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Home » Attualità » Giornata mondiale della prematurità: la storia della piccola Frida e la forza di mamma Veronica

Giornata mondiale della prematurità: la storia della piccola Frida e la forza di mamma Veronica

La bambina, che tra un mese compirà 4 anni, alla nascita pesava appena 1 chilo e mezzo. "Ero terrorizzata dall'idea della morte e dell'impotenza nel proteggere mia figlia"

Caterina Ceccuti
17 Novembre 2022
Mamma Veronica e Frida

Mamma Veronica e Frida

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Frida compirà quattro anni il prossimo 21 dicembre. Ha riccioli color ambra, due occhi grandi e dolci come quelli di un cerbiatto e adora giocare con le amiche. Tra le braccia stringe sempre il suo peluche della gattina Minù. Guardandola sorridere nessuno potrebbe sospettare che questa bambina tenera e coraggiosa ne abbia già passate tante. Quando Veronica, la sua mamma, l’accompagna all’asilo, prima di salutarla la riempie di baci e non le lascia le manine senza aver ricevuto un abbraccio stretto e lungo. Lo stesso che, per settimane, Frida ha sentito quando era neonata e si trovava nella Terapia intensiva dell’Ospedale di Careggi, a Firenze. Sì, perché quando è venuta al mondo Frida pesava appena 1 kg e mezzo. Allora Veronica – 38 anni originaria di Cremona ma residente nel capoluogo toscano da 19 anni – la teneva abbracciata per ore, pelle a pelle, di modo che la piccola potesse sentire il calore della mamma e trovare la forza di combattere per rimanere in vita, nonostante le complicazioni della prematurità.

Veronica con il braccio la piccola Frida, che il 21 dicembre compirà 4 anni

Oggi, in occasione della Giornata Mondiale dedicata ai bambini prematuri come Frida, mamma Veronica a Luce! ha raccontato la sua esperienza: “Per quanto riguarda l’assistenza medica a mia figlia, non posso assolutamente lamentarmi. La Terapia intensiva di Careggi è efficientissima. Il problema riguarda l’aspetto umano, l’attenzione e la cura che devono essere rivolti anche ai genitori, in una fase drammatica e traumatica come la nascita prematura di una figlio che rischia ogni giorno la vita e che potrebbe andare incontro a numerose problematiche. Un genitore non è pronto ad affrontare un calvario simile, soprattutto una madre che ha vissuto un parto di urgenza e che si ritrova scaraventata in un mondo fatto di paura, preoccupazione, senso di impotenza mentre vede il proprio bambino lottare per la vita…un bambino così piccolo da non sembrare vero”.

Veronica, se la sente di raccontarci cosa è successo quando è nata la sua bambina?
“Non avevamo avuto avvisaglie di alcuna anomalia, fino ai controlli di routine che facemmo alla 33° settimana. In quell’occasione emerse che Frida non stava crescendo bene già da qualche settimana, a causa del mal funzionamento non diagnosticato delle arterie uterine. La bambina non stava ricevendo il nutrimento adeguato. Benché mi avessero dato appuntamento dopo qualche settimana per un ulteriore controllo, non mi sono fidata e ho voluto approfondire recandomi al reparto della Maternità a rischio di Careggi e richiedendo una visita di urgenza. Il dottor Mecacci mi ha visitato e ricoverato subito: per tre giorni ho dovuto assumere cortisone in modo da agevolare la maturità polmonare di Frida, poi sono stata sottoposta ad un cesareo di urgenza. Mia figlia è nata il 21 dicembre 2018, invece che a fine gennaio 2019. Solitamente sei settimane di anticipo non sono così drammatiche, ma il problema è che, come dicevo prima, Frida era molto sottopeso rispetto ai bambini della sua epoca gestazionale perché mal nutrita, tanto che alla nascita pesava appena 1,5 Kg”.

Giornata mondiale prematurità
Frida in terapia intensiva: alla nascita, prematura, pesava appena un chilo e mezzo

Come si sentiva lei in quel momento?
“Ero molto spaventata. Il neonatologo venne a parlarmi per prospettarmi tutte le possibili complicanze della prematurità ed io mi sentivo prigioniera di una specie di bolla in cui non sapevo come muovermi, né cosa sarebbe successo. Soprattutto, non sapevo se mia figlia sarebbe sopravvissuta alla terapia intensiva. Come se non bastasse, poiché ci trovavamo sotto Natale, riuscii a vedere per la prima volta la mia bambina solo dodici ore dopo la nascita. È stata durissima. Quando finalmente ho potuto farle visita, sono immediatamente stata scaraventata nel tunnel della Tin, un protocollo operativo rigidissimo che può capire solo chi lo ha provato sulla propria pelle: dal processo di vestizioni a quello di igienizzazione, ingresso alle 7 del mattino uscita a mezzanotte. Entri in questo hangar spaziale dove tutto funziona alla perfezione, ma nello stesso tempo ti senti un essere inerme imbrigliato in regole più grandi di te. È stato un trauma terribile anche incontrare Frida per la prima volta, perché non avevo mai visto una bambina così piccola. L’unica cosa davvero viva di lei erano i grandi occhi scuri, che già lasciavano intendere di appartenere ad un’anima guerriera fin dal suo primo giorno”.

Avete avuto modo di mettere in pratica la Canguro terapia?
“Sì. Io o mio marito stavamo a turno con Frida, nudi con solo il camice addosso, tenendola in braccio per ore a contatto di pelle. Per colpa del dolore dovuto ai punti di sutura del cesareo, inizialmente non riuscivo a restare a lungo con lei, allora al mio posto andava Andrea, il papà di Frida. A lui devo tantissimo, perché da parte del personale dell’ospedale non abbiamo avuto il minimo supporto. Non poppando ancora, la piccola non stimolava il seno per cui ho dovuto iniziare l’allattamento utilizzando continuamente il tiralatte. Non è stato facile perché nessuna ostetrica è venuta in mio aiuto per spiegarmi cosa dovevo fare. Siamo stati io e lui, con forza d’animo e determinazione, a capire come usare il tiralatte e ad insistere fino ad ottenere la montata lattea e avviare così l’allattamento metodico, necessario a fornire ogni 3 ore il mio latte alla bambina. Posso garantire che un percorso simile, se affrontato nel totale abbandono come è capitato a noi, è estenuante per una mamma. Non hai più una vita, pensi solo a tirarti il latte, disinfettarti e tornare di corsa dalla bambina, con uno stop di appena un’ora tra la fine di un ciclo e l’avvio di un altro. Senza contare che intanto devi anche comprendere come gestire tua figlia, come lavarla, come rapportarti alle sonde che la tengono in vita ecc. Ogni giorno devi controllare che sia cresciuta di qualche grammo, che sia migliorata nella capacità di respirare e, soprattutto, ogni giorno corri da lei con il terrore che possa essere morta. Dalle 7 a mezzanotte, settimane intere. Il personale della Tin è molto bravo, ma estremamente rigido perché deve seguire protocolli precisi che tu fai fatica a capire. Poi, piano piano mi sono abituata e ho preso il ritmo, ma ero sfinita, un’esperienza del genere ti toglie l’anima e spesso crollavo a piangere nelle poche ore in cui potevo sdraiarmi a letto e tentare di riposare”.

Giornata mondiale prematurità
Mamma Veronica è sempre stata al fianco della sua bimba nel periodo della terapia intensiva neonatale

Quando siete stati mandati a casa?
“Piano piano la bimba ha cominciato a crescere, ma per varie ragioni siamo stati mandati a casa quando Frida pesava meno di 2 kg, perciò ogni due giorni dovevamo tornare in ospedale per i controlli. Dopo neanche una settimana dalle dimissioni, la piccola ha contratto la bronchiolite, un’infezione molto pericolosa che le è costata un nuovo ricovero nella Terapia Intensiva, stavolta dell’ospedale pediatrico Meyer. Qui, devo dire, non mi sono trovata altrettanto bene. La bimba non ha ricevuto le stesse cure, e noi genitori non abbiamo avuto alcun supporto a parte quello del prete. Ci tengo a sottolineare che una mamma e un papà, in questo genere di percorsi assistenziali, sono lasciati molto soli e questo a mio avviso è molto grave, perché una persona non è pronta a vivere esperienze simili, emozioni così devastanti. Personalmente mi sono sentita annientata, non solo come mamma ma anche come donna”.

Cosa ne pensa della proposta della SIN di permettere ai genitori dei prematuri di restare con loro h24 durante le settimane in Terapia Intensiva?
“Potrebbe essere una possibilità positiva sia per i bambini che per i genitori, ma solo se la struttura ospedaliera venga adeguata. Una mamma deve potersi riposare qualche ora, invece le poltrone delle Tin sono scomodissime e non esistono letti dove potersi sdraiare. Non tanto per dormire, perché
alla fine non si dorme comunque in quanto si deve continuamente tirarsi il latte ecc, ma è necessario distendersi un poco. Inoltre, per quanto riguarda l’assistenza alla mamma è tutto da rifare: nella mia esperienza personale nessuno è venuto a parlarmi per chiedermi se avessi bisogno di aiuto, né per spiegarmi come tirare il latte e conservarlo. Nessuno è venuto a parlarmi per tracciare un profilo psicologico di una mamma che si trovava comunque in serie difficoltà anche emotive, e che avrebbe dunque potuto avere bisogno di un sostegno psicologico. Ce l’ho fatta lo stesso, ma con le mie sole forze ed è stato devastante. Avevo gli ormoni sotto sopra, come tutte le neo mamme, mi sentivo fragilissima e non ho mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita. Ero terrorizzata dall’idea della morte e dell’impotenza nel proteggere mia figlia. In Tin non ci sono parole amiche, ti chiamano ‘mamma‘ e ti danno delle istruzioni. ‘Mamma fai questo, mamma via lì’, ecc. E non hai un supporto neanche quando torni a casa e ti trovi a dover accudire un bambino che comunque non è come tutti i neonati normali, perché è fragile e ha subito molti traumi. Per esempio, a causa della prematurità Frida ha avuto uno sviluppo tardivo della valvola gastrica e ha sofferto di un brutto reflusso che le impediva di stare sdraiata. Per mesi ho dormito con lei su una poltrona, tenendola in posizione eretta. Anche in questo caso nessuno mi ha aiutato. Durante uno dei controlli di routine al Meyer, l’ecografia alla testa ha mostrato che Frida aveva avuto anche un’ischemia cerebrale, non si sa se per colpa della prematurità. Qualsiasi sia il problema, comunque, vai a casa da sola e da sola te la devi cavare. Invece c’è una componente emotiva che va curata, così come c’è un’assistenza pratica che va assolutamente impostata”.

 

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Frida compirà quattro anni il prossimo 21 dicembre. Ha riccioli color ambra, due occhi grandi e dolci come quelli di un cerbiatto e adora giocare con le amiche. Tra le braccia stringe sempre il suo peluche della gattina Minù. Guardandola sorridere nessuno potrebbe sospettare che questa bambina tenera e coraggiosa ne abbia già passate tante. Quando Veronica, la sua mamma, l'accompagna all'asilo, prima di salutarla la riempie di baci e non le lascia le manine senza aver ricevuto un abbraccio stretto e lungo. Lo stesso che, per settimane, Frida ha sentito quando era neonata e si trovava nella Terapia intensiva dell'Ospedale di Careggi, a Firenze. Sì, perché quando è venuta al mondo Frida pesava appena 1 kg e mezzo. Allora Veronica - 38 anni originaria di Cremona ma residente nel capoluogo toscano da 19 anni - la teneva abbracciata per ore, pelle a pelle, di modo che la piccola potesse sentire il calore della mamma e trovare la forza di combattere per rimanere in vita, nonostante le complicazioni della prematurità.
Veronica con il braccio la piccola Frida, che il 21 dicembre compirà 4 anni
Oggi, in occasione della Giornata Mondiale dedicata ai bambini prematuri come Frida, mamma Veronica a Luce! ha raccontato la sua esperienza: "Per quanto riguarda l'assistenza medica a mia figlia, non posso assolutamente lamentarmi. La Terapia intensiva di Careggi è efficientissima. Il problema riguarda l'aspetto umano, l'attenzione e la cura che devono essere rivolti anche ai genitori, in una fase drammatica e traumatica come la nascita prematura di una figlio che rischia ogni giorno la vita e che potrebbe andare incontro a numerose problematiche. Un genitore non è pronto ad affrontare un calvario simile, soprattutto una madre che ha vissuto un parto di urgenza e che si ritrova scaraventata in un mondo fatto di paura, preoccupazione, senso di impotenza mentre vede il proprio bambino lottare per la vita...un bambino così piccolo da non sembrare vero". Veronica, se la sente di raccontarci cosa è successo quando è nata la sua bambina? "Non avevamo avuto avvisaglie di alcuna anomalia, fino ai controlli di routine che facemmo alla 33° settimana. In quell'occasione emerse che Frida non stava crescendo bene già da qualche settimana, a causa del mal funzionamento non diagnosticato delle arterie uterine. La bambina non stava ricevendo il nutrimento adeguato. Benché mi avessero dato appuntamento dopo qualche settimana per un ulteriore controllo, non mi sono fidata e ho voluto approfondire recandomi al reparto della Maternità a rischio di Careggi e richiedendo una visita di urgenza. Il dottor Mecacci mi ha visitato e ricoverato subito: per tre giorni ho dovuto assumere cortisone in modo da agevolare la maturità polmonare di Frida, poi sono stata sottoposta ad un cesareo di urgenza. Mia figlia è nata il 21 dicembre 2018, invece che a fine gennaio 2019. Solitamente sei settimane di anticipo non sono così drammatiche, ma il problema è che, come dicevo prima, Frida era molto sottopeso rispetto ai bambini della sua epoca gestazionale perché mal nutrita, tanto che alla nascita pesava appena 1,5 Kg".
Giornata mondiale prematurità
Frida in terapia intensiva: alla nascita, prematura, pesava appena un chilo e mezzo
Come si sentiva lei in quel momento? "Ero molto spaventata. Il neonatologo venne a parlarmi per prospettarmi tutte le possibili complicanze della prematurità ed io mi sentivo prigioniera di una specie di bolla in cui non sapevo come muovermi, né cosa sarebbe successo. Soprattutto, non sapevo se mia figlia sarebbe sopravvissuta alla terapia intensiva. Come se non bastasse, poiché ci trovavamo sotto Natale, riuscii a vedere per la prima volta la mia bambina solo dodici ore dopo la nascita. È stata durissima. Quando finalmente ho potuto farle visita, sono immediatamente stata scaraventata nel tunnel della Tin, un protocollo operativo rigidissimo che può capire solo chi lo ha provato sulla propria pelle: dal processo di vestizioni a quello di igienizzazione, ingresso alle 7 del mattino uscita a mezzanotte. Entri in questo hangar spaziale dove tutto funziona alla perfezione, ma nello stesso tempo ti senti un essere inerme imbrigliato in regole più grandi di te. È stato un trauma terribile anche incontrare Frida per la prima volta, perché non avevo mai visto una bambina così piccola. L'unica cosa davvero viva di lei erano i grandi occhi scuri, che già lasciavano intendere di appartenere ad un'anima guerriera fin dal suo primo giorno". Avete avuto modo di mettere in pratica la Canguro terapia? "Sì. Io o mio marito stavamo a turno con Frida, nudi con solo il camice addosso, tenendola in braccio per ore a contatto di pelle. Per colpa del dolore dovuto ai punti di sutura del cesareo, inizialmente non riuscivo a restare a lungo con lei, allora al mio posto andava Andrea, il papà di Frida. A lui devo tantissimo, perché da parte del personale dell'ospedale non abbiamo avuto il minimo supporto. Non poppando ancora, la piccola non stimolava il seno per cui ho dovuto iniziare l'allattamento utilizzando continuamente il tiralatte. Non è stato facile perché nessuna ostetrica è venuta in mio aiuto per spiegarmi cosa dovevo fare. Siamo stati io e lui, con forza d'animo e determinazione, a capire come usare il tiralatte e ad insistere fino ad ottenere la montata lattea e avviare così l'allattamento metodico, necessario a fornire ogni 3 ore il mio latte alla bambina. Posso garantire che un percorso simile, se affrontato nel totale abbandono come è capitato a noi, è estenuante per una mamma. Non hai più una vita, pensi solo a tirarti il latte, disinfettarti e tornare di corsa dalla bambina, con uno stop di appena un'ora tra la fine di un ciclo e l'avvio di un altro. Senza contare che intanto devi anche comprendere come gestire tua figlia, come lavarla, come rapportarti alle sonde che la tengono in vita ecc. Ogni giorno devi controllare che sia cresciuta di qualche grammo, che sia migliorata nella capacità di respirare e, soprattutto, ogni giorno corri da lei con il terrore che possa essere morta. Dalle 7 a mezzanotte, settimane intere. Il personale della Tin è molto bravo, ma estremamente rigido perché deve seguire protocolli precisi che tu fai fatica a capire. Poi, piano piano mi sono abituata e ho preso il ritmo, ma ero sfinita, un'esperienza del genere ti toglie l'anima e spesso crollavo a piangere nelle poche ore in cui potevo sdraiarmi a letto e tentare di riposare".
Giornata mondiale prematurità
Mamma Veronica è sempre stata al fianco della sua bimba nel periodo della terapia intensiva neonatale
Quando siete stati mandati a casa? "Piano piano la bimba ha cominciato a crescere, ma per varie ragioni siamo stati mandati a casa quando Frida pesava meno di 2 kg, perciò ogni due giorni dovevamo tornare in ospedale per i controlli. Dopo neanche una settimana dalle dimissioni, la piccola ha contratto la bronchiolite, un'infezione molto pericolosa che le è costata un nuovo ricovero nella Terapia Intensiva, stavolta dell'ospedale pediatrico Meyer. Qui, devo dire, non mi sono trovata altrettanto bene. La bimba non ha ricevuto le stesse cure, e noi genitori non abbiamo avuto alcun supporto a parte quello del prete. Ci tengo a sottolineare che una mamma e un papà, in questo genere di percorsi assistenziali, sono lasciati molto soli e questo a mio avviso è molto grave, perché una persona non è pronta a vivere esperienze simili, emozioni così devastanti. Personalmente mi sono sentita annientata, non solo come mamma ma anche come donna". Cosa ne pensa della proposta della SIN di permettere ai genitori dei prematuri di restare con loro h24 durante le settimane in Terapia Intensiva? "Potrebbe essere una possibilità positiva sia per i bambini che per i genitori, ma solo se la struttura ospedaliera venga adeguata. Una mamma deve potersi riposare qualche ora, invece le poltrone delle Tin sono scomodissime e non esistono letti dove potersi sdraiare. Non tanto per dormire, perché alla fine non si dorme comunque in quanto si deve continuamente tirarsi il latte ecc, ma è necessario distendersi un poco. Inoltre, per quanto riguarda l'assistenza alla mamma è tutto da rifare: nella mia esperienza personale nessuno è venuto a parlarmi per chiedermi se avessi bisogno di aiuto, né per spiegarmi come tirare il latte e conservarlo. Nessuno è venuto a parlarmi per tracciare un profilo psicologico di una mamma che si trovava comunque in serie difficoltà anche emotive, e che avrebbe dunque potuto avere bisogno di un sostegno psicologico. Ce l'ho fatta lo stesso, ma con le mie sole forze ed è stato devastante. Avevo gli ormoni sotto sopra, come tutte le neo mamme, mi sentivo fragilissima e non ho mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita. Ero terrorizzata dall'idea della morte e dell'impotenza nel proteggere mia figlia. In Tin non ci sono parole amiche, ti chiamano 'mamma' e ti danno delle istruzioni. 'Mamma fai questo, mamma via lì', ecc. E non hai un supporto neanche quando torni a casa e ti trovi a dover accudire un bambino che comunque non è come tutti i neonati normali, perché è fragile e ha subito molti traumi. Per esempio, a causa della prematurità Frida ha avuto uno sviluppo tardivo della valvola gastrica e ha sofferto di un brutto reflusso che le impediva di stare sdraiata. Per mesi ho dormito con lei su una poltrona, tenendola in posizione eretta. Anche in questo caso nessuno mi ha aiutato. Durante uno dei controlli di routine al Meyer, l'ecografia alla testa ha mostrato che Frida aveva avuto anche un'ischemia cerebrale, non si sa se per colpa della prematurità. Qualsiasi sia il problema, comunque, vai a casa da sola e da sola te la devi cavare. Invece c'è una componente emotiva che va curata, così come c'è un'assistenza pratica che va assolutamente impostata".  
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