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Giornata mondiale del suolo: i rischi della cementificazione, tra disastri e dipendenza

L'iniziativa, nata nel 2002 e celebrata ufficialmente dalle Nazioni Unite dal 2014, vuole ricordare l'importanza di questo elemento naturale per la vita di piante, animali e esseri umani

di DOMENICO GUARINO -
5 dicembre 2022
La giornata mondiale del suolo il 5 dicembre

La giornata mondiale del suolo il 5 dicembre

Due metri quadri al secondo, 19 ettari al giorno. Sono i numeri del consumo di suolo in Italia nel 2021, calcolato da Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in occasione della Giornata mondiale dedicata a questo elemento, che si celebra 5 dicembre. In pratica ad oggi, in Italia, sono cementificati 21.500 chilometri quadrati di suolo, e solo gli edifici occupano 5.400 chilometri quadrati, una superficie pari alla Liguria. Si tratta di una tendenza che prosegue negli anni e non dà segni di cedimento. Basti pensare che lo scorso anno il 7% del territorio ancora "vergine" è stato cementificato, con punte che hanno superato il 10% (rispettivamente 12,12%, 11,90% e 10,49%) in Lombardia, Veneto e Campania, le tre regioni italiane che hanno perso più suolo. Sempre il rapporto Ispra stima il costo annuale medio per ciascun ettaro di terreno libero che viene impermeabilizzato, in un importo che oscilla tra gli 89mila e i 109mila euro.

La giornata mondiale del suolo ricorre ogni anno il 5 dicembre. In un anno si perdono milioni di ettari per la cementificazione

I rischi della cementificazione

Consumare suolo non è solo una questione paesaggistica o di impoverimento della biodiversità, ma ha ricadute ambientali pensati, soprattutto per quel che riguarda la sicurezza idrogeologica del nostro Paese, già provato dai disastri degli ultimi anni: dal 2000 al 2019 per questo motivo sono morte 438 persone. Secondo la denuncia del Wwf, il suolo perso in Italia dal 2012 ad oggi avrebbe garantito l'infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che, restando sulle superfici impermeabilizzate da asfalto e cemento, sono andati invece ad aggravare la pericolosità idraulica dei nostri territori. In sostanza oltre il 16% del territorio si trova in aree ad elevato rischio idrogeologico e sono 6 milioni le persone interessate, che vivono cioè in aree di potenziale rischio. Questo senza contare l’effetto negativo sulle falde.

I rischi di un'eccessiva cementificazione non sono solo paesaggistici o di perdita di biodiversità, ma sono alla base anche dei disastri idrogeologici che hanno causato oltre 400 morti in circa 20 anni

E quello sulla produzione del cibo: secondo i dati diffusi da Coldiretti, negli ultimi dieci anni, l’Italia avrebbe infatti perso 400 milioni di chili di prodotti agricoli per l’alimentazione dell’uomo e degli animali a causa dell’abbandono e della cementificazione di terreni fertili, aumentando il deficit produttivo del Paese e la dipendenza dall’estero. In questo stesso periodo, infatti, la superficie agricola utilizzabile si è ridotta ad appena 12,5 milioni di ettari. Il risultato è che oggi l'Italia è costretta ad acquistare all’estero i 3/4 (73%) della soia, il 64% della carne di pecora, il 62% del grano tenero, il 53% della carne bovina, il 46% del mais, il 38% della carne di maiale e i salumi, il 36% dell’orzo, il 35% del grano duro per la pasta e il 34% dei semi di girasole, mentre per latte e formaggi ci si ferma al 16%, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga.

Il Wwf ha avanzato una proposta di legge al governo e al Parlamento per bloccare nuove costruzioni

"Per non ripetere altri drammi come quello di Ischia, l'ultima cosa che dobbiamo fare è continuare a costruire. Invece i dati ufficiali ci dicono che "nel 2021 abbiamo raggiunto il picco di cementificazione del territorio degli ultimi 10 anni", afferma Luciano Di Tizio, Presidente del Wwf Italia. Per cominciare ad invertire la tendenza servirebbe soprattutto una legge sul consumo del suolo, di cui si discute inutilmente dal 2012. L'organizzazione ambientalista ha avanzato la richiesta a Parlamento e governo di approvare una norma che impedisca nuove costruzioni in aree rimaste libere, stimolando il recupero di quelle già occupate e degradate. Nelle sole aree urbane queste rappresentano oltre 310 km quadrati di edifici non più utilizzati: una superficie pari all'estensione di Milano e Napoli.