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Home » Attualità » In Iraq il bullismo tiene gli iracheni neri lontani dall’istruzione portandone l’analfabetismo all’80%

In Iraq il bullismo tiene gli iracheni neri lontani dall’istruzione portandone l’analfabetismo all’80%

"Se non riesci a leggere, non conosci le tue radici. Il mio popolo ha bisogno di essere educato per superare l'eredità della schiavitù"

Sofia Francioni
7 Febbraio 2022
scuola Iraq

scuola Iraq

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Nella giornata contro il Bullismo del 7 febbraio, l’Iraq ci dice che si è bulli anche per razzismo. Gli attivisti dei diritti della minoranza irachena nera (una minoranza di 1.5 milioni di persone su 40) denunciano che nel paese molti studenti abbandonano la scuola per colpa del bullismo di compagni e insegnanti. E, sulla minoranza, l’impatto del fenomeno è allarmante: “un sondaggio del 2011 ha riportato tassi di analfabetismo tra i neri iracheni all’80 per cento, una cifra più che doppia rispetto alla media nazionale e che da allora è rimasta sostanzialmente invariata”, ha detto Abdul Hussein Abdul Razzak, giornalista nero e co-fondatore di Black Iraqis, associazione fondata nel 2017 per difendere i diritti della minoranza nel paese. “Alcuni iracheni ci trattano come se fossimo ancora schiavi. Sono un bravo giornalista, ma nessuno mi ha mai dato la possibilità di lavorare. Comunque – ha concluso Abdul Razzak – la nostra pelle non ci fermerà.”

Foto tratta dalla mostra di Unicef "Quando i bambini vanno a scuola" di una classe in Iraq
Foto tratta dalla mostra di Unicef “Quando i bambini vanno a scuola” di una classe in Iraq

“Mia zia non sapeva né leggere né scrivere, ma mi diceva che i nostri diplomi scolastici sarebbero stati le armi nelle nostre mani“, ha detto anche Thawra Youssif,  dottore in teatro di 62 anni che vive a Bassora, la seconda città più grande dell’Iraq. Anche lui, nero iracheno in un paese che non accetta di vederli né in tv, né tra i banchi della politica e neanche tra quelli di scuola. “Se chiedi ai neri iracheni di Malcolm X, nessuno lo conosce. Se non riesci a leggere, non conosci le tue radici. Il mio popolo”, ha concluso Youssif, “ha bisogno di essere educato per superare l’eredità della schiavitù.”. 

In Iraq l’eredità della schiavitù degli anni Venti non è stata ancora superata

Mappa dei popoli sotto minaccia di Minority Rights Group
Mappa dei popoli sotto minaccia di Minority Rights Group

In Iraq la maggior parte dei membri della comunità discendono dagli schiavi dell’Africa orientale, portati sulla costa meridionale dell’Iraq a partire dal IX secolo. Tratta di esseri umani che è durata più di mille anni e che in alcuni paesi arabi è sparita solo decenni fa. In Iraq il lavoro degli schiavi era concentrato soprattutto al sud, tra i campi di sale e le piantagioni di datteri. Ed è ancora al sud del paese che vive la maggior parte della popolazione nera: in grave povertà e con scarsi livelli d’istruzione. Nel Paese la schiavitù è stata ufficialmente abolita nel 1924; in Arabia Saudita nel 1962, mentre in Oman la schiavitù era legale fino al 1970. In tutto il mondo arabo, i neri sono ancora comunemente indicati come “abd”, che significa schiavi. Una parola, che si riferisce anche ai servi di Dio ed è parte di molti nomi musulmani, ma che verso una persona di colore è offensiva. Mentre il movimento Black Lives Matter si è diffuso in gran parte del mondo, in Iraq c’è solo un solo nascente movimento per i diritti dei neri, i Black Iraqis, sostenuto dal Gruppo internazionale dei diritti delle minoranze. Tra gli iracheni neri, si legge nel report del Gruppo, non c’è consenso neanche su come definirsi: alcuni rifiutano i termini neri o afro-iracheni perché li trovano divisivi. Molti si sono stabiliti sul termine arabo “asmar” o di pelle scura. Gli iracheni neri continuano a essere vittime di discriminazioni ed emarginazioni sistematiche, che si consumano anche tra i banchi di scuola sotto forma di bullismo. 

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  • "È passato un mese dall’incidente, e ogni giorno, penso costantemente a come le cose possano cambiare rapidamente e drasticamente, in un batter d’occhio, e in modi che non avrei mai potuto immaginare.”

Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
Nella giornata contro il Bullismo del 7 febbraio, l'Iraq ci dice che si è bulli anche per razzismo. Gli attivisti dei diritti della minoranza irachena nera (una minoranza di 1.5 milioni di persone su 40) denunciano che nel paese molti studenti abbandonano la scuola per colpa del bullismo di compagni e insegnanti. E, sulla minoranza, l'impatto del fenomeno è allarmante: "un sondaggio del 2011 ha riportato tassi di analfabetismo tra i neri iracheni all'80 per cento, una cifra più che doppia rispetto alla media nazionale e che da allora è rimasta sostanzialmente invariata", ha detto Abdul Hussein Abdul Razzak, giornalista nero e co-fondatore di Black Iraqis, associazione fondata nel 2017 per difendere i diritti della minoranza nel paese. "Alcuni iracheni ci trattano come se fossimo ancora schiavi. Sono un bravo giornalista, ma nessuno mi ha mai dato la possibilità di lavorare. Comunque - ha concluso Abdul Razzak - la nostra pelle non ci fermerà."
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