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Giorno della memoria 2022: per non dimenticare Lucy Salani, la donna trans più anziana d'Italia deportata a Dachau

di REMY MORANDI -
27 gennaio 2022
Lucy Salani, Giornata della Memoria 2022

Lucy Salani, Giornata della Memoria 2022

“Perché una donna non si può chiamare Luciano? I miei genitori mi hanno dato questo nome e questo nome è sacro”. Dietro alle parole di Lucy Salani, la donna transessuale più anziana d’Italia, 98 anni, si nasconde il suo mondo, la sua storia, il nostro futuro. Lucy è femmina, da sempre si sente femmina. Ma non per scelta sua è nata maschio, col nome di Luciano. A Fossano in provincia di Cuneo, nel 1924. Negli anni Trenta si trasferisce a Bologna con la famiglia. Costretta a lavorare, conosce alcuni ragazzi omosessuali che per vivere si prostituiscono. Lo fa anche lei. Ma sono gli anni del fascismo e gli omosessuali vengono perseguitati. Arriva la chiamata dell’esercito, Lucy non vuole essere arruolata. Agli ufficiali dice di essere omosessuale, loro non ci credono. Nel 1943 diserta e prova a tornare dalla famiglia. Si nasconde in campagna, ma viene trovata dai nazisti e costretta ad arruolarsi nell’esercito tedesco. Diserta un’altra volta, e un’altra volta viene trovata dai nazisti. La spediscono nel campo di concentramento di Dachau, in Germania. Ci rimane sei mesi, riesce a sopravvivere. Arrivano gli americani, Lucy viene liberata e spedita in Italia. Si trasferisce a Torino, fa il tappezziere. Negli anni Ottanta va a Londra, si sottopone a un intervento chirurgico per la riassegnazione del sesso. Torna in Italia, ma non cambia nome. “Questo nome è sacro”. Adesso vive a Bologna, nella periferia di Borgo Panigale, con un marocchino che considera come suo nipote.

Lucy Salani, 98 anni, è la transessuale più anziana d'Italia

Oggi, giovedì 27 gennaio, è il Giorno della Memoria. E se questo deve essere un giorno, il giorno, in cui tutti si devono ricordare di non dover dimenticare, non c’è storia migliore e più pertinente di quella di Lucy per riflettere sulle atrocità e gli errori del passato. “Perché la storia di Lucy, come superstite del lager di Dachau è testimonianza della memoria storica che non va cancellata. Ma come trans è anche un esempio dell’importanza della diversità e della sua tutela nella nostra società”. Queste le parole del regista Matteo Botrugno che insieme a Daniele Coluccini ha raccontato la storia di Lucy nel documentario “C’è un soffio di vita soltanto”, ritrasmesso al cinema in tutta Italia in occasione della giornata della memoria*.

La famiglia di Lucy non accettò mai che lei si sentisse donna

L’importanza della diversità. Per Lucy essere stata omosessuale negli anni Trenta voleva dire non avere una famiglia o una società che riconoscesse la sua identità. “Mi sono sempre sentita femmina fin da piccola - racconta Lucy –. Mia madre era disperata. Volevo sempre fare ciò che a quell’età facevano le bambine: cucinare, pulire e giocare con le bambole. Ma guai a dire che ero una donna. Mio fratello non riusciva a non chiamarmi Luciano, mia madre quando mi ha visto vestita da donna, si è spaventata”. Poi c’era il fascismo. Quando Lucy si trasferì a Bologna, dove iniziò a prostituirsi con un gruppo di ragazzi, doveva nascondersi dalle rappresaglie dei fascisti. “Allora non si parlava di omosessualità, non si doveva dare troppo nell’occhio: le bande di fascisti, dove trovavano persone come noi, combinavano sempre guai, picchiavano, rapavano, imbrattavano di catrame”.

Lucy davanti ai cancelli di Dachau

Poi arrivò la guerra, i nazisti, il campo di concentramento di Dachau. “Appena arrivati – racconta Lucy – ci hanno denudati, pelati e disinfettati, dicevano loro. Disinfettati con la creolina. Un bruciore bestiale! La pelle se ne veniva via il giorno dopo. Se avevi un po’ di carne addosso vivevi, altrimenti partivi già condannato. Quello che ho visto nel campo è stato spaventoso, l’Inferno di Dante a confronto è una passeggiata: impiccati, gente che moriva per la strada, persone che erano solo pelle e ossa. Facevano gli esperimenti: bruciavano i morti e c’era chi era ancora vivo, che si muoveva tra le fiamme. La mattina quando ti alzavi e guardavi la recinzione elettrificata, trovavi un mucchio di ragazzi attaccati: avevano provato a scappare durante la notte”. Sei mesi così. Poi, “il giorno in cui i tedeschi capirono che era finita ci ammucchiarono al centro del campo e iniziarono a sparare. Io fui ferita a una gamba e svenni, mi trovarono gli americani in mezzo ai cadaveri. E così ritornai a casa, in Italia”.

Oggi Lucy abita a Borgo Panigale con un marocchino che considera suo nipote

Nel campo di concentramento di Dachau gli americani della 42ma e 45ma divisione arrivarono una domenica, il 29 aprile 1945. Al suo interno c’erano 32.335 prigionieri, tra cui Lucy, 21 anni. Era sopravvissuta. In quel campo di morte le era stata affidata una mansione, “di prendere tutti i cadaveri che alla notte morivano e mettergli una targhetta insieme al loro numero. Perché non c’era un nome, c’era un numero”. Non c’era un nome, c’era un numero. Così racconta Lucy. Così racconta Luciano. Un nome sacro.

"C'è un soffio di vita soltanto" torna al cinema in occasione della Giornata della Memoria

*Il documentario "C'è un soffio di vita soltanto" torna al cinema in occasione della Giornata della Memoria.
  • Roma, Cinema Farnese: 27-28 gennaio.
  • Bologna, Cinema Lumière: 27-28-31 gennaio.
  • Firenze, La Compagnia: 27 gennaio.
  • Pisa, Arsenale: 27 gennaio.
  • Mezzago (Monza e Brianza), Bloom: 27-28 gennaio e 2 febbraio.
  • Ferrara, Arci Ferrara: 1 febbraio.