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Home » Attualità » Nella Giornata mondiale sulla sindrome di Down, la testimonianza di Alessandra: “Conoscere sconfigge la paura”

Nella Giornata mondiale sulla sindrome di Down, la testimonianza di Alessandra: “Conoscere sconfigge la paura”

Con il marito Luca, alla nascita della loro figlia con sindrome di Down, la coppia di Varese ha deciso di aprire un sito web e un profilo Instagram, dove mostrare tutte le 'avventure' della loro bambina e confrontarsi con altre famiglie. Nel mondo vedono la luce ogni anno tra i 3mila e i 5mila neonati con questa condizione

Valentina Bertuccio D’Angelo
21 Marzo 2022
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Qualche settimana fa l’Oms ha incluso tra i “birth defect”, i difetti alla nascita, anche la sindrome di Down. Aggiungendo la Trisomia 21 a un elenco di problematiche che si possono “prevenire e curare con un accesso a cure di qualità per madre e neonato”. Peccato che la sindrome di Down sia una condizione genetica che non si può né prevenire né curare: non è una malattia, è così e basta. Al più si può “eliminare” con un aborto terapeutico. Sono scelte, insindacabili. Ma davanti a questa affermazione dell’Oms sono state molte le famiglie che, nel mondo, hanno rivendicato il diritto dei loro figli e delle loro figlie a non essere identificati come “birth defect”.

E saranno ancora di più quelle che oggi, lunedì 21 marzo, celebreranno la bellezza della diversità nella Giornata mondiale sulla sindrome di Down.

La Giornata mondiale sulla sindrome di Down

I genitori di Luna hanno creato il profilo Instagram e la pagina web "Occhi di riso" per condividere un'immagine positiva della vita quotidiana della figlia
I genitori di Luna hanno creato il profilo Instagram e la pagina web “Occhi di riso” per condividere un’immagine positiva della vita quotidiana della figlia

Istituita dall’Onu nel 2012, la data scelta non è casuale: il giorno 21 del terzo mese, a ricordare il nome ufficiale della sindrome, la Trisomia 21. Il tema di quest’anno è “Inclusion means” (inclusione significa) e l’obiettivo è raccontare chi sono le persone con la sindrome, cosa fanno, come vivono. Perché è inutile negarlo: sulla Trisomia 21 c’è ancora un grosso stigma. E la diagnosi, pre o post natale, piomba sui neo genitori come una condanna per la vita. Eppure in Italia ci sono circa 38mila persone con sindrome di Down, nel mondo nascono ogni anno tra i 3mila e i 5mila neonati con questa condizione.

Il “movimento” in difesa delle persone con Trisomia 21

Mentre ci sono alcuni Paesi, come l’Islanda, dove grazie alla diagnosi prenatale si mira ad azzerare il numero dei nuovi nati con sindrome, in altri Paesi si sta prendendo la strada opposta. Sta nascendo, dal basso cioè dalle famiglie, una sorta di “movimento” che rivendica l’orgoglio di essere (o avere in famiglia) una persona con Trisomia 21. Il messaggio che si vuole mandare è molto chiaro: queste persone non sono la loro sindrome. Quel cromosoma in più è solo una delle loro caratteristiche, ma – come tutti – sono individui che vogliono il proprio posto nel mondo e rivendicano il diritto di essere felici. A fare da cassa di risonanza sono i social, soprattutto Instagram e Tik Tok, soprattutto negli Stati Uniti e nel Sudamerica.

La storia di Luna e di “Occhi di riso”

Anche in Italia il vento sta cambiando. La bimba con sindrome di Down più famosa dei social è Alba Trapanese (425mila follower su Instagram), figlia di Luca, 44enne single che l’ha adottata appena nata.

Meno famosa ma non meno stupenda è Luna, quasi due anni, la protagonista del profilo Instagram “Occhi di riso” insieme a mamma Alessandra Baruffato, medico nutrizionista di 37 anni, e Luca Renault, 35, ingegnere, della provincia di Varese. La loro è una storia di presa di consapevolezza, di orgoglio e amore incondizionati.

Luca Trapanese e la piccola Alba

La diagnosi di sindrome di Down è arrivata al parto. “Ho cominciato a piangere e ho pianto tre giorni – racconta Alessandra – senza che nessuno mi dicesse nulla. Avevo tante domande ma nessuno disposto a darmi risposte”. Per i neo genitori non c’è stato nessun tipo di assistenza pratica né aiuto psicologico, “siamo stati lasciati soli e non è solo colpa del Covid”. Mentre era ancora in ospedale Alessandra ha cominciato a cercare testimonianze su internet: “Ho trovato diversi articoli che raccontavano le storie di mamme e papà di figli con la sindrome. Ed erano storie di felicità. Quelle parole mi hanno dato tanta pace e ho deciso di smettere di tormentarmi sul futuro di Luna”. E partito da lì un percorso che ha spinto i due ad aprire un profilo social per dare a loro volta un messaggio di speranza a chi si fosse trovato nella stessa situazione: essere felici con la sindrome di Down è possibile.

“Una cosa che abbiamo imparato grazie a nostra figlia è che conoscere sconfigge la paura”, sottolinea

Alessandra, Luca e la loro piccola Luna
Alessandra, Luca e la loro piccola Luna

“Vogliamo far capire che l’ambiente in cui crescono questi bimbi fa tantissimo e può cambiare davvero il loro destino – sorride Alessandra – . Speriamo anche che il mondo smetta di guardarla e trattarla come una disabile, vogliamo far capire che non bisogna aver paura della diversità. Alla fine, chi può dire cos’è normale?”.

Alessandra e Luca, che tiene sulle spalle la loro piccola Luna
Alessandra e Luca, che tiene sulle spalle la loro piccola Luna

Sulla Giornata di oggi Alessandra è netta: “Non mi piacciono le giornate ad hoc, se poi non si fa niente durante il resto dell’anno. Si parla di inclusione ma l’inclusione non c’è, non è una priorità a nessun livello. C’è molto menefreghismo nei confronti di chi ha una disabilità, le famiglie non chiedono molto, solo i diritti di base”.

“In tanti mi dicono grazie”

“Occhi di riso” mostra le avventure di Luna e della sua famiglia: in gita, in cucina, con i giochi, con i gatti o con altri bimbi. “Non voglio creare contenuti solo per bambini con la sindrome”. E sono sempre di più le persone che le dicono grazie: ci sono le mamme in attesa che hanno appena avuto una diagnosi di sindrome di Down e che placano la loro angoscia, “ma siamo d’aiuto anche a chi non ha disabilità in casa, ci dicono che trasmettiamo tanto amore, che è quello di cui ora abbiamo tutti bisogno”.
Purtroppo ci sono anche gli hater: sembra incredibile, ma qualcuno ha il coraggio di mandare messaggi con frasi tremende. “Mi scrivono che sono stata egoista perché ho messo al mondo una bambina che sarà un peso per la società e che non sarà mai felice”. Eppure basta guardare i post di “Occhi di riso” per scoprire una cosa in fondo molto normale: una famiglia felice.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Qualche settimana fa l’Oms ha incluso tra i “birth defect”, i difetti alla nascita, anche la sindrome di Down. Aggiungendo la Trisomia 21 a un elenco di problematiche che si possono “prevenire e curare con un accesso a cure di qualità per madre e neonato”. Peccato che la sindrome di Down sia una condizione genetica che non si può né prevenire né curare: non è una malattia, è così e basta. Al più si può “eliminare” con un aborto terapeutico. Sono scelte, insindacabili. Ma davanti a questa affermazione dell’Oms sono state molte le famiglie che, nel mondo, hanno rivendicato il diritto dei loro figli e delle loro figlie a non essere identificati come “birth defect”. E saranno ancora di più quelle che oggi, lunedì 21 marzo, celebreranno la bellezza della diversità nella Giornata mondiale sulla sindrome di Down.

La Giornata mondiale sulla sindrome di Down

I genitori di Luna hanno creato il profilo Instagram e la pagina web "Occhi di riso" per condividere un'immagine positiva della vita quotidiana della figlia
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Istituita dall’Onu nel 2012, la data scelta non è casuale: il giorno 21 del terzo mese, a ricordare il nome ufficiale della sindrome, la Trisomia 21. Il tema di quest’anno è “Inclusion means” (inclusione significa) e l’obiettivo è raccontare chi sono le persone con la sindrome, cosa fanno, come vivono. Perché è inutile negarlo: sulla Trisomia 21 c’è ancora un grosso stigma. E la diagnosi, pre o post natale, piomba sui neo genitori come una condanna per la vita. Eppure in Italia ci sono circa 38mila persone con sindrome di Down, nel mondo nascono ogni anno tra i 3mila e i 5mila neonati con questa condizione.

Il “movimento” in difesa delle persone con Trisomia 21

Mentre ci sono alcuni Paesi, come l’Islanda, dove grazie alla diagnosi prenatale si mira ad azzerare il numero dei nuovi nati con sindrome, in altri Paesi si sta prendendo la strada opposta. Sta nascendo, dal basso cioè dalle famiglie, una sorta di “movimento” che rivendica l’orgoglio di essere (o avere in famiglia) una persona con Trisomia 21. Il messaggio che si vuole mandare è molto chiaro: queste persone non sono la loro sindrome. Quel cromosoma in più è solo una delle loro caratteristiche, ma - come tutti - sono individui che vogliono il proprio posto nel mondo e rivendicano il diritto di essere felici. A fare da cassa di risonanza sono i social, soprattutto Instagram e Tik Tok, soprattutto negli Stati Uniti e nel Sudamerica.

La storia di Luna e di “Occhi di riso”

Anche in Italia il vento sta cambiando. La bimba con sindrome di Down più famosa dei social è Alba Trapanese (425mila follower su Instagram), figlia di Luca, 44enne single che l’ha adottata appena nata. Meno famosa ma non meno stupenda è Luna, quasi due anni, la protagonista del profilo Instagram “Occhi di riso” insieme a mamma Alessandra Baruffato, medico nutrizionista di 37 anni, e Luca Renault, 35, ingegnere, della provincia di Varese. La loro è una storia di presa di consapevolezza, di orgoglio e amore incondizionati.
Luca Trapanese e la piccola Alba
La diagnosi di sindrome di Down è arrivata al parto. “Ho cominciato a piangere e ho pianto tre giorni - racconta Alessandra - senza che nessuno mi dicesse nulla. Avevo tante domande ma nessuno disposto a darmi risposte”. Per i neo genitori non c’è stato nessun tipo di assistenza pratica né aiuto psicologico, “siamo stati lasciati soli e non è solo colpa del Covid”. Mentre era ancora in ospedale Alessandra ha cominciato a cercare testimonianze su internet: “Ho trovato diversi articoli che raccontavano le storie di mamme e papà di figli con la sindrome. Ed erano storie di felicità. Quelle parole mi hanno dato tanta pace e ho deciso di smettere di tormentarmi sul futuro di Luna”. E partito da lì un percorso che ha spinto i due ad aprire un profilo social per dare a loro volta un messaggio di speranza a chi si fosse trovato nella stessa situazione: essere felici con la sindrome di Down è possibile. “Una cosa che abbiamo imparato grazie a nostra figlia è che conoscere sconfigge la paura", sottolinea
Alessandra, Luca e la loro piccola Luna
Alessandra, Luca e la loro piccola Luna
"Vogliamo far capire che l’ambiente in cui crescono questi bimbi fa tantissimo e può cambiare davvero il loro destino - sorride Alessandra - . Speriamo anche che il mondo smetta di guardarla e trattarla come una disabile, vogliamo far capire che non bisogna aver paura della diversità. Alla fine, chi può dire cos’è normale?”.
Alessandra e Luca, che tiene sulle spalle la loro piccola Luna
Alessandra e Luca, che tiene sulle spalle la loro piccola Luna
Sulla Giornata di oggi Alessandra è netta: “Non mi piacciono le giornate ad hoc, se poi non si fa niente durante il resto dell’anno. Si parla di inclusione ma l’inclusione non c’è, non è una priorità a nessun livello. C’è molto menefreghismo nei confronti di chi ha una disabilità, le famiglie non chiedono molto, solo i diritti di base”.

“In tanti mi dicono grazie”

“Occhi di riso” mostra le avventure di Luna e della sua famiglia: in gita, in cucina, con i giochi, con i gatti o con altri bimbi. “Non voglio creare contenuti solo per bambini con la sindrome”. E sono sempre di più le persone che le dicono grazie: ci sono le mamme in attesa che hanno appena avuto una diagnosi di sindrome di Down e che placano la loro angoscia, “ma siamo d’aiuto anche a chi non ha disabilità in casa, ci dicono che trasmettiamo tanto amore, che è quello di cui ora abbiamo tutti bisogno”. Purtroppo ci sono anche gli hater: sembra incredibile, ma qualcuno ha il coraggio di mandare messaggi con frasi tremende. “Mi scrivono che sono stata egoista perché ho messo al mondo una bambina che sarà un peso per la società e che non sarà mai felice”. Eppure basta guardare i post di “Occhi di riso” per scoprire una cosa in fondo molto normale: una famiglia felice.
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