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Home » Attualità » Il lavoro minorile è un problema anche italiano: più di 500 i casi registrati tra il 2018 e il 2019

Il lavoro minorile è un problema anche italiano: più di 500 i casi registrati tra il 2018 e il 2019

Secondo l’indagine "Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali" sono 2,4 milioni gli attuali occupati italiani che hanno fatto esperienza di lavoro minorile, "con evidenti ricadute sulle prospettive di vita": chi inizia a lavorare prima dei 16 anni, nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media, mentre solo l’11,2% del campione arriva alla laurea

Domenico Guarino
18 Dicembre 2021
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Solitamente quando pensiamo al lavoro minorile immaginiamo che sia una realtà diffusa esclusivamente nei paesi poveri o in via di sviluppo. Pensiamo cioè che fino ai 16/18 anni, in Italia e negli altri Paesi cosiddetti ‘evoluti’ e ‘civili’, i ragazzi se ne stiano tranquillamente tra i banchi a studiare e costruire il proprio futuro. Ebbene, purtroppo non è così. Le economie più avanzate, Italia inclusa, non sono immuni dal fenomeno del lavoro minorile e dal rischio di condizionare negativamente le possibilità di formazione e di crescita professionale delle fasce più giovani della loro popolazione. Sono infatti più di 500 i casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, accertati tra 2018 e 2019 dall’Ispettorato del lavoro. Un dato in calo nel 2020 ma solo per effetto delle chiusure aziendali legate all’emergenza sanitaria (127 casi). La maggioranza dei casi si verifica nei servizi di alloggio e ristorazione.
Secondo l’indagine “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali” curata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e presentata lo scorso giugno, sono 2,4 milioni – il 10,7% del totale – gli attuali occupati italiani che hanno fatto esperienza di lavoro minorile, “con evidenti ricadute sulle prospettive di vita”. Dall’indagine risulta infatti che chi inizia a lavorare prima dei 16 anni, nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media, mentre solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. Anche per questo il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi.
Tra gli occupati precoci 7 su 10 sono uomini che risultano più propensi, rispetto alle donne, ad abbandonare gli studi e maggiormente coinvolti nelle esigenze di sostentamento delle famiglie in condizioni economiche disagiate. A notare che il dato interessa soprattutto (il 57,1% ) le regioni settentrionali, dove maggiori sono le opportunità occupazionali nel tessuto produttivo. Per fortuna negli anni la tendenza va verso la riduzione del fenomeno. Anche se questo potrebbe essere dovuto alla minore disponibilità sul mercato del lavoro. Di fatto, negli anni la quota dei lavoratori infra-sedicenni in Italia è diminuita grazie all’innalzamento dell’obbligo formativo e una maggiore attenzione al tema del lavoro minorile. Nella fascia dei 55-64 anni la percentuale di quanti hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni è infatti del 15,3%, mentre crolla al 2,7% tra i 16-24enni. Ora il timore è che, per effetto delle politiche di contenimento della pandemia covid, il fenomeno possa di nuovo aggravarsi in virtù del deteriorarsi delle condizioni economiche di molte famiglie e dell’incremento della casistica di disaffezione e allontanamento dai processi formativi.
“La riduzione del fenomeno del lavoro minorile tra le fasce di popolazione più giovani non deve distrarci dal rischio che le trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e della società, determinate dall’emergenza sanitaria, invertano la rotta – afferma Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro –. È dunque importante che si tenga alta l’attenzione su nuovi fenomeni di sfruttamento che potrebbero annullare i progressi ottenuti negli anni”. Secondi De Luca è infatti “necessario un progetto trasversale in cui l’investimento in formazione e politiche attive si accompagni a una costante azione verso legalità ed etica del lavoro”.

YouTube e minori: lavoro o sfruttamento di immagine?

Ma c’è un contesto in cui, vedere bambini ‘lavorare’, se di lavoro si può parlare, è qualcosa di normale. Stiamo parlando dei video, o meglio, della piattaforma di YouTube (in particolare YouTube Kids) dove spesso sono proprio i più piccoli a guadagnare cifre da capogiro. Basti pensare a Ryan Kaji, il protagonista del canale Ryan’s World, che ad appena 9 anni è lo youtuber più pagato al mondo. E non da ora, ma mantiene il primato dal 2018. Se guardiamo solo allo streaming, secondo Forbes, il suo canale ha fruttato al bambino più di 25 milioni di dollari (quasi 30 milioni di euro). Ma, viene da chiedersi, cosa fa per attirare tanta attenzione? E non si tratta di lavoro? Come funziona con l’immagine di un minore?

Quando i suoi genitori hanno aperto il canale, nel 2015, i primi video pubblicati erano quelli della serie “Ryan ToysReview”, ovvero le recensioni di giocattoli di Ryan. Nelle immagini c’era il bimbo texano che scartava vari giocattoli e poi ci giocava facendo vedere come funzionavano, mentre mamma e papà interagivano con lui e lo filmavano. Da allora gli utenti, principalmente bimbi, sono cresciuti fino ad arrivare a contare la cifra record di oltre 31 milioni di iscritti e oggi è possibile vedere Ryan in attività anche più elaborate e persino video didattici o esperimenti scientifici. Apparentemente un divertimento, per il piccolo, che semplicemente giocando si può dire che si sia sistemato per il futuro. E ‘senza lavorare’, per di più. Anche perché, al fatturato miliardario della famiglia, contribuiscono tutti i membri, comprese le due sorelle gemelle più piccole e i genitori, con altri canali che, complessivamente, hanno più di 40 milioni di iscritti. Per darvi un’idea, sotto il suo video più guardato in assoluto, in cui Ryan fa una caccia al tesoro pasquale, si contano più di 2 miliardi di visualizzazioni.

Ormai diventato un personaggio amatissimo, il piccolo youtuber texano è ora anche un marchio, con tanto di merchandising firmato Ryan’s World tra giocattoli, libri e abbigliamento venduti nelle più grosse catene americane. E ancora, Ryan ha debuttato perfino sul piccolo schermo (un po’ più grande di quello del computer o del cellulare) con una serie su Amazon Kids Plus – “Super Spy Ryan” – e poche settimane dopo è stato lanciato il mondo virtuale di Ryan’s World sulla piattaforma dell’azienda di videogiochi Roblox. Tutto farebbe pensare ad una storia di imprenditoria esemplare, con i bimbi che si divertono, la piccola star che, facendo attività ‘adatte’ alla sua età, guadagna valanghe di soldi e la famiglia che supporta il suo ‘pulcino’ dalle piume d’oro – facendo una metafora–. Se non fosse che qualche lato oscuro, in effetti, c’è. L’associazione di consumatori Truth in Advertising ha accusato i genitori di Ryan di favorire la pubblicità occulta: “Circa il 9% dei video di Ryan ToysReview include almeno un consiglio di acquisto indirizzato ai bambini in età prescolare, un gruppo troppo giovane per distinguere tra una pubblicità e una recensione” e, in particolare, queste pubblicità riguardavano spesso “cibi poco salutari”. Ma poi, pur rispettando tutte le normative sui diritti dei minori e sulla loro immagine, siamo proprio sicuri che non si tratti, a tutti gli effetto, di sfruttamento? A guadagnare, per il momento, è la famiglia, ma un giorno, quando Ryan diventerà grande e vorrà, magari, trovarsi un occupazione – non che ne abbia bisogno, diciamo che potrebbe benissimo vivere di rendita –. Bene, siamo sicuri che tutta questa esposizione mediatica, tutta questa visibilità, non influirà sull’adulto del futuro?

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Solitamente quando pensiamo al lavoro minorile immaginiamo che sia una realtà diffusa esclusivamente nei paesi poveri o in via di sviluppo. Pensiamo cioè che fino ai 16/18 anni, in Italia e negli altri Paesi cosiddetti 'evoluti' e 'civili', i ragazzi se ne stiano tranquillamente tra i banchi a studiare e costruire il proprio futuro. Ebbene, purtroppo non è così. Le economie più avanzate, Italia inclusa, non sono immuni dal fenomeno del lavoro minorile e dal rischio di condizionare negativamente le possibilità di formazione e di crescita professionale delle fasce più giovani della loro popolazione. Sono infatti più di 500 i casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, accertati tra 2018 e 2019 dall’Ispettorato del lavoro. Un dato in calo nel 2020 ma solo per effetto delle chiusure aziendali legate all’emergenza sanitaria (127 casi). La maggioranza dei casi si verifica nei servizi di alloggio e ristorazione.
Secondo l’indagine "Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali" curata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e presentata lo scorso giugno, sono 2,4 milioni – il 10,7% del totale – gli attuali occupati italiani che hanno fatto esperienza di lavoro minorile, "con evidenti ricadute sulle prospettive di vita". Dall’indagine risulta infatti che chi inizia a lavorare prima dei 16 anni, nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media, mentre solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. Anche per questo il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi.
Tra gli occupati precoci 7 su 10 sono uomini che risultano più propensi, rispetto alle donne, ad abbandonare gli studi e maggiormente coinvolti nelle esigenze di sostentamento delle famiglie in condizioni economiche disagiate. A notare che il dato interessa soprattutto (il 57,1% ) le regioni settentrionali, dove maggiori sono le opportunità occupazionali nel tessuto produttivo. Per fortuna negli anni la tendenza va verso la riduzione del fenomeno. Anche se questo potrebbe essere dovuto alla minore disponibilità sul mercato del lavoro. Di fatto, negli anni la quota dei lavoratori infra-sedicenni in Italia è diminuita grazie all’innalzamento dell’obbligo formativo e una maggiore attenzione al tema del lavoro minorile. Nella fascia dei 55-64 anni la percentuale di quanti hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni è infatti del 15,3%, mentre crolla al 2,7% tra i 16-24enni. Ora il timore è che, per effetto delle politiche di contenimento della pandemia covid, il fenomeno possa di nuovo aggravarsi in virtù del deteriorarsi delle condizioni economiche di molte famiglie e dell’incremento della casistica di disaffezione e allontanamento dai processi formativi.
"La riduzione del fenomeno del lavoro minorile tra le fasce di popolazione più giovani non deve distrarci dal rischio che le trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e della società, determinate dall’emergenza sanitaria, invertano la rotta – afferma Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro –. È dunque importante che si tenga alta l’attenzione su nuovi fenomeni di sfruttamento che potrebbero annullare i progressi ottenuti negli anni". Secondi De Luca è infatti "necessario un progetto trasversale in cui l’investimento in formazione e politiche attive si accompagni a una costante azione verso legalità ed etica del lavoro".

YouTube e minori: lavoro o sfruttamento di immagine?

Ma c'è un contesto in cui, vedere bambini 'lavorare', se di lavoro si può parlare, è qualcosa di normale. Stiamo parlando dei video, o meglio, della piattaforma di YouTube (in particolare YouTube Kids) dove spesso sono proprio i più piccoli a guadagnare cifre da capogiro. Basti pensare a Ryan Kaji, il protagonista del canale Ryan’s World, che ad appena 9 anni è lo youtuber più pagato al mondo. E non da ora, ma mantiene il primato dal 2018. Se guardiamo solo allo streaming, secondo Forbes, il suo canale ha fruttato al bambino più di 25 milioni di dollari (quasi 30 milioni di euro). Ma, viene da chiedersi, cosa fa per attirare tanta attenzione? E non si tratta di lavoro? Come funziona con l'immagine di un minore? Quando i suoi genitori hanno aperto il canale, nel 2015, i primi video pubblicati erano quelli della serie "Ryan ToysReview", ovvero le recensioni di giocattoli di Ryan. Nelle immagini c'era il bimbo texano che scartava vari giocattoli e poi ci giocava facendo vedere come funzionavano, mentre mamma e papà interagivano con lui e lo filmavano. Da allora gli utenti, principalmente bimbi, sono cresciuti fino ad arrivare a contare la cifra record di oltre 31 milioni di iscritti e oggi è possibile vedere Ryan in attività anche più elaborate e persino video didattici o esperimenti scientifici. Apparentemente un divertimento, per il piccolo, che semplicemente giocando si può dire che si sia sistemato per il futuro. E 'senza lavorare', per di più. Anche perché, al fatturato miliardario della famiglia, contribuiscono tutti i membri, comprese le due sorelle gemelle più piccole e i genitori, con altri canali che, complessivamente, hanno più di 40 milioni di iscritti. Per darvi un'idea, sotto il suo video più guardato in assoluto, in cui Ryan fa una caccia al tesoro pasquale, si contano più di 2 miliardi di visualizzazioni.

Ormai diventato un personaggio amatissimo, il piccolo youtuber texano è ora anche un marchio, con tanto di merchandising firmato Ryan’s World tra giocattoli, libri e abbigliamento venduti nelle più grosse catene americane. E ancora, Ryan ha debuttato perfino sul piccolo schermo (un po' più grande di quello del computer o del cellulare) con una serie su Amazon Kids Plus – "Super Spy Ryan" – e poche settimane dopo è stato lanciato il mondo virtuale di Ryan’s World sulla piattaforma dell’azienda di videogiochi Roblox. Tutto farebbe pensare ad una storia di imprenditoria esemplare, con i bimbi che si divertono, la piccola star che, facendo attività 'adatte' alla sua età, guadagna valanghe di soldi e la famiglia che supporta il suo 'pulcino' dalle piume d'oro – facendo una metafora–. Se non fosse che qualche lato oscuro, in effetti, c'è. L’associazione di consumatori Truth in Advertising ha accusato i genitori di Ryan di favorire la pubblicità occulta: "Circa il 9% dei video di Ryan ToysReview include almeno un consiglio di acquisto indirizzato ai bambini in età prescolare, un gruppo troppo giovane per distinguere tra una pubblicità e una recensione" e, in particolare, queste pubblicità riguardavano spesso "cibi poco salutari". Ma poi, pur rispettando tutte le normative sui diritti dei minori e sulla loro immagine, siamo proprio sicuri che non si tratti, a tutti gli effetto, di sfruttamento? A guadagnare, per il momento, è la famiglia, ma un giorno, quando Ryan diventerà grande e vorrà, magari, trovarsi un occupazione – non che ne abbia bisogno, diciamo che potrebbe benissimo vivere di rendita –. Bene, siamo sicuri che tutta questa esposizione mediatica, tutta questa visibilità, non influirà sull'adulto del futuro?
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