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Home » Attualità » Iran, condannata a morte la compagna di cella di Alessia Piperno: “Unite dallo stesso dolore”

Iran, condannata a morte la compagna di cella di Alessia Piperno: “Unite dallo stesso dolore”

La travel blogger romana racconta i giorni di prigionia su Instagram. Con lei in cella una donna, mamma di tre figli: "Un giorno è uscita per andare in infermeria e non è più tornata"

Marianna Grazi
6 Dicembre 2022
La compagna di cella di Alessia Piperno, mamma di tre bambini, è stata condannata a morte in Iran

La compagna di cella di Alessia Piperno, mamma di tre bambini, è stata condannata a morte in Iran

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“È stata la mia compagna di cella. Un giorno è uscita per andare in infermeria e non è più tornata”. Una sorte terribile quella toccata alla donna che ha trascorso i giorni di prigionia, a Teheran, con l’italiana Alessia Piperno, che sul suo profilo Instagram denuncia un’altra condanna a morte decretata dalle autorità iraniane nei confronti di una donna. Dopo quella di alcuni giorni fa a Fahimeh Karimi, mamma di tre bambini e allenatrice di pallavolo, stavolta tocca alla compagna di prigionia della travel blogger romana, con cui ha trascorso i 34 giorni della detenzione. “Tra di noi non ci sono state grandi conversazioni, dal momento che io non parlavo farsi e lei non parlava inglese. Ma eravamo unite dallo stesso dolore e dalle stesse paure. Ho cercato il suo nome ogni giorno da quando sono tornata – spiega la ragazza, rientrata in Italia dopo la liberazione, il 10 novembre – per controllare se avessero liberato anche lei. Invece mi sono trovata davanti a un articolo con il suo volto con scritto ‘condannata a morte‘. Cosa serve per fermare tutto questo? Cosa c… serve?”, conclude amareggiata Piperno.

 

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Un post condiviso da Aʟᴇssɪᴀ-ᴠɪᴀɢɢɪᴀᴛʀɪᴄᴇ ꜱᴏʟɪᴛᴀʀɪᴀ (@travel.adventure.freedom)

La prigionia a Teheran e la disperazione di una mamma

Su Instagram Alessia racconta anche il periodo trascorso nelle carceri iraniane, una sorta di secondo capitolo dopo quanto scritto qualche giorno fa sempre in un post sui social.

Sei bianca come quel muro, sarà che a forza di guardarlo, ha mangiato i tuoi respiri.
Siamo nascoste in un punto cieco qui, le tue urla sono come il silenzio, fai a pugni con la porta e calpesti le tue stesse lacrime. “AZADI! AZADI!”
Ti canto Bella ciao, e tu ti metti a piangere, altre volte mi batti le mani.
Vorrei dirti di più, ma che ti dico?
Ho paura, anche io.
“Fatimah, Athena, Mohammed”.
Continui a gridare i nomi dei tuoi figli, avranno sentito il tuo eco o l’amore non viaggia attraverso le sbarre?
Aprono quella porta perché fai troppo rumore, ma siamo carne senza vita noi, e ci schiacciano come foglie secche, ascolta, loro non hanno cuore.
Ti butti a terra con la testa tra le mani, premi con le dita contro le tue tempie, vuoi strappare i tuoi pensieri, farli uscire dalle tue orecchie, sono sabbie mobili, lo so bene.
Domani è un giorno nuovo, magari saremo libere, anche se si, hai ragione, te l’ho detto anche ieri.
Arriva la pasticca che ci canterà la ninna nonna, ti prendo la mano, è quel poco che posso fare, metti la testa sotto la coperta, almeno lì le luci sono spente, guarda il cielo, le vedi anche tu le stelle?
Buonanotte Fahimeh.

La convivenza tra le due donne, i timori, le preghiere, ripetendo fino all’ossessione il nome di quei figli – Fatimah, Athena, Mohammed – che, probabilmente, Fahimeh non rivedrà più. La disperazione che l’attanaglia, quella ragazza accanto a lei, Alessia, che non comprende le sue parole ma prova il suo stesso dolore e la guarda senza sapere come aiutarla, come aiutarsi. Perché va così: alcune volte la detenuta straniera esce di prigione; l’iraniana, invece, non ce la fa: per lei le porte dei quella cella si sono aperte, è vero, ma per condurla ad una sorte peggiore. E quei tre bambini la loro mamma non la rivedranno mai più. È così che funziona, nella Repubblica Islamica, dove non c’è spazio per la libertà di una donna, non c’è spazio per dire no a un’ingiustizia o alla violazione dei diritti umani. Come si ferma la repressione, si chiede quindi Alessia Piperno? Come si ferma la strage di sangue?

La repressione dello sciopero dei “terroristi assoldati dai nemici”

Proteste in Iran, continuano gli scontri con le autorità e le forze di polizia

Intanto in una dichiarazione delle Guardie della rivoluzione iraniana si legge: il corpo paramilitare dei “basij, la polizia e le forze di sicurezza non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi, i criminali armati e i terroristi che sono stati assoldati dai nemici“. In molte città dell’Iran è in corso il primo dei tre giorni di sciopero indetto da attivisti nell’ambito delle proteste anti governative che da quasi tre mesi scuotono il Paese. “Dopo la sconfitta della nuova sedizione, creata dai nemici, il sistema sacro della Repubblica islamica continuerà con forza a realizzare la sua causa e sconfiggerà il fronte unito dei nemici”, riportano le autorità nelle nota. Nei mesi scorsi si sono già verificati duri scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti scesi in pizza in varie città iraniane dopo la morte di Mahsa Amini. Secondo i dati dell’agenzia Hrana, raccolti da attivisti dei diritti umani iraniani, dall’inizio delle proteste hanno perso la vita almeno 471 persone, tra cui 64 minori e 61 membri delle forze di sicurezza, mentre gli arrestati sono oltre 18mila. 

“I rivoltosi, condannati a morte per Muharebeh o Fesad fel arz (“Guerra contro Dio” e “Corruzione sulla Terra”, due capi d’accusa della legge islamica iraniana) saranno impiccati presto“. A dirlo è il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Ejei, secondo quanto riporta l’Irna, riferendosi a un gruppo di persone arrestate durante le manifestazioni. “Sono state emesse anche alcune altre sentenze di reclusione a lungo termine“, ha aggiunto il funzionario, avvertendo che coloro che provocano la rivolta popolare o incoraggiano altri a scioperare, saranno presto convocati. “Nessuno in Iran è stato ucciso a causa di colpi sparati dalle forze di sicurezza o da quelle dell’ordine” ha dichiarato nel frattempo il ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amirabdollahian, nella conferenza stampa al termine della sua visita in Bosnia-Erzegovina, negando così l’uccisione di manifestanti da parte di forze affiliate al governo. “Ciò a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane è stato un complotto contro il popolo iraniano” ha ribadito il capo della diplomazia della Repubblica islamica.

Dall’inizio delle proteste, secondo le ong, sono oltre 440 le vittime delle repressione

Qualche giorno fa l’annuncio a sorpresa dell’abolizione della terribile polizia morale, con l’avvertimento però lanciato da Al Jazeera a non fidarsi troppo, data la mancata conferma delle parole pronunciate dal procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri e il mancato pronunciamento in merito alla legge che rende obbligatorio indossare il velo. A poche ore di distanza è arrivato infatti un altro annuncio, da parte di Hossein Jalali, membro del Consiglio islamico e della Commissione culturale, il quale ha affermato che il costo da pagare per le donne che non indossano l’hijab sarà più alto. Jalali ha spiegato come sarà il programma alternativo, allo studio, per l’applicazione dell’uso del velo e in merito al piano della castità per le iraniane: invece delle “pattuglie della polizia morale”, ha detto,  coloro che non indossano l’hijab saranno avvisate tramite messaggi, prima di passare alle punizioni. Citato dal quotidiano riformista Shargh, Jalali ha precisato anche che “dopo tre avvertimenti il conto bancario della persona che viene sorpresa senza l’hijab potrebbe essere bloccato“. “Non ci sarà alcun ritiro dal piano dell’hijab perché il ritiro significa il ritiro della Repubblica islamica”, ha concluso il consigliere.

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  • Avete mai pensato a come fare quando siete in una foresta, in montagna o in una spiaggia solitaria, lontane da tutti, completamente immerse nella natura, ma avete il ciclo? 

🟪 A questa eventualità ha risposto una ragazza scozzese, che ha sviluppato un kit mestruale portatile da usare all’aperto quando non esistono i servizi igienici o non c’è accesso alle toilette. Erin Reid, 25 anni, ha concepito l’idea quando ha affrontato il cammino di 96 miglia (154 km) della West Highland Way da Milngavie, vicino a Glasgow, a Fort William. Ispirata dalle sue esperienze racconta: 

🗣“Ho avuto le mestruazioni per tutto il tempo ed è stata una vera seccatura Il mio obiettivo è quello di risolvere il problema e dare alle persone la possibilità di uscire all’aria aperta quando hanno le mestruazioni”. Secondo Erin, le donne che si trovano in luoghi isolati potrebbero correre il rischio di infezioni del tratto urinario, shock tossico o infertilità a causa della scarsa igiene, quando non c’è accesso a bagni, impianti per lavarsi le mani o luoghi per smaltire i prodotti sanitari usati.

La ragazza ha dichiarato che il suo kit è pensato per chi pratica l’escursionismo, il kayak e per il personale militare, ma ha spiegato che, grazie anche al design a forma di fiaschetta, potrebbe interessare persino il pubblico femminile dei festival all’aperto, preoccupati di utilizzare i bagni chimici. Il kit contiene: una coppetta mestruale riutilizzabile, salviette antibatteriche, che consentono di pulire la coppetta in viaggio e un semplice erogatore che può essere utilizzato anche senza avere le mani pulite, quindi in situazioni in cui non è possibile accedere a servizi igienici o all’acqua corrente. 

L’ex studentessa della Napier University, laureata in Design del Prodotto, spera ora di lanciare il prodotto nel 2024: appassionata escursionista e ciclista è ora alla ricerca di finanziamenti per portare sul mercato il suo kit per l’igiene mestruale LU Innovations. Che è stato sviluppato con il sostegno di Converge, società di supporto per le università e gli istituti di ricerca che lavorano su nuovi prototipi.

#lucenews #mestruazioni #kitmestruale #ciclomestruale #designdelprodotto
  • “Ho fatto un film artigianale, maldestramente ispirato a una lettera di Elsa Morante, e dedicato a tutte le ‘cattive ragazze’, che cattive non sono, e che lottano in tutto il mondo: dall’Iran all’Afghanistan, ma anche in Svezia e in Umbria”.

Il corto “Le Pupille” di Alice Rohrwcher ha ricevuto ieri, 24 gennaio, una nomination agli Oscar per il miglior Live Action Short. La cerimonia finale si terrà a Los Angeles il 12 marzo.

La reazione e la gioia delle piccole protagoniste, della troupe e della regista✨

#lucenews #lucelanazione #lepupille #oscar2023
  • C’è anche un film italiano in corsa per gli Oscar. 

È il cortometraggio "Le pupille" diretto da Alice Rohrwacher, regista quarantunenne nata in Toscana, cresciuta nella campagna umbra, regista "artigianale", autodidatta, i cui film hanno già ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali. Le pupille è prodotto dal regista premio Oscar Alfonso Cuarón, ed è entrato nella cinquina delle pellicole in corsa per l’Oscar del Miglior cortometraggio.

"Dedico questa nomination alle “bambine cattive“, che cattive non sono affatto, e che sono in lotta ovunque nel mondo: in Iran, in Afghanistan, ma anche in Svezia e in Umbria. Mi auguro che, come nel mio cortometraggio, possano rompere la torta e condividerla fra loro". 

Si parla, infatti, nel film, di una torta. E di costrizioni, divieti, imposizioni, rigide regole da sovvertire. Il film prende spunto, dice la regista, da una lettera che nel dicembre 1971 la scrittrice Elsa Morante inviò all’amico giornalista e critico cinematografico Goffredo Fofi.

Nella lettera, la Morante racconta una storia avvenuta in un collegio di preti, negli anni del fascismo. Una decina di ragazzi si preparano al pranzo di Natale, scoprendo che a chiudere il pasto c’è un’enorme zuppa inglese. Ma il priore li invita a "fare un fioretto" a Gesù Bambino, rinunciando alla loro fetta di dolce. Qualcuno si ribellerà: un "bimbo cattivo". La lettera è pubblicata, col titolo di Pranzo di Natale, per le edizioni milanesi Henry Beyle, nel 2014.

Invitata da Cuarón a prendere parte a un progetto di corti per Disney+, Alice Rohrwacher ha scelto questa storia. Ma con un radicale cambiamento: ha trasformato i ragazzi in ragazzine, in "pupille", piccole orfane ospitate dalle suore. L’intransigente priora è interpretata dalla sorella della regista, Alba Rohrwacher. A portare la torta in convento è una eccentrica nobildonna che chiede – in cambio del dono – di pregare per l’uomo che la ha tradita e abbandonata.

È la prima volta, invece, che la regista riceve una nomination agli Oscar, e lo fa con una fiaba anarchica, un Canto di Natale "in rosa", rivoluzionario e al femminile.

L
  • Messaggi osceni, allusioni, avances in ufficio e ricatti sessuali. La forma più classica del sopruso in azienda, unita ai nuovi strumenti tecnologici nelle mani dei molestatori. Il movimento Me Too, nel 2017, squarciò il velo di silenzio sulle molestie sessuali subite dalle donne nel mondo del cinema e poi negli altri luoghi di lavoro. Cinque anni dopo, con in mezzo la pandemia che ha terremotato il mondo del lavoro, le donne continuano a subire abusi, che nella maggior parte dei casi restano nell’ombra.

«Sono pochissime le donne che denunciano – spiega Roberta Vaia, della segreteria milanese della Cisl – e nei casi più gravi preferiscono lasciare il lavoro. Il molestatore andrebbe allontanato dalla vittima ma nei contratti collettivi dei vari settori non è ancora prevista una sanzione disciplinare per chi si rende responsabile di molestie o di mobbing».

Un quadro sconfortante che emerge anche da una rilevazione realizzata dalla Cisl Lombardia, nel corso del 2022, su lavoratrici di diversi settori, attraverso un sondaggio distribuito in fabbriche, negozi e uffici della regione. Sono seimila le donne che hanno partecipato all’indagine, e il 44% ha dichiarato di aver subìto molestie o di «esserne stata testimone» nel corso della sua vita lavorativa.

A livello nazionale, secondo gli ultimi dati Istat, sono 1.404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro. Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine: appena lo 0,7% delle vittime.

✍🏻di Andrea Gianni

#lucenews #istat #donne #molestie #lavoro #diritti
"È stata la mia compagna di cella. Un giorno è uscita per andare in infermeria e non è più tornata". Una sorte terribile quella toccata alla donna che ha trascorso i giorni di prigionia, a Teheran, con l'italiana Alessia Piperno, che sul suo profilo Instagram denuncia un'altra condanna a morte decretata dalle autorità iraniane nei confronti di una donna. Dopo quella di alcuni giorni fa a Fahimeh Karimi, mamma di tre bambini e allenatrice di pallavolo, stavolta tocca alla compagna di prigionia della travel blogger romana, con cui ha trascorso i 34 giorni della detenzione. "Tra di noi non ci sono state grandi conversazioni, dal momento che io non parlavo farsi e lei non parlava inglese. Ma eravamo unite dallo stesso dolore e dalle stesse paure. Ho cercato il suo nome ogni giorno da quando sono tornata – spiega la ragazza, rientrata in Italia dopo la liberazione, il 10 novembre – per controllare se avessero liberato anche lei. Invece mi sono trovata davanti a un articolo con il suo volto con scritto 'condannata a morte'. Cosa serve per fermare tutto questo? Cosa c... serve?", conclude amareggiata Piperno.
 
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La prigionia a Teheran e la disperazione di una mamma

Su Instagram Alessia racconta anche il periodo trascorso nelle carceri iraniane, una sorta di secondo capitolo dopo quanto scritto qualche giorno fa sempre in un post sui social.
Sei bianca come quel muro, sarà che a forza di guardarlo, ha mangiato i tuoi respiri. Siamo nascoste in un punto cieco qui, le tue urla sono come il silenzio, fai a pugni con la porta e calpesti le tue stesse lacrime. “AZADI! AZADI!” Ti canto Bella ciao, e tu ti metti a piangere, altre volte mi batti le mani. Vorrei dirti di più, ma che ti dico? Ho paura, anche io. “Fatimah, Athena, Mohammed”. Continui a gridare i nomi dei tuoi figli, avranno sentito il tuo eco o l’amore non viaggia attraverso le sbarre? Aprono quella porta perché fai troppo rumore, ma siamo carne senza vita noi, e ci schiacciano come foglie secche, ascolta, loro non hanno cuore. Ti butti a terra con la testa tra le mani, premi con le dita contro le tue tempie, vuoi strappare i tuoi pensieri, farli uscire dalle tue orecchie, sono sabbie mobili, lo so bene. Domani è un giorno nuovo, magari saremo libere, anche se si, hai ragione, te l’ho detto anche ieri. Arriva la pasticca che ci canterà la ninna nonna, ti prendo la mano, è quel poco che posso fare, metti la testa sotto la coperta, almeno lì le luci sono spente, guarda il cielo, le vedi anche tu le stelle? Buonanotte Fahimeh.
La convivenza tra le due donne, i timori, le preghiere, ripetendo fino all'ossessione il nome di quei figli – Fatimah, Athena, Mohammed – che, probabilmente, Fahimeh non rivedrà più. La disperazione che l'attanaglia, quella ragazza accanto a lei, Alessia, che non comprende le sue parole ma prova il suo stesso dolore e la guarda senza sapere come aiutarla, come aiutarsi. Perché va così: alcune volte la detenuta straniera esce di prigione; l'iraniana, invece, non ce la fa: per lei le porte dei quella cella si sono aperte, è vero, ma per condurla ad una sorte peggiore. E quei tre bambini la loro mamma non la rivedranno mai più. È così che funziona, nella Repubblica Islamica, dove non c'è spazio per la libertà di una donna, non c'è spazio per dire no a un'ingiustizia o alla violazione dei diritti umani. Come si ferma la repressione, si chiede quindi Alessia Piperno? Come si ferma la strage di sangue?

La repressione dello sciopero dei "terroristi assoldati dai nemici"

Proteste in Iran, continuano gli scontri con le autorità e le forze di polizia
Intanto in una dichiarazione delle Guardie della rivoluzione iraniana si legge: il corpo paramilitare dei "basij, la polizia e le forze di sicurezza non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi, i criminali armati e i terroristi che sono stati assoldati dai nemici". In molte città dell'Iran è in corso il primo dei tre giorni di sciopero indetto da attivisti nell'ambito delle proteste anti governative che da quasi tre mesi scuotono il Paese. "Dopo la sconfitta della nuova sedizione, creata dai nemici, il sistema sacro della Repubblica islamica continuerà con forza a realizzare la sua causa e sconfiggerà il fronte unito dei nemici", riportano le autorità nelle nota. Nei mesi scorsi si sono già verificati duri scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti scesi in pizza in varie città iraniane dopo la morte di Mahsa Amini. Secondo i dati dell'agenzia Hrana, raccolti da attivisti dei diritti umani iraniani, dall'inizio delle proteste hanno perso la vita almeno 471 persone, tra cui 64 minori e 61 membri delle forze di sicurezza, mentre gli arrestati sono oltre 18mila.  "I rivoltosi, condannati a morte per Muharebeh o Fesad fel arz ("Guerra contro Dio" e "Corruzione sulla Terra", due capi d'accusa della legge islamica iraniana) saranno impiccati presto". A dirlo è il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Ejei, secondo quanto riporta l'Irna, riferendosi a un gruppo di persone arrestate durante le manifestazioni. "Sono state emesse anche alcune altre sentenze di reclusione a lungo termine", ha aggiunto il funzionario, avvertendo che coloro che provocano la rivolta popolare o incoraggiano altri a scioperare, saranno presto convocati. "Nessuno in Iran è stato ucciso a causa di colpi sparati dalle forze di sicurezza o da quelle dell'ordine" ha dichiarato nel frattempo il ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amirabdollahian, nella conferenza stampa al termine della sua visita in Bosnia-Erzegovina, negando così l'uccisione di manifestanti da parte di forze affiliate al governo. "Ciò a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane è stato un complotto contro il popolo iraniano" ha ribadito il capo della diplomazia della Repubblica islamica.
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Qualche giorno fa l'annuncio a sorpresa dell'abolizione della terribile polizia morale, con l'avvertimento però lanciato da Al Jazeera a non fidarsi troppo, data la mancata conferma delle parole pronunciate dal procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri e il mancato pronunciamento in merito alla legge che rende obbligatorio indossare il velo. A poche ore di distanza è arrivato infatti un altro annuncio, da parte di Hossein Jalali, membro del Consiglio islamico e della Commissione culturale, il quale ha affermato che il costo da pagare per le donne che non indossano l'hijab sarà più alto. Jalali ha spiegato come sarà il programma alternativo, allo studio, per l'applicazione dell'uso del velo e in merito al piano della castità per le iraniane: invece delle "pattuglie della polizia morale", ha detto,  coloro che non indossano l'hijab saranno avvisate tramite messaggi, prima di passare alle punizioni. Citato dal quotidiano riformista Shargh, Jalali ha precisato anche che "dopo tre avvertimenti il conto bancario della persona che viene sorpresa senza l'hijab potrebbe essere bloccato". "Non ci sarà alcun ritiro dal piano dell'hijab perché il ritiro significa il ritiro della Repubblica islamica", ha concluso il consigliere.
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