
Da sinistra: Anita Paolicchi, Carolina Paolicchi e Francesca Mannocci
Nell’area semitica, Astarte era la dea del cielo notturno, una delle incarnazioni della Grande Madre venerata dai fenici e dai cananei. Il suo culto, sotto lo stesso cielo che gli antichi scrutavano con devozione, ha attraversato le acque del Mediterraneo, assumendo vari nomi, mescolandosi e talvolta sovrapponendosi ad altre divinità femminili. Fino a raggiungere anche la Sicilia. Migliaia di anni dopo, una piccola casa editrice pisana, tutta al femminile, sceglie proprio il suo nome: Astarte. In occasione della Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, Anita Paolicchi racconta la storia di un progetto nato per raccontare il mondo mediterraneo, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue forme.
Come nasce Astarte?
“Astarte è una casa editrice nata nel 2019. Insieme a mia sorella Carolina e ad un’amica, Francesca Mannocci sentivamo l’urgenza di creare uno spazio di dialogo in un mondo che ci sembrava sempre più frammentato, attraversato da muri reali o immaginari. Per questo abbiamo scelto come fulcro il Mediterraneo: un mare che unisce tre continenti e che storicamente è stato attraversato da identità molteplici. Con Astarte volevamo offrire un progetto che, con tanti “tassellini”, superasse i confini nazionali per raccontare un’identità mediterranea che tutti e tutte noi possiamo riscoprire e in cui possiamo identificarci. Abbiamo cominciato con la collana Azzurra, traducendo opere di autori e autrici provenienti da paesi che si affacciano sul Mediterraneo, capaci di raccontare – direttamente o indirettamente – le società in cui vivono e la loro storia. Il nostro obiettivo era far sì che anche chi era poco familiare con il Medio Oriente o il Nord Africa potesse riconoscersi, in qualche modo, nelle storie narrate. Abbiamo visto che funzionava. Abbiamo quindi proseguito ampliando il nostro lavoro, includendo anche la saggistica. Una delle collane più rappresentative del nostro progetto si chiama Hurriya, che in arabo significa “libertà”, e si concentra sul tema delle migrazioni, cercando di sfuggire alla narrazione stereotipata e pietistica degli sbarchi – quella a cui siamo costantemente esposti – ma raccontare le ragioni profonde, le vite e le identità che attraversano il mare. Un’altra collana che riflette molto i nostri valori è Manifesta, dedicata alle questioni di genere nel Mediterraneo, che fra i suoi obiettivi ha anche quello di decostruire l’idea di un mondo arabo monolitico. Con i nostri testi di narrativa, poesia e saggistica vogliamo mostrare la complessità e la varietà di istanze, di voci e di lotte che convivono anche all’interno dello stesso spazio geografico. Cerchiamo, in sostanza, di restituire un racconto del Mediterraneo a 360 gradi”.
Com'è nata l’idea?
“Tutte e tre proveniamo da percorsi universitari umanistici: io e Francesca da storia dell’arte, Carolina da linguistica e traduzione. Avevamo il desiderio di dare forma concreta alle competenze teoriche che avevamo maturato negli anni di studio. Eravamo già entrate in contatto, in modi diversi, con il mondo editoriale, e abbiamo visto nel libro il mezzo ideale per dare vita a un progetto che per noi ha da subito avuto un forte valore etico, oltre che professionale. Un vero e proprio progetto di vita”.
Quali traguardi avete raggiunto in questi anni? E quali difficoltà avete affrontato?
“Oltre all’attività editoriale, portiamo avanti un progetto di formazione per giovani traduttori, con un’attenzione particolare alle lingue del Mediterraneo. Organizziamo corsi e laboratori di traduzione collettiva da inglese, francese, arabo, e cerchiamo anche di fornire strumenti concreti per affrontare l’ingresso nel mondo del lavoro editoriale, che spesso è poco accessibile e poco chiaro. Il periodo del Covid, che è coinciso con il nostro primo anno di vita, è stato molto difficile: con le presentazioni annullate e le fiere sospese non aveva senso stampare. Di fatto non abbiamo potuto lavorare e il nostro vero inizio si è spostato di un anno. Le prime soddisfazioni sono state per esempio, l’invito a partecipare a fiere del libro in Algeria e in Marocco. Per noi è stato un riconoscimento importante: lì abbiamo sentito che il nostro progetto era apprezzato non solo a livello locale, ma che poteva contribuire al panorama culturale internazionale”.
E sul fronte del mercato editoriale?
“Il mercato editoriale in Italia è dominato da grandi gruppi editoriali che fanno il bello e il brutto tempo, anche nella distribuzione. Poi, in Italia si legge sempre meno. La sfida, quindi, è riuscire a creare iniziative che avvicinino il pubblico al libro e al progetto, facendo nascere interesse e curiosità. Ci ha reso felici vedere come i nostri lettori e lettrici si appassionino al progetto di Astarte: spesso li ritroviamo e li incontriamo di nuovo, questo per noi è un importante segno di riconoscimento e un incentivo a proseguire nel nostro lavoro. Per sopravvivere in questo contesto, abbiamo inoltre scelto una strada opposta alla logica della competizione, preferendo la collaborazione con altre realtà indipendenti, contribuendo alla creazione di una rete che si impegna nella difesa della pluralità e nella costruzione di spazi alternativi. In questo senso, una delle esperienze più significative è il progetto “R-esistenze”, nato lo scorso anno insieme ad altre otto case editrici indipendenti italiane a prevalente conduzione femminile. L’idea è quella di costruire un festival diffuso, non focalizzato solo sui singoli libri della singola casa editrice, ma sui temi e sul lavoro collettivo dei vari progetti. Ogni sei mesi scegliamo un tema comune: il primo è stato “Identità”, l’attuale è “Margini”. Ogni casa editrice contribuisce con un titolo e collaboriamo organizzare iniziative editoriali di vario tipo – fra cui presentazioni congiunte, passeggiate letterarie, bibliomanzie – aiutandoci a vicenda con la promozione. Pensiamo che si possa fare: andiamo contro la logica che ti vuole vincente sull’avversario, crediamo che ripartire dalle alleanze possa essere un modo per andare avanti”.
Avete trovato ostacoli nel trattare determinate tematiche?
“In realtà no. Al contrario, spesso siamo rimaste sorprese dall’entusiasmo con cui alcuni titoli sono stati accolti. Un esempio è il nuovo libro di Marta Tarantino, “Uomini nuovi. Ripensare le mascolinità nel mondo arabo”. Pensavamo che sarebbe stato apprezzato soprattutto da una nicchia già sensibile e informata, ma ha avuto fin da subito una risonanza molto più ampia del previsto, rispecchiando il valore di questo libro e confermandoci che si sente il bisogno di prospettive nuove. “Uomini nuovi” racconta infatti un’attualità viva, in cui sono in corso trasformazioni sociali, di esperienze che vanno oltre gli stereotipi, di giovani, di comunità queer ma non solo, e del desiderio diffuso di cambiamento. Vedere che c’è interesse e partecipazione quando affrontiamo temi così, ci dà la spinta per continuare”.