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Ex Ilva di Taranto, "consapevoli degli effetti dell’inquinamento sulla salute della popolazione"

La sentenza della Corte d'assise del processo "Ambiente Svenduto" sull’acciaieria lo scrive nero su bianco: "Bilancio agghiacciante"

di DOMENICO GUARINO -
14 dicembre 2022
Lo stabilimento Ilva di Taranto (Ansa)

Lo stabilimento Ilva di Taranto (Ansa)

“I Riva e i loro sodali hanno posto in essere modalità gestionali illegali anche omettendo di adeguare lo stabilimento siderurgico ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza per ovviare alle problematiche di cui avevano piena consapevolezza sin dal 1995”. E’ uno dei passaggi chiave contenuti nella sentenza della Corte d’Assise di Taranto del processo Ambiente Svenduto relativo al reato di disastro ambientale imputato alla gestione del gruppo Riva per l'ex Ilva. La sentenza risale al 31 maggio dello scorso anno con una condanna complessiva a tre secoli di carcere, spalmati tra i 26 imputati condannati. Su tutte spiccano quella di Fabio Riva a ventidue anni, a venti del fratello Nicola e a ventuno di Luigi Capogrosso, l'ex direttore della grande fabbrica. E in aggiunta quella a ventuno anni e mezzo di Girolamo Archinà, l'ex responsabile dei rapporti istituzionali, eminenza grigia del gruppo Riva, e a tre anni e mezzo dell'ex Governatore pugliese Nichi Vendola, sott'accusa per una ipotesi di concussione aggravata.
L'ex Ilva di Taranto (Ansa)

L'ex Ilva di Taranto (Ansa)

Il processo nacque dall'inchiesta che esplose oltre dieci anni fa con il sequestro dell'area a caldo di Ilva. Sei reparti ritenuti la fonte dell'inquinamento disastroso di Taranto: da quel giorno, va ricordato, gli impianti dell'area a caldo non si sono mai fermati. Nelle oltre 3.700 pagine delle motivazioni, che arrivano 18 mesi dopo la conclusione del processo, la Corte sostiene che “la capacità di influenzare le istituzioni da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattuale della grande impresa, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamento dei crimini che si andavano perpetrando”. “Il bilancio è agghiacciante” scrive ancora la Corte. Tra le frasi citate anche quella pronunciata da Fabio Riva, ex proprietario e amministratore dell’Ilva, che parla di “qualche caso di tumore in più” con un rappresentante aziendale. Per i giudici di Tarato questa espressione “riassume meglio di ogni altro elemento di prova la volontarietà della condotta delittuosa posta in essere dagli imputati e anzi la consapevolezza degli effetti dell’inquinamento sulla salute della popolazione tarantina”. “Per la prima volta con questo processo – argomenta ancora la Corte d’Assise di Taranto - si è potuta cogliere una visione unitaria della gestione illecita dello stabilimento da parte della proprietà, dei vertici aziendali e dei responsabili delle varie aree e dei reparti che compongono questa realtà industriale di enormi proporzioni, nonché dei soggetti estranei che a vario titolo vi hanno concorso”. Ora ci sono 45 giorni per proporre appello.