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Home » Attualità » Guerra in Yemen, morti 2000 bambini soldato in 16 mesi: il futuro di una nazione che si spegne

Guerra in Yemen, morti 2000 bambini soldato in 16 mesi: il futuro di una nazione che si spegne

I ragazzi venivano prelevati dalle famiglie, nelle scuole, nei campi estivi e nelle moschee, con la scusa di frequentare una scuola culturale o dietro la minaccia di essere privati degli aiuti umanitari

Nicolò Guelfi
30 Gennaio 2022
epa09681461 Yemeni children play near makeshift shelters at a camp for Internally Displaced Persons (IDPs) on the outskirts of Sana'a, Yemen, 11 January 2022 (Issued 12 January 2022). The United Nations will need around 3.9 billion US dollar to sustain life-saving interventions for 16 millions of the most vulnerable Yemenis throughout 2022, UN deputy emergency relief coordinator Ramesh Rajasingham, has briefed the UN Security Council, calling on all donors to urgently step up much needed humanitarian aid amid a huge shortfall in funding. Aid agencies have suspended vital relief programs in Yemen as of January 2022 due to a lack of funding as some 24 million people, out of the war-ridden Arab country's 30 million population, are urgently in need of humanitarian assistance. Yemen has been mired in violence since the Houthis ousted the internationally recognised government from the capital Sana'a in late 2014, leaving millions suffering from food and medical shortages. A Saudi Arabia-led military coalition intervened the following year to restore the government.  EPA/YAHYA ARHAB

epa09681461 Yemeni children play near makeshift shelters at a camp for Internally Displaced Persons (IDPs) on the outskirts of Sana'a, Yemen, 11 January 2022 (Issued 12 January 2022). The United Nations will need around 3.9 billion US dollar to sustain life-saving interventions for 16 millions of the most vulnerable Yemenis throughout 2022, UN deputy emergency relief coordinator Ramesh Rajasingham, has briefed the UN Security Council, calling on all donors to urgently step up much needed humanitarian aid amid a huge shortfall in funding. Aid agencies have suspended vital relief programs in Yemen as of January 2022 due to a lack of funding as some 24 million people, out of the war-ridden Arab country's 30 million population, are urgently in need of humanitarian assistance. Yemen has been mired in violence since the Houthis ousted the internationally recognised government from the capital Sana'a in late 2014, leaving millions suffering from food and medical shortages. A Saudi Arabia-led military coalition intervened the following year to restore the government. EPA/YAHYA ARHAB

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La guerra nella Penisola arabica non smette di mietere vittime anche tra i più piccoli. Sono quasi 2000 i bambini e gli adolescenti, di età compresa tra i 10 e i 17 anni, ad aver perso la vita nel conflitto in Yemen, scontro sanguinario che si protrae ormai da più di 7 anni. Gli Huiti, musulmani sciiti vicini all’Iran, combattono contro il governo riconosciuto dall’Arabia Saudita di Abd Rabbuh Mansur Hadi e controllano oggi la maggior parte dei territori occidentali dello Stato a sud-ovest della penisola. Per portare avanti l’offensiva, il gruppo islamico, che prende il nome dal suo fondatore Huiti, ha impiegato in più occasioni adolescenti e bambini nel conflitto. Il futuro di una nazione, già molto piccola e poco densamente abitata, che si spegne. La notizia è confermata da un report dell’Onu, nel quale si afferma anche di un avvenuto stupro nei confronti di uno dei minori.

Sono quasi duemila i bambini soldato morti nel conflitto in Yemen

I ragazzi venivano prelevati direttamente dalle loro famiglie, nelle scuole, nei campi estivi e nelle moschee con la scusa di frequentare una scuola culturale o dietro la minaccia di essere privati degli aiuti umanitari. Secondo quanto riportato da Amnesty International, il conflitto armato è continuato per tutto il 2020 e ha visto un incremento degli attacchi di entrambe le parti in conflitto, in particolare nei governatorati di Ma’arib, al-Jawf, al-Bayda, Dahle’, Hodeidah, Abyan e Shabwa. Tutti gli schieramenti hanno impedito l’accesso agli aiuti umanitari. Secondo le Nazioni Unite, nel 2020 circa l’80% della popolazione ne avrebbe avuto bisogno, così come di protezione internazionale, avendo accesso limitato all’assistenza sanitaria o all’acqua potabile, mentre 20 milioni di persone vivono in condizioni d’insicurezza alimentare. Le parti in conflitto hanno aumentato le restrizioni burocratiche e hanno interferito nei progetti di aiuto, anche bloccando la valutazione delle necessità. L’aumento dei combattimenti ha ulteriormente limitato la libertà di movimento, impedendo la consegna degli aiuti. A marzo 2020, l’agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale ha sospeso l’erogazione di 73 degli 85 milioni di dollari promessi alle Ong che fornivano aiuti nelle aree a ovest controllate dagli Huthi.

Il rapporto stilato dall’Onu denuncia anche l’approvvigionamento d’armi. Gli Huthi hanno continuato “a rifornirsi di componenti critici per le loro armi da aziende in Europa e Asia, utilizzando una complessa rete di intermediari per nascondere la catena di approvvigionamento”. In particolare, i ribelli hanno reperito droni, dispositivi esplosivi da utilizzare in acqua e i missili a corto raggio sono assemblati nelle zone sotto il loro dominio. Componenti elettronici e motori “vengono acquistati dall’estero utilizzando una complessa rete di intermediari in Europa, Medio Oriente e Asia”.

Nel 2020 secondo le Nazioni Unite l’80% della popolazione civile aveva necessità di aiuti e protezione umanitari

Le tensioni nella regione sono iniziate già nel 2004, ma la guerra è aperta e praticamente ininterrotta dal 2015. Da anni gli Stati Uniti sostengono un coinvolgimento materiale dell’Iran, politicamente e religiosamente vicino ai ribelli, il quale avrebbe armato e addestrato gli Huiti per rovesciare il governo sunnita e destabilizzare la regione, guidata dall’Arabia Saudita e vicina nello scacchiere internazionale agli Usa. La ricerca effettuata dalle Nazioni Unite però non trova riscontro di questo sospetto, più volte smentito anche da Teheran. Emerge invece che componenti ed equipaggiamenti vengono forniti “via terra alle forze Huthi da individui ed entità con sede in Oman”, stato confinante a est. Il silenzio, salvo poche eccezioni, della stampa in Italia su una guerra così lunga e dai numeri drammatici lascia perplessi. Nell’ultimo incontro tra il ministro degli Esteri Di Maio e il suo omologo yemenita Ahmed Awad Bin Mubarak, avvenuto il 2 dicembre 2021 a Roma, il capo della Farnesina ha mostrato pieno sostegno al governo internazionalmente riconosciuto di Hadi, auspicando una soluzione pacifica, ma senza proporre alcuna azione concreta per agevolare questo processo. 

 

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
La guerra nella Penisola arabica non smette di mietere vittime anche tra i più piccoli. Sono quasi 2000 i bambini e gli adolescenti, di età compresa tra i 10 e i 17 anni, ad aver perso la vita nel conflitto in Yemen, scontro sanguinario che si protrae ormai da più di 7 anni. Gli Huiti, musulmani sciiti vicini all’Iran, combattono contro il governo riconosciuto dall’Arabia Saudita di Abd Rabbuh Mansur Hadi e controllano oggi la maggior parte dei territori occidentali dello Stato a sud-ovest della penisola. Per portare avanti l’offensiva, il gruppo islamico, che prende il nome dal suo fondatore Huiti, ha impiegato in più occasioni adolescenti e bambini nel conflitto. Il futuro di una nazione, già molto piccola e poco densamente abitata, che si spegne. La notizia è confermata da un report dell’Onu, nel quale si afferma anche di un avvenuto stupro nei confronti di uno dei minori.
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I ragazzi venivano prelevati direttamente dalle loro famiglie, nelle scuole, nei campi estivi e nelle moschee con la scusa di frequentare una scuola culturale o dietro la minaccia di essere privati degli aiuti umanitari. Secondo quanto riportato da Amnesty International, il conflitto armato è continuato per tutto il 2020 e ha visto un incremento degli attacchi di entrambe le parti in conflitto, in particolare nei governatorati di Ma’arib, al-Jawf, al-Bayda, Dahle’, Hodeidah, Abyan e Shabwa. Tutti gli schieramenti hanno impedito l’accesso agli aiuti umanitari. Secondo le Nazioni Unite, nel 2020 circa l’80% della popolazione ne avrebbe avuto bisogno, così come di protezione internazionale, avendo accesso limitato all’assistenza sanitaria o all’acqua potabile, mentre 20 milioni di persone vivono in condizioni d’insicurezza alimentare. Le parti in conflitto hanno aumentato le restrizioni burocratiche e hanno interferito nei progetti di aiuto, anche bloccando la valutazione delle necessità. L’aumento dei combattimenti ha ulteriormente limitato la libertà di movimento, impedendo la consegna degli aiuti. A marzo 2020, l’agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale ha sospeso l’erogazione di 73 degli 85 milioni di dollari promessi alle Ong che fornivano aiuti nelle aree a ovest controllate dagli Huthi. Il rapporto stilato dall’Onu denuncia anche l'approvvigionamento d'armi. Gli Huthi hanno continuato “a rifornirsi di componenti critici per le loro armi da aziende in Europa e Asia, utilizzando una complessa rete di intermediari per nascondere la catena di approvvigionamento”. In particolare, i ribelli hanno reperito droni, dispositivi esplosivi da utilizzare in acqua e i missili a corto raggio sono assemblati nelle zone sotto il loro dominio. Componenti elettronici e motori “vengono acquistati dall'estero utilizzando una complessa rete di intermediari in Europa, Medio Oriente e Asia”.
Nel 2020 secondo le Nazioni Unite l'80% della popolazione civile aveva necessità di aiuti e protezione umanitari
Le tensioni nella regione sono iniziate già nel 2004, ma la guerra è aperta e praticamente ininterrotta dal 2015. Da anni gli Stati Uniti sostengono un coinvolgimento materiale dell’Iran, politicamente e religiosamente vicino ai ribelli, il quale avrebbe armato e addestrato gli Huiti per rovesciare il governo sunnita e destabilizzare la regione, guidata dall’Arabia Saudita e vicina nello scacchiere internazionale agli Usa. La ricerca effettuata dalle Nazioni Unite però non trova riscontro di questo sospetto, più volte smentito anche da Teheran. Emerge invece che componenti ed equipaggiamenti vengono forniti “via terra alle forze Huthi da individui ed entità con sede in Oman”, stato confinante a est. Il silenzio, salvo poche eccezioni, della stampa in Italia su una guerra così lunga e dai numeri drammatici lascia perplessi. Nell’ultimo incontro tra il ministro degli Esteri Di Maio e il suo omologo yemenita Ahmed Awad Bin Mubarak, avvenuto il 2 dicembre 2021 a Roma, il capo della Farnesina ha mostrato pieno sostegno al governo internazionalmente riconosciuto di Hadi, auspicando una soluzione pacifica, ma senza proporre alcuna azione concreta per agevolare questo processo.   
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