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Home » Attualità » Federico Carboni, il primo suicidio assistito in Italia: “Ora Mario è libero”

Federico Carboni, il primo suicidio assistito in Italia: “Ora Mario è libero”

Se ne è andato sereno il 44enne tetraplegico di Senigallia. Fondamentale il sostegno dell'Associazione Coscioni che ha raccolto 5mila euro per le attrezzature e il farmaco

Ilaria Vallerini
17 Giugno 2022
Federico Carboni, conosciuto come "Mario", è il primo caso di suicidio medicalmente assistito in Italia

Federico Carboni, conosciuto come "Mario", è il primo caso di suicidio medicalmente assistito in Italia

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Una vita scandita da un prima e un dopo. L’incidente stradale seguito da 12 anni di tetraplegia. E poi una battaglia legale che si è conclusa con una svolta storica. Mario (nome di fantasia) è la prima persona in Italia che  legalmente ha potuto scegliere il suicidio medicalmente assistito. E prima di farlo ha deciso che era arrivato anche il momento di svelare al mondo la sua vera identità: non si chiamava “Mario”, come abbiamo imparato a conoscerlo, ma Federico Carboni. Aveva 44 anni e viveva a Senigallia, in provincia di Ancona. “Vi auguro buona fortuna, vi voglio bene”, ha detto sul letto d’ospedale. Poi ha premuto il tasto per azionare l’ “aggeggio” come lo chiamava lui, per far arrivare alle vene il farmaco mortale. E’ deceduto alle 11.05 di una mattina afosa di giugno. Il 16 giugno, per la precisione, una data che rimarrà nella storia del nostro Paese, perché ha sancito un prima e un dopo senza precedenti.

Un passo avanti significativo nella lotta per la libertà di scelta dei pazienti

“Il fine vita ha un costo, ma lo Stato non se ne fa carico”

“In assenza di una legge, lo Stato italiano non si fa carico dei costi dell’assistenza al suicidio assistito e dell’ erogazione del farmaco, nonostante la tecnica sia consentita dalla Corte Costituzionale con la sentenza Cappato/Dj Fabo”. A denunciarlo era stata l’Associazione Coscioni che aveva attivato subito una raccolta fondi per Mario. Perché morire in Italia ha un costo che ricade sul paziente. Nel suo caso la somma era di 5mila euro.  Grazie a una “straordinaria mobilitazione”, la cifra che è stata raccolta ha superato di gran lunga l’equivalente necessario per sostenere le spese della strumentazione e del farmaco. Mario non ha perso l’occasione di ringraziare chi lo ha aiutato nel suo ultimo viaggio. “Grazie a tutti – ha dichiarato – per avere coperto le spese del ‘mio’ aggeggio, che poi lascerò a disposizione dell’Associazione Luca Coscioni per chi ne avrà bisogno dopo di me. Continuate a sostenere questa lotta per essere liberi di scegliere“.

Legge sul fine vita, una manifestazione di protesta dell’Associazione Luca Coscioni

Suicidio assistito, la legge che non c’è

La storia di “Mario” è un passo in avanti sul fronte del fine vita. Ma comunque in Italia continua a non esserci una legge che ne definisca le regole  e i confini (approvata lo scorso marzo alla Camera è rimasta incagliata in Senato).  E non c’è malgrado il richiamo della Corte Costituzionale che nel 2019 sollecitò il Parlamento ad approvarla. La Corte si stava esprimendo sul caso di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni che aveva accompagnato in Svizzera a morire Fabio Ridolfi, dj Fabo, tetraplegico dopo un incidente stradale. Tutto questo per annullare le atroci sofferenze che stava vivendo. Cappato non era punibile perché il caso di dj Fabo rispettava tutte e quattro le condizioni fondamentali che permettono la pratica: essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitali; essere affetti da una patologia irreversibile; essere affetti da una patologia fonte di sofferenze intollerabili; essere pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli. Anche per Federico Carboni valevano queste condizioni, riconosciute dalla sua Asl di riferimento (la Asur Marche) dopo quasi due anni di battaglie legali, fra cause penali, ricorsi, diffide. “Due anni di ostinazione e determinazione“, come li ha definiti Cappato, in prima linea al capezzale di Federico insieme a Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale dell’ Associazione Coscioni, ma anche a parenti ed amici. Inchiodato al letto e sofferente più di sempre per un’infezione che lo tormentava da settimane, “Mario” se ne è potuto andare sereno.

Ridolfi chiedeva il suicidio assistito allo Stato Italiano, ma dopo i continui ritardi ha scelto la sedazione profonda

 

 

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  • Addio alle distinzioni di genere all’Università di Pisa. Arrivano i bagni ‘genderless’, adottati per superare le categorizzazioni uomo-donna, che identificano il genere, e che possono far sentire a disagio o discriminato chi non si riconosce in quello assegnatogli dalla società. 

“È un atto di civiltà per dichiarare in modo fermo il nostro essere un’Università aperta, in cui la differenza è una ricchezza e le discriminazioni non hanno diritto alla cittadinanza", dichiara il rettore Paolo Mancarella.

Sono 86 quelli attivi dal 29 giugno in tutta l’Università di Pisa, la prima in Toscana e tra le prime in Italia ad adottare questa misura. 

"Mi auguro che sia solo l’inizio di una serie di cambiamenti e che possa essere di ispirazione per le altre università e scuole”, ha commentato Geremia, studente diventato in poco tempo il simbolo della battaglia per l’ottenimento della carriera alias. 

Di Gabriele Masiero e Ilaria Vallerini ✍

#lucenews #lucelanazione #universitàdipisa #unipi #bagnigenderless #genderless #geremia #genderrightsandequality
  • La decisione della Corte suprema americana di abolire il diritto all’aborto come principio costituzionale ha scatenato una vera e propria ondata di terrore anche al di fuori dei confini Usa. Una scelta che ha immediatamente sancito una sorta di condanna per milioni di donne in America ma che ha fatto indignare anche cittadini e cittadine di altri Paesi, non ultimi quelli italiani.

La sola legge 194 non basta più.

Anche se il numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia continua a scendere e i tassi di abortività sono tra i più bassi al mondo, a spaventare è l’indagine “Mai Dati!” condotta su oltre 180 strutture dalla professoressa Chiara Lalli e da Sonia Montegiove, informatica e giornalista, pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni.

Il quadro che emerge è drammatico: sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie nazionali con il 100% di personale sanitario obiettore, tra ginecologi, anestesisti, infermieri e OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

A rimetterci, come sempre, sono però le persone, le donne.

L
  • “Quando tutti potranno mostrarsi per quello che sono e che sentono senza subire discriminazioni, allora solo a quel punto potremo dire di aver raggiunto l’uguaglianza“. 

A dichiararlo è Sara Lorusso che in occasione del Pride Month ha tradotto questo pensiero nella sua esposizione fotografica “Our Generation”, curata da Marcella Piccinni, in mostra negli spazi dello Student Hotel di Firenze fino a venerdì 8 luglio. 

“In occasione del Pride Month ho deciso di legare insieme diversi progetti fotografici sull’amore queer e non binary, ma anche sulla libertà di espressione del singolo, che ho realizzato nel corso del tempo. A partire da ‘Love is love’, dove ho immortalato i ritratti di coppie queer. ‘Protect love and lovers’ in cui avevo chiesto a diverse coppie di baciarsi in luoghi pubblici che stessero loro a cuore. E poi ‘Our Generation’ che ritrae persone queer e no-binary libere di esprimersi attraverso l’abbigliamento, gli accessori e il trucco”.

L’intervista completa a cura di Ilaria Vallerini è disponibile sul sito ✨

#lucenews #lucelanazione #saralorusso #ourgeneration #queerlove #pridemonth #proudtobepride #studenthotelfirenze
  • Sono tanti gli esperti e gli attivisti americani che si interrogano se la sentenza della Corte Suprema, che elimina il diritto all’aborto negli Usa, potrà avere impatti anche su altri diritti, compresi quelli alla privacy.

I procuratori possono decidere di indagare su qualsiasi donna che sia stata incinta ma non abbia portato a termine la gravidanza, anche in caso di aborti spontanei.

“La differenza tra ora e l’ultima volta che l’aborto è stato illegale negli Stati Uniti è che viviamo in un’era di sorveglianza digitale senza precedenti”.

A dirlo è la direttrice per la sicurezza informatica della Electronic Frontier Foundation Eva Galperin.

Il caso più eclatante è stato quello di Latice Fisher, la donna del Mississippi che nel 2017 era stata accusata di omicidio di secondo grado dopo aver partorito un bambino nato morto nel terzo trimestre perché, nelle settimane precedenti, aveva cercato online informazioni sulle pillole abortive. Non esisteva nessun’altra prova che Fisher avesse comprato le pillole, ma il caso è comunque durato fino al 2020, quando era stato archiviato.

Le autorità possono decidere di chiedere direttamente alle aziende di fornire i dati in loro possesso relativi a specifici utenti. Non si tratta soltanto di Google, Facebook, Instagram, TikTok o Amazon: a raccogliere dati che possono essere potenzialmente incriminanti sono anche i servizi di telefonia mobile, i provider di servizi Internet e qualsiasi app abbia accesso ai dati sulla posizione. Di solito queste informazioni vengono raccolte a fini pubblicitari, ma possono anche essere acquistate da privati o da forze dell’ordine.

Proprio per questo motivo negli ultimi giorni molte donne americane hanno cancellato le applicazioni per il monitoraggio delle mestruazioni dai loro cellulari, che secondo le stime vengono usate da un terzo delle donne statunitensi, nel timore che i dati raccolti sul proprio ciclo mestruale, o altri dettagli legati alla salute riproduttiva, dalle applicazioni possano essere usati contro di loro in future cause penali negli Stati in cui l’aborto è diventato illegale.

Di Edoardo Martini ✍

#lucenews #lucelanazione #dirittoallaborto #dirittoallaprivacy #usa #roevwade
Una vita scandita da un prima e un dopo. L'incidente stradale seguito da 12 anni di tetraplegia. E poi una battaglia legale che si è conclusa con una svolta storica. Mario (nome di fantasia) è la prima persona in Italia che  legalmente ha potuto scegliere il suicidio medicalmente assistito. E prima di farlo ha deciso che era arrivato anche il momento di svelare al mondo la sua vera identità: non si chiamava "Mario", come abbiamo imparato a conoscerlo, ma Federico Carboni. Aveva 44 anni e viveva a Senigallia, in provincia di Ancona. "Vi auguro buona fortuna, vi voglio bene", ha detto sul letto d'ospedale. Poi ha premuto il tasto per azionare l' "aggeggio" come lo chiamava lui, per far arrivare alle vene il farmaco mortale. E' deceduto alle 11.05 di una mattina afosa di giugno. Il 16 giugno, per la precisione, una data che rimarrà nella storia del nostro Paese, perché ha sancito un prima e un dopo senza precedenti.
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"In assenza di una legge, lo Stato italiano non si fa carico dei costi dell'assistenza al suicidio assistito e dell' erogazione del farmaco, nonostante la tecnica sia consentita dalla Corte Costituzionale con la sentenza Cappato/Dj Fabo". A denunciarlo era stata l'Associazione Coscioni che aveva attivato subito una raccolta fondi per Mario. Perché morire in Italia ha un costo che ricade sul paziente. Nel suo caso la somma era di 5mila euro.  Grazie a una "straordinaria mobilitazione", la cifra che è stata raccolta ha superato di gran lunga l'equivalente necessario per sostenere le spese della strumentazione e del farmaco. Mario non ha perso l'occasione di ringraziare chi lo ha aiutato nel suo ultimo viaggio. "Grazie a tutti - ha dichiarato - per avere coperto le spese del 'mio' aggeggio, che poi lascerò a disposizione dell'Associazione Luca Coscioni per chi ne avrà bisogno dopo di me. Continuate a sostenere questa lotta per essere liberi di scegliere".
Legge sul fine vita, una manifestazione di protesta dell'Associazione Luca Coscioni

Suicidio assistito, la legge che non c'è

La storia di "Mario" è un passo in avanti sul fronte del fine vita. Ma comunque in Italia continua a non esserci una legge che ne definisca le regole  e i confini (approvata lo scorso marzo alla Camera è rimasta incagliata in Senato).  E non c'è malgrado il richiamo della Corte Costituzionale che nel 2019 sollecitò il Parlamento ad approvarla. La Corte si stava esprimendo sul caso di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni che aveva accompagnato in Svizzera a morire Fabio Ridolfi, dj Fabo, tetraplegico dopo un incidente stradale. Tutto questo per annullare le atroci sofferenze che stava vivendo. Cappato non era punibile perché il caso di dj Fabo rispettava tutte e quattro le condizioni fondamentali che permettono la pratica: essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitali; essere affetti da una patologia irreversibile; essere affetti da una patologia fonte di sofferenze intollerabili; essere pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli. Anche per Federico Carboni valevano queste condizioni, riconosciute dalla sua Asl di riferimento (la Asur Marche) dopo quasi due anni di battaglie legali, fra cause penali, ricorsi, diffide. "Due anni di ostinazione e determinazione", come li ha definiti Cappato, in prima linea al capezzale di Federico insieme a Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale dell' Associazione Coscioni, ma anche a parenti ed amici. Inchiodato al letto e sofferente più di sempre per un’infezione che lo tormentava da settimane, "Mario" se ne è potuto andare sereno.
Ridolfi chiedeva il suicidio assistito allo Stato Italiano, ma dopo i continui ritardi ha scelto la sedazione profonda
   
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