Non per forza nomadi: tutti i pregiudizi duri a morire su Rom e Sinti

Tanti di loro tacciono sulla propria identità per evitare lo stigma. In occasione del Romanò Dives, la Giornata Internazionale dei Rom e dei Sinti che cade l’8 aprile, abbiamo parlato con il prof Luca Bravi, autore di testi fondamentali per la storia del popolo Rom e Sinti

di DOMENICO GUARINO
8 aprile 2025
Un flash mob in occasione della Giornata internazionale dei Rom e Sinti

Un flash mob in occasione della Giornata internazionale dei Rom e Sinti

L'8 aprile si celebra il Romanò Dives, la Giornata Internazionale dei Rom e dei Sinti. Quest’anno, la ricorrenza assume un valore ancora più profondo, a 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, un conflitto che ha segnato tragicamente anche la storia delle comunità rom e sinte, vittime di persecuzioni e deportazioni nei campi di sterminio. Ne abbiamo parlato con il professor Luca Bravi storico dell'università di Firenze, e autore di testi fondamentali per la storia del popolo Rom e Sinti.

Le ricorrenze da una parte hanno il pregio di permettere ed elaborare il ricordo, dall’altro il pericolo è quello di scadere in una celebrazione retorica. Cosa si deve raccontare secondo lei nella Giornata internazionale del popolo Rom per evitare questo rischio?

“L'8 aprile nasce dal fatto che nel 1971 i rappresentanti delle comunità Rom e Sinte si riunirono a Londra per individuare quali fossero gli elementi comuni che li identificassero come popolo transnazionale. Persone cioè che vivono in diversi Stati, con diverse cittadinanze, si riconoscevano in un unico Popolo. Elemento per altro di questi tempi molto interessante da proporre alla riflessione pubblica. I partecipanti a quella riunione individuarono da un lato una bandiera, quella che oggi conosciamo, e dall'alto il fatto di potersi riconoscere, in una storia comune. Che è certamente la storia delle persecuzioni e dello sterminio, durante il fascismo e il nazismo (furono almeno 600mila secondo le stime più accreditate i Rom e i Sinti trucidati nei campi di concentramento), ma anche il fatto di aver vissuto da secoli a fianco dei popoli europei e di aver contribuito alla loro storia e alla loro cultura. Quindi da una lato certamente deve essere il ricordo di qualcosa che li vede come vittime, dall'altro va valorizzato l'elemento positivo della partecipazione attiva e vitale alla costruzione dell'identità europea. Sia come persone che hanno partecipato nei rispettivi Paesi ai movimenti di liberazione dal nazifascismo, sia come popolo che ha dato alla cultura europea contributi fondamentali nel campo della musica, dell'arte, della scrittura, della letteratura. Quindi messaggio è: parlare di Rom e Sinti non come problema sociale ma come popolo che vive in maniera diffusa in Europa, da protagonista”.

Un film su rom e sinti per non dimenticare
Comunità Rom e Sinte a una commemorazione ad Auschwitz

Qual è la condizione oggi dei Rom in Italia e in Europa?

"La condizione dei Rom e dei Sinti oggi in Europa è molto diversificata. Per quanto riguarda il nostro Paese, sappiamo che le stime vanno dai 160 ai 180mila persone presenti sul nostro territorio , la gran parte cittadini italiani, la quasi totalità cittadini europei. Sono presenti sia come comunità di antico insediamento (i primi documenti che li attestano in Italia sono del 1400), oppure con comunità che sono comunque oramai 'storicizzate', in quanto presenti qui dagli anni '90 del secolo scorso, essendo fuggite dalla guerra nei Balcani. E poi gli ultimi arrivati intorno agli anni Duemila, dalla Romania soprattutto, dopo l'ingresso nella Comunità europea dei Paesi di provenienza. Quindi persone che si sono spostate per cercare condizioni di vita migliore. Cosa importante da sottolineare: soltanto il 20% di loro vive in un campo. Occorre dunque ribaltare la percezione, perché, al contrario esatto di quello che si dice e si ritiene, la stragrande maggioranza di loro vive tranquillamente in mezzo a noi; e anche la presenza nei campi Rom non è una 'scelta', ma è legata ad un'ipotetica cultura nomade che è una falsità, costruita soltanto dalla comunità maggioritaria quando li guarda con disprezzo e per tenerli a distanza. I campi nomadi sono infatti una soluzione amministrativa scelta dai Comuni e dallo Stato Italiano inciampando in questo stereotipo fasullo del Rom come persona dall'istinto nomade. Condizione quindi molto variegata. Persone che studiano, che frequentano, molti, anche le università; persone che lavorano con occupazioni di vario tipo, che vanno da quelle tradizionali fino alle 'nostre'”.

E in Europa?

"In Europa, la condizione dei Rom e dei Sinti è allo stesso modo molto diversificata: si va da luoghi in cui anche la rappresentanza diretta è forte (Spagna), ad altri in cui la discriminazione e le condizioni di marginalità e povertà sono molto pesanti, soprattutto nei Paesi dell'Europa dell'Est. Va detto poi che i Rom, anche quando sono profughi di guerra, come accaduto in Italia e in altri paesi Europei durante le guerre nei Balcani e come accade anche oggi nella guerra russo-ucraina, hanno un trattamento assai diverso e assai peggiore rispetto alle altre persone che fuggono dai conflitti, in quanto nei loro confronti esiste uno stigma pesante”.

Come mai queste cose non si conoscono?

"Da questo punto di vista bisogna sottolineare che molti Rom e Sinti non dicono della loro identità culturale per evitare di incorrere nella discriminazione se non nel vero e proprio razzismo, considerato che, in Italia l'83% (secondo stime del 2019) dei cittadini professa sentimenti di antiziganismo, quindi di odio a prescindere contro i loro. Stiamo parlando di persone, uomini, donne, bambini e bambine che per evitare problemi tacciono sull'appartenenza alla loro comunità”.

A che punto siamo con l’emergenza campi?

"Dobbiamo dire innanzitutto che, se la consideriamo un'emergenza, si tratta di un'emergenza che esiste dagli altri 70. Il problema è stato casomai allora quello di insistere in questa direzione. Di costruire cioè luoghi di emarginazione e di tenuta a distanza”.

Come è possibile superare questa situazione?

"L'elemento fondamentale di oggi è non investire nella sola idea che l'eliminazione di un campo di per sé rappresenti la garanzia dell'eliminazione della discriminazione della segregazione dei Rom. In molti casi, infatti, l'eliminazione dei campi ha prodotto sistemazioni abitative addirittura peggiori, sia pur all'interno di case. E dunque da questo punto di vista è un processo da portare avanti in rapporto con le comunità che li abitano. Non tutti i campi sono uguali, non tutti sono, come a Roma, luoghi lontani e slegati da qualsiasi servizio. Di certo i campi generano pregiudizi e quindi sono delle realtà da abbattere, ma il processo deve essere gestito attraverso la partecipazione delle comunità che li abitano e non sopra le loro teste”.

Dal punto di vista storico quali sono le responsabilità del nostro Paese nello sterminio di 600 mila Rom nei Campi di concentramento nazisti?

"Il fascismo ha avuto la responsabilità di avviare e gestire una persecuzione sistematica dei Rom e dei Sinti. Sicuramente prima all'interno del proprio territorio, e in quel caso dobbiamo tornare all'inizio degli anni Venti, del secolo scorso, quando le carovane dei Rom e dei Sinti, sotto la voce 'zingari' venivano respinte ai confini anche quando potevano dimostrare la cittadinanza italiana, semplicemente perché valeva lo stigma della pericolosità. E poi piano piano dei giri di vite fino all'organizzazione dei Campi del 42/43. I famosi "Campi del Duce": Agnone e Boiano in Molise e tutti gli altri in cui vennero rinchiusi i Rom e i Sinti considerati pericolosi a prescindere. Poi l'8 settembre produce il fatto che il sistema dei campi salta, ma la ricostruzione della RSI vedrà di nuovo Rom e Sinti arrestati e anche deportati nei campi di concentramento e sterminio nazisti, sempre con l'appoggio e la delazione dei fascisti italiani. Emblematica è la storia di Romano Held, al quale recentemente è stata dedicata una pietra d'inciampo a Trieste: arrestato portato prima in carcere poi in un campo di sterminio a seguito della delazione di un italiano e con la collaborazione di personale amministrativo fascista, esattamente come in tutte le altre deportazioni”.

Quali proposte per abbattere il muro della discriminazione e dello stigma contro i Rom che è ancora così presente nella nostra società?

"Lo stigma verso Rom e Sinti si combatte costruendo processi di avvicinamento e relazioni con le comunità. Certo è importante la conoscenza, ma parallelamente al discorso sulla memoria o sulla possibilità di narrare la storia va creato uno spazio pubblico dove, abbassato il pregiudizio, ci possa essere la relazione diretta. Oggi l'attivismo soprattutto di ragazzi giovani è molto più forte rispetto a prima, in parallelo con l'innalzamento del livello medio di istruzione. Quello che è utile fare è dunque accompagnare e sostenere questo processo ovunque sia possibile farlo, e costruire uno spazio dove la possibilità di avere presenti anche persone di Sinti e Rom permetta di frequentarli e di sentire la loro parole dirette. D'altro canto certamente bisogna muoversi insistendo con la conoscenza di aspetti che possono essere attualmente non conosciuti dalla maggioranza e quindi dare elementi che possano far de-costruire lo stereotipo che è ancora molto diffuso. Questo concetto dovrebbe ispirare anche il metodo corretto per costruire celebrazioni del'8 Aprile non retoriche: bisogna che siano realizzate con il contributo fondamentale delle comunità Rom e Sinte”.