lento progresso delle conquiste legate alle libertà personali. La laicità ha consentito al nostro mondo la possibilità di diventare – con tutti i limiti del caso – un mondo libero.

Laicità non significa rifiuto o negazione della religione, della fede, di Dio. Significa invece ribadire che la religione, la fede, Dio debbono restare in una sfera che attiene al proprio intimo, alle proprie personali e legittime e sacrosante convinzioni. Senza mescolarsi con lo Stato. Il fondamento della laicità prevede che si preservino i diritti – come quello all’aborto – salvaguardando sensibilità, credenze, ideologie, culture personali.

La laicità, quindi, tutela anche la religione. Anzi, le religioni. Non impone verità assolute, ma garantisce il diritto alla pluralità. Trump invece scomoda Dio e la sua volontà per parlare di una legge degli uomini. Sono parole, le sue, che ci trasportano in un’altra epoca, o perlomeno in un’altra parte del pianeta. Ci trasportano nell’Afghanistan dei Talebani, nell’Iran della Shari’a.

Stati teocratici, appunto, dove alla laicità si sostituisce la religione. Stati che, tra le altre cose, l’America combatte o ha combattuto proprio nel nome di quei “valori occidentali da esportare“. I valori che si fondano sulla laicità.

Così l’ex presidente che invoca Dio mostra tutta la penosa strumentalizzazione e il pericoloso cinismo che la politica più spregiudicata può fare delle libertà e dei diritti. È questo il vero pericolo della strana e difficile epoca che viviamo. È un pericolo per l’America e per tutti noi.

L
  • Quante aziende permettono ai propri dipendenti di portare con sé al lavoro il proprio animale da compagnia? 

Se negli Stati Uniti questa abitudine si sta facendo strada (anche grazie all’esempio di tre “colossi” dell’economia come Amazon, Nintendo e Purina), in Italia non c’è una normativa specifica che disciplini la presenza di animali sui luoghi di lavoro. 

Va detto che oramai 40 milioni di italiano hanno un qualche animale da compagnia, solo tra cani e gatti si contano circa 14 milioni di esemplari domestici, secondo le stime più accreditate. 

Benefici o rischi?

È noto che portare in ufficio il proprio animale da compagnia genera non pochi benefici sul piano della socialità e della produttività nelle aziende che lo permettono. In questo caso si assiste a una riduzione dello stress e dell’ansia da prestazione, a una miglioramento della prestazione lavorativa, a una riduzione del tasso di assenteismo e anche a un marcato rafforzamento socialità e gioco di squadra in ufficio.

Naturalmente esistono anche dei rischi, ma per questi le leggi parlano chiaro: in caso di danni arrecati a luoghi o persone, sarà il padrone del cane a esserne responsabile. 

E voi? Potete portare il vostro cane in ufficio con voi?

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  • Avete una canzone da Pride Month? 🎶

Ecco 3 suggerimenti dedicati a chi si sente un po’ Grace Kelly, un po’ Raffaella Carrà. A ognuno il suo spirito guida per trovare la propria identità.

E non è tutto. Su Spotify troverai la playlist “Born to be a Light”, 10 canzoni in grado di accedere una Luce in ognun* di noi! ✨

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Un video che lascia spazio a poche parole. Un appello che difficilmente può rimanere inascoltato. Fabio Ridolfi, 46 anni di Fermignano (Pesaro Urbino) è un uomo che da 18 anni è completamente immobilizzato perché tetraplegico, costretto a stare a letto ogni giorno e a parlare solo tramite gli occhi, l'unica parte del corpo che riesce a muovere. Fabio non ne può più di vivere così, e per questo ha lanciato un appello per richiedere il suicidio assistito. "Lo Stato mi aiuti a morire", dice in un video condiviso sui social dall'Associazione Luca Coscioni. Fabio Ridolfi è il terzo italiano a chiedere il suicidio assistito. Altri due tetraplegici marchiagiani ne avevano fatto richiesta. Ma mentre Mario e Antonio hanno scelto l'anonimato, Fabio ha deciso di metterci la faccia, di diffondere la sua storia e di dire al mondo, e soprattutto allo Stato italiano, che la sua non è una vita. E per questo vuole morire.

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Marco Cappato, segretario nazionale e tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni: "Fabio chiede di porre fine alle sue sofferenze in modo indolore, è un suo diritto"

L'Associazione Luca Coscioni: "Fabio chiede di porre fine alle sue sofferenze, è un suo diritto"

"Fabio chiede di porre fine alle sue sofferenze in modo indolore, con le modalità più veloci e rispettose della sua dignità. È un suo diritto, sulla base della sentenza della Corte costituzionale nel caso Cappato/Antoniani - hanno dichiarato Filomena Gallo e Marco Cappato, segretario nazionale e tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni -. Ancora una volta, come già successo con Mario e Antonio, il ritardo dell'Asur nel rispondere alla sua richiesta, in violazione degli obblighi di legge, comporta sofferenze che per Fabio sono da anni insopportabili". Mario e Antonio, però, hanno dovuto ingaggiare delle battaglie legali, a suon di diffide, per ottenere la verifica da parte dell'Asur delle condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito, previste dalla sentenza della Consulta. Nel caso di Mario, alla fine, è arrivato il parere positivo del Comitato Etico Regione Marche e sono state superate anche alcune difficoltà interpretative legate al tipo di sostanza da utilizzare, alla quantità e alle modalità di somministrazione. Antonio invece è ancora in attesa. Ma sulla scorta di queste esperienze, l'Asur questa volta non ha atteso l'ordine dei giudici e si è attivata per le modifiche.
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