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Home » Attualità » Giovane gay suicida, travolto da bullismo e offese social. Klaus Davi: “Quando accadeva a me reagivo, ma non tutti ci riescono. Una legge? Sì, ma serve soprattutto educazione”

Giovane gay suicida, travolto da bullismo e offese social. Klaus Davi: “Quando accadeva a me reagivo, ma non tutti ci riescono. Una legge? Sì, ma serve soprattutto educazione”

Dopo il decesso, offese contro i gay sul profilo di Orlando Merenda 18 anni, torinese. Nessun rispetto per la morte. Il massmediologo: "Negli anni 80 io, omosessuale dichiarato, rispondevo: offesa contro offesa, energia contro schiaffo. Ma per chi è debole, serve una legge. I social? Sono il punto di arrivo. La scuola deve educare a maneggiarli e recepirli"

Domenico Guarino
28 Giugno 2021
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Orlando Merenda aveva 18 anni. Ed era gay. Si è tolto la vita domenica 20 giugno, intorno alle 14,30, gettandosi sotto un treno tra la stazione di Torino Lingotto e quella di Moncalieri, perché non reggeva il clima di odio, di derisione e le offese continue nei suoi confronti. Una storia come tante altre, purtroppo. Che però questa volta si in è risolta in tragedia. Doppiamente drammatica e triste, considerata l’età del ragazzo. La procura di Torino ha aperto un fascicolo. Bullismo e omofobia le ipotesi avanzate dall’inchiesta coordinata dallla sostituta procuratrice Antonella Barbera. Il giovane non ha lasciato nessun biglietto, ma sulla sua pagina Instagram, tra i numerosi messaggi di cordoglio, ci sono insulti e persino un «morte ai gay». A riportare la notiiza è stata La Stampa.  «Il problema delle menti chiuse è che hanno la bocca aperta», ha scritto sul social il giovane, lasciando intendere che non sempre la sua omosessualità veniva accettata. Mario, fratello di Orlando ha dichiarato: «Mi aveva confessato di aver paura di alcune persone. Non mi ha spiegato chi fossero, non ha fatto nomi. Era preoccupato. Diceva che mettevano in dubbio la sua omosessualità». «Lo prendevano in giro perché era omosessuale» riferiscono alcuni amici. La mamma Anna: “Adesso ho un compito. Trovare i colpevoli e non mi darò pace… finché non uscirà la
verità”. Gli agenti della polizia ferroviaria hanno acquisito i messaggi, sono andati a parlare con gli insegnanti dell’istituto professionale che il giovane frequentava per diventare barman e cameriere, con i compagni di classe, gli amici.

Del contasto in cui si è prodotta la vicenda – bullismo e uso senza rispetto dei social – parliamo con il massmediologo Klaus Davi.

Klaus Davi 

Quando si parla di suicidi è sempre molto delicato fare considerazioni, ma tu come hai letto questo episodio? E soprattutto, è legittimo dare questa eco mediatica ad un fatto intimamente e drammaticamente privato?
“Certamente quello che è accaduto è assolutamente drammatico ed è molto delicato. Va trattato con cura. Sta di fatto che arriva nel pieno del Gay Pride, nel pieno della discussione di una legge controversa come il ddl Zan, nel pieno di una forte contrapposizione politica, e allora è chiaro che ci siano delle inevitabili amplificazioni e/o strumentalizzazioni. Quindi non me la sento di criticare questo aspetto. Detto questo la cosa grave e che nel 2021 ci sia ancora gente, esseri umani, persone, così giovani per altro e che quindi avrebbero dato il loro contributo alla società, che debba fare questa fine, perché si sentono esclusi, dileggiati, offesi, in ultima istanza tagliati fuori. E siamo a Torino, in una città civile ed evoluta. E’ veramente sconcertante. L’attenzione mediatica è ovviamente conseguente a tutto ciò. Era inevitabile”.

Il tema del bullismo e soprattutto del cyberbullismo è quanto mai attuale. Qual è la tua idea a riguardo?
“Ti faccio una confessione inelegante: io sono omosessuale da sempre e l’ho sempre dichiarato. Ma questa cosa del bullismo, io l’ho sempre vissuta ribellandomi”

Ribellandoti come?
“Negli anni 80, quando ero ragazzo, 40 anni fa, io reagivo. Era la mia natura: ad offesa reagivo con offesa, a schiaffo reagivo con altrettanta energia. La legge Zan è importante secondo me proprio perché tutela chi invece è più fragile psicologicamente. Quei pochissimi episodi di bullismo che ho subito, io non li lasciavo correre: reagivo, menavo a mia volta. Ma non tutti sono Klaus Davi, che sa come ci si difende. Quindi: una legge che protegga persone più fragili può essere di enorme aiuto. Non siamo tutti uguali e proprio perché non siamo tutti uguali una legge è necessaria”.

Colpa dei social?
“I social rendono tutti un soggetto ‘mediatico’: questo dobbiamo averlo ben chiaro. Purtroppo non tutti hanno la serenità psicologica di accettare l’attacco, l’insulto etc. Io non lo conoscevo e dunque faccio una considerazione che si basa sulle impressioni e sulle idee che mi sono fatto leggendo. Ma per me in quello che è accaduto a questo ragazzo i social sono il punto di arrivo, non di partenza. Il clima d’odio parte dal livello sociale. Ma, ripeto, è una mia intuizione, non conosco nel profondo la sua vicenda”.

Tuttavia sconvolge il fatto che anche post mortem i profili del ragazzo siano stati presi di mira con commenti omofobi, violenti, vigliacchi. Non sarebbe il caso di intervenire in qualche modo, magari con una legge?
“Io credo che non si possano evitare certe cose. Non credo che una legge contro gli insulti serva o si possa fare, onestamente. Se sia auspicabile. Forse sarebbe più opportuno che la scuola educasse a conoscere cos’è un social. Il social è la giungla, se ci vai deve sapere che valgono le leggi della giungla. Il social vive sui commenti, lo sappiamo. Amplifica la realtà che viviamo altrove: in piazza, al bar, a scuola. Il bullismo e il linguaggio d’odio colpiscono non solo gli omosessuali ma anche gli exracomonunitari, i secchioni, le ragazze meno avvenenti. Da liberale io chiedo più nella cultura che in una legge. E’ come il tema della violenza in genere: qualcuno vuole risolverlo facendo più carceri, ma io dico che il compito dello Stato è anche quello di rieducare. Non è che risolvi il disagio sociale con l’edilizia”.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Orlando Merenda aveva 18 anni. Ed era gay. Si è tolto la vita domenica 20 giugno, intorno alle 14,30, gettandosi sotto un treno tra la stazione di Torino Lingotto e quella di Moncalieri, perché non reggeva il clima di odio, di derisione e le offese continue nei suoi confronti. Una storia come tante altre, purtroppo. Che però questa volta si in è risolta in tragedia. Doppiamente drammatica e triste, considerata l’età del ragazzo. La procura di Torino ha aperto un fascicolo. Bullismo e omofobia le ipotesi avanzate dall’inchiesta coordinata dallla sostituta procuratrice Antonella Barbera. Il giovane non ha lasciato nessun biglietto, ma sulla sua pagina Instagram, tra i numerosi messaggi di cordoglio, ci sono insulti e persino un «morte ai gay». A riportare la notiiza è stata La Stampa.  «Il problema delle menti chiuse è che hanno la bocca aperta», ha scritto sul social il giovane, lasciando intendere che non sempre la sua omosessualità veniva accettata. Mario, fratello di Orlando ha dichiarato: «Mi aveva confessato di aver paura di alcune persone. Non mi ha spiegato chi fossero, non ha fatto nomi. Era preoccupato. Diceva che mettevano in dubbio la sua omosessualità». «Lo prendevano in giro perché era omosessuale» riferiscono alcuni amici. La mamma Anna: "Adesso ho un compito. Trovare i colpevoli e non mi darò pace... finché non uscirà la verità". Gli agenti della polizia ferroviaria hanno acquisito i messaggi, sono andati a parlare con gli insegnanti dell’istituto professionale che il giovane frequentava per diventare barman e cameriere, con i compagni di classe, gli amici. Del contasto in cui si è prodotta la vicenda - bullismo e uso senza rispetto dei social - parliamo con il massmediologo Klaus Davi.
Klaus Davi 
Quando si parla di suicidi è sempre molto delicato fare considerazioni, ma tu come hai letto questo episodio? E soprattutto, è legittimo dare questa eco mediatica ad un fatto intimamente e drammaticamente privato? "Certamente quello che è accaduto è assolutamente drammatico ed è molto delicato. Va trattato con cura. Sta di fatto che arriva nel pieno del Gay Pride, nel pieno della discussione di una legge controversa come il ddl Zan, nel pieno di una forte contrapposizione politica, e allora è chiaro che ci siano delle inevitabili amplificazioni e/o strumentalizzazioni. Quindi non me la sento di criticare questo aspetto. Detto questo la cosa grave e che nel 2021 ci sia ancora gente, esseri umani, persone, così giovani per altro e che quindi avrebbero dato il loro contributo alla società, che debba fare questa fine, perché si sentono esclusi, dileggiati, offesi, in ultima istanza tagliati fuori. E siamo a Torino, in una città civile ed evoluta. E’ veramente sconcertante. L’attenzione mediatica è ovviamente conseguente a tutto ciò. Era inevitabile". Il tema del bullismo e soprattutto del cyberbullismo è quanto mai attuale. Qual è la tua idea a riguardo? "Ti faccio una confessione inelegante: io sono omosessuale da sempre e l’ho sempre dichiarato. Ma questa cosa del bullismo, io l’ho sempre vissuta ribellandomi" Ribellandoti come? "Negli anni 80, quando ero ragazzo, 40 anni fa, io reagivo. Era la mia natura: ad offesa reagivo con offesa, a schiaffo reagivo con altrettanta energia. La legge Zan è importante secondo me proprio perché tutela chi invece è più fragile psicologicamente. Quei pochissimi episodi di bullismo che ho subito, io non li lasciavo correre: reagivo, menavo a mia volta. Ma non tutti sono Klaus Davi, che sa come ci si difende. Quindi: una legge che protegga persone più fragili può essere di enorme aiuto. Non siamo tutti uguali e proprio perché non siamo tutti uguali una legge è necessaria". Colpa dei social? "I social rendono tutti un soggetto ‘mediatico’: questo dobbiamo averlo ben chiaro. Purtroppo non tutti hanno la serenità psicologica di accettare l’attacco, l’insulto etc. Io non lo conoscevo e dunque faccio una considerazione che si basa sulle impressioni e sulle idee che mi sono fatto leggendo. Ma per me in quello che è accaduto a questo ragazzo i social sono il punto di arrivo, non di partenza. Il clima d’odio parte dal livello sociale. Ma, ripeto, è una mia intuizione, non conosco nel profondo la sua vicenda". Tuttavia sconvolge il fatto che anche post mortem i profili del ragazzo siano stati presi di mira con commenti omofobi, violenti, vigliacchi. Non sarebbe il caso di intervenire in qualche modo, magari con una legge? "Io credo che non si possano evitare certe cose. Non credo che una legge contro gli insulti serva o si possa fare, onestamente. Se sia auspicabile. Forse sarebbe più opportuno che la scuola educasse a conoscere cos’è un social. Il social è la giungla, se ci vai deve sapere che valgono le leggi della giungla. Il social vive sui commenti, lo sappiamo. Amplifica la realtà che viviamo altrove: in piazza, al bar, a scuola. Il bullismo e il linguaggio d’odio colpiscono non solo gli omosessuali ma anche gli exracomonunitari, i secchioni, le ragazze meno avvenenti. Da liberale io chiedo più nella cultura che in una legge. E’ come il tema della violenza in genere: qualcuno vuole risolverlo facendo più carceri, ma io dico che il compito dello Stato è anche quello di rieducare. Non è che risolvi il disagio sociale con l’edilizia".
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