
Una strada allagata a Kampur, nel distretto di Nagaon
Sono almeno 34 le persone che una settimana fa hanno perso la vita nel Nord-Est dell’India. La causa – neanche a dirlo – è la crisi climatica. Inondazioni e frane provocate da piogge monsoniche eccezionalmente intense stanno devastando l’intera area. Un disastro che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone, con le istituzioni impegnate in evacuazioni di massa. Solo nello Stato di Tripura, ad esempio, oltre 10.000 residenti sono stati messi in salvo. Inutile girarci intorno: non si tratta di “maltempo”. È l’ennesima dimostrazione di quanto i cambiamenti climatici stanno piombando con violenza nelle nostre vite. Da Est a Ovest, da Nord a Sud, nessuno escluso. Un divenire pressoché incontrovertibile a cui, volenti o nolenti, dobbiamo imparare ad adattarci. E qui arriva il punto: la crisi climatica non è un’ipotesi futura, è adesso. E proprio sull’adattamento c’è chi – pur tra mille contraddizioni – intravede qualche opportunità.
Ma andiamo con ordine. Il governo indiano ha confermato le stime per il 2025: per il secondo anno consecutivo, le piogge supereranno la media. Si parla di un incremento del 106% rispetto agli 87 cm della media storica. Un dato che ricalca le previsioni già avanzate lo scorso aprile. E sebbene l’abbondanza d’acqua rappresenti un rischio evidente per molte comunità, c’è chi guarda altrove: all’economia. Più precisamente, al settore agricolo.
Sì, perché queste piogge – devastanti da una parte – potrebbero rivelarsi provvidenziali dall’altra. Anticipando la stagione monsonica, si aprono infatti scenari di forte crescita per colture strategiche come riso e zucchero. Il che significa più produzione, più export e un mercato interno più solido. Non solo: le abbondanti precipitazioni potrebbero contribuire a contenere l’inflazione, soprattutto quella alimentare, mantenendola entro il target della banca centrale, grazie alla riduzione del prezzo dei beni primari.

Secondo le previsioni, le piogge saranno intense in quasi tutta l’India. Si profila, quindi, una disponibilità idrica adeguata per le principali aree agricole, a sostegno dell’intero comparto primario. E a rafforzare questa narrazione c’è il precedente del 2024, quando un monsone particolarmente favorevole aveva già rilanciato le attività nei contesti rurali. Una tendenza che si stima crescerà ancora nel 2025. In più, secondo l’Indian Institute of Tropical Meteorology, i monsoni potrebbero aumentare dell’8-10% nei prossimi decenni. Il che rende questa “anomalia” una possibile nuova normalità. E se questo non è adattamento, allora cos’è?
L’asserzione, per molti indiani, appare inconfutabile: le piogge sopra la media previste per il 2025 rappresentano un fattore strategico per la tenuta e la crescita dell’economia interna, specialmente in una fase di lieve rallentamento. Gli effetti della crisi climatica, insomma, potrebbero risultare determinanti per l’agricoltura, la stabilità dei prezzi e l’equilibrio macroeconomico nel breve e medio periodo. Serve certo una buona dose di cinismo – e tanto relativismo – per abbracciare questa visione. Ma resta un dato su cui riflettere: non tutti i mali vengono per nuocere. Sia chiaro: nessuno qui intende celebrare gli effetti della crisi climatica. Tutt’altro. Ma da questa storia indiana emerge uno spunto interessante, una forma estrema di resilienza che – pur con tutti i limiti del caso – potrebbe farsi emblema di futuro. L’auspicio? Che quell’agricoltura sia sostenibile. Che non solo riduca la dipendenza da quella convenzionale, ma diventi anche presidio di biodiversità. Sarebbe un bel segnale. E, diciamolo, una sfida non da poco. Ne riparleremo.