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Nilufar e Pegah, appello per l’Iran: "Il nostro Paese insanguinato ha bisogno di una rivoluzione social"

Il grido di dolore di due influencer residenti in Italia: “Siamo la voce del popolo che combatte la polizia del regime islamico. Aiutateci a non far cadere nel vuoto il sacrificio di tanti giovani e donne perseguitati”

di CATERINA CECCUTI -
28 gennaio 2023
Iran

Iran

Pegah ha il fuoco negli occhi, Nilufar la dolcezza nel sorriso. Entrambe di origine iraniana, entrambe bellissime. La loro vita l’hanno vissuta in Italia, ma il legame con la loro terra, respirato da sempre tra le pareti di casa attraverso i ricordi dei genitori e le tradizioni di famiglia, è sempre stato forte. Ancora più forte in questi mesi caldi di rivoluzione, nei quali l’Iran è squassato dalle proteste del popolo e dalle reazioni violente della così detta “polizia morale”, quella che -come ci spiegherà Nilufar- nasce durante la rivoluzione islamica di Khomeini (1978-1979) con lo scopo di controllare che vengano rispettate le norme islamiche e conservatrici del Paese. Norme come il corretto utilizzo dell’Hijab che, se trasgredite, a una ragazza ventiduenne come Mahsa Jina Amini nel settembre scorso sono costate addirittura la vita. Ciò che possiamo fare, trovandoci al sicuro entro i confini di una terra democratica come l’Italia, è trasformarci nella voce delle nostre sorelle iraniane, che stanno combattendo a mani nude contro la polizia armata del Governo, e insieme a tanti studenti di tutte le età, vengono imbavagliate da un regime che oscura internet, taglia le forniture di gas, punisce con la violenza fisica e impedisce loro di esprimersi a vari livelli, come per esempio i social network”.

Chi è Nilufar Amir Djafari Rezaieh

Pegah ha 33 anni, è una lucana di origine Persiana “nata tra i racconti del Libro dei Re e cresciuta tra i versi de La Divina Commedia”. Consulente in Ernst & Young ma anche content creator su temi digitali, culturali e dei diritti umani, nelle scuole parla di empowerment femminile. Oggi è una delle attiviste social più note per i diritti del popolo iraniano.
Nilufar Amir Djafari Rezaieh

Nilufar Amir Djafari Rezaieh è nata nel 1978 tra le braccia di una suora in una clinica fiorentina

Nilufar Amir Djafari Rezaieh è nata nel 1978 tra le braccia di una suora in una clinica fiorentina: “Mentre nel mio paese di origine stava iniziando la Rivoluzione islamica. I miei genitori si erano trasferiti a Firenze per studiare ma, una volta laureati, in Iran ormai si erano stabiliti gli Ayattollah, e Imam Khomeini era divenuto presidente spirituale della nuova Repubblica islamica. Così, per salvaguardare la mia libertà, i miei decisero di rimanere in Italia. Inizialmente non potei visitare il mio Paese di origine, perciò mi misi ad impararne la geografia attraverso i tappeti che papà e mamma vendevano in negozio. Ogni tappeto, infatti, prende il nome dalla città in cui viene prodotto. Ho imparato due lingue dalla mia nonna russa Fatima e il persiano dai parenti che, via via, erano costretti a scappare dal proprio Paese. I miei genitori, per aiutarmi ad integrarmi completamente in Italia, mi hanno fatto studiare in scuole private cattoliche, di modo che imparassi la religione della città ospitante. All’università incontrai un professore coraggioso, Vinicio Guido, che accettò di curare la mia tesi in macroeconomia “Il pensiero economico nel mondo islamico”. Fu una delle prime sull’argomento, e scriverla mi permise di approfondire nuovi aspetti del mio Paese di origine. A quarant’anni ho avuto la fortuna di stare accanto alla nostra imperatrice Farah Diba, terza moglie dello scià di Persia, durante la visita a Roma in occasione del suo ottantesimo compleanno”. Nilufar, può spiegarci cos’è la polizia morale? “In Iran la polizia morale, composta dai Pasdaran, rappresenta l’unità delle forze di polizia iraniane nata durante la rivoluzione islamica di Khomeini, che fa capo al Ministero della Cultura e della Guida Islamica. Il suo scopo è quello di controllare che vengano rispettate le norme islamiche e conservatrici del Paese. A dicembre scorso è stato dichiarato che la polizia morale in Iran sarebbe stata sospesa, ma si trattava di una notizia pilotata, per oscurare mediaticamente lo sciopero nazionale dei tre giorni che stava mobilitando tutto il Paese”.  
Nilufar Amir Djafari Rezaieh con sua madre

Nilufar Amir Djafari Rezaieh con sua madre

Le manifestazioni attualmente in essere non riguardano solo la condizione femminile in Iran, ma partono proprio da questa... “Le manifestazioni sono iniziate a Teheran il 16 settembre 2022, come reazione all’uccisione della ventiduenne Mahsa Jina Amini, iraniana di origini curde. La ragazza è stata arrestata dai Pasdaran per il solo fatto di aver violato una legge assurda (che peraltro, tengo a sottolineare- non è neanche presente nel Corano) che prevede l’uso obbligatorio dell’Hijab per coprire la testa e i capelli. A detta della polizia morale, Mahsa lo avrebbe indossato in maniera 'impropria', durante una gita a Teheran. Secondo i testimoni, i Pasdaran l’avrebbero colpita con forza per questo motivo. Una volta partite, le proteste si sono rapidamente estese in altre città della provincia del Kurdistan (ossia la regione di Mahsa Amini). In risposta alle manifestazioni, il Governo iraniano ha attuato delle interruzioni regionali dell’accesso a Internet, a partire dal 19 settembre, seguite da diffusi black out e restrizioni a livello nazionale sull’uso dei social media. L’Āyatollāh Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, ha liquidato i disordini definendoli semplicisticamente 'rivolte di una guerra ibrida', causata da Stati stranieri e dissidenti pagati dal Governo americano. In tutto questo, le donne e gli studenti hanno svolto un ruolo chiave, rischiando la propria vita nelle manifestazioni e chiedendo maggiori diritti per le donne, oltre al rovesciamento della Repubblica islamica. È la prima volta che vengono avanzate richieste così coraggiose, considerando che i precedenti grandi movimenti di protesta in Iran avevano focalizzato sui risultati elettorali o sui gravi problemi economici del Paese. Altro dato importante su cui riflettere, e che testimonia un cambiamento nell’azione del popolo iraniano, è che rispetto alle proteste del 2009 - chiamate onda verde - Where is my vote? -, quelle del 2022 sono cresciute fino a raggiungere un livello nazionale, diffondendosi trasversalmente e coinvolgendo classi sociali diverse, università, strade e scuole, al punto che alcuni analisti le definiscono come una possibile 'seconda rivoluzione iraniana', di segno opposto rispetto alla Rivoluzione khomeinista del ‘78. Un cosa è certa: le proteste in essere sono le più sanguinose dopo quelle del 2019 (che comportarono oltre 1500 vittime). Secondo l’organizzazione no-profit Iran Human Rights infatti, al 29 novembre 2022 almeno 448 persone, di cui 60 minori, sono state uccise a seguito dell’intervento del Governo iraniano”.
Gruppo di famiglia: Nilufar Amir Djafari Rezaieh fra le braccia della madre, a Firenze

Gruppo di famiglia: Nilufar Amir Djafari Rezaieh fra le braccia della madre, a Firenze

Secondo la legge iraniana che cosa è consentito fare alle donne e cosa invece è loro proibito? “Le donne iraniane devono indossare il velo. Non possono cantare, andare in bicicletta, nuotare, entrare negli stadi. Non possono divorziare o lasciare il Paese a meno che non sia il marito o un uomo della famiglia a stabilirlo. Hanno l’obbligatorio di coprire la testa (compresi i capelli), le braccia, le gambe e le caviglie e devono nascondere il più possibile le forme del proprio corpo. In pratica in Iran si copre tutto tranne mani, viso e collo”.
La foto del documento di identità della madre di Nilufar Amir Djafari Rezaieh

La foto del documento di identità della madre di Nilufar Amir Djafari Rezaieh

Quando le ho chiesto di fornirmi alcune immagini significative della sua vita, lei ha deciso di mandarmene una che ritrae il documento di identità di sua madre... “Esatto. I miei genitori hanno lasciato la Persia per poter seguire i corsi universitari a Firenze: mio padre si è iscritto ad Architettura, mia madre all’Accademia di Belle Arti. Ogni estate rientravano in Iran per due settimane. Ai tempi dello scià Pahlavi i cittadini persiani potevano recarsi in qualsiasi Stato europeo senza visto. La fotografia invece ritrae quello che mia madre è stata costretta a fare dopo la prese di potere del regime islamico, pur di tornare in Iran e ritirare le sue cose dalla casa di Tabriz. All’Ambasciata le avevano detto che non avrebbe potuto utilizzare la propria carta d’identità perché nella foto mostrava i capelli. Non potendo attendere i tempi burocratici di cambio regime all’Ambasciata, decise di dipingere l’Hijab sulla foto”.
Pegah Moshir Pour

Pegah Moshir Pour ha 33 anni ed è una lucana di origine Persiana

Pegah Moshir Pour, 33enne lucana di origine Persiana

Pegah, nel suo video di denuncia - divenuto virale online - fa riferimento a gravissimi episodi di violenza anche nei confronti dei bambini e degli studenti nelle scuole... “Non è novità. Purtroppo abbiamo visto e vediamo tutt’ora ciò che il regime fa da 44 anni. La polizia entra nelle scuole elementari, medie e superiori, sia femminili che maschili, senza alcuna distinzione. Si mette ad interrogare gli studenti per capire cosa pensino e cosa provino rispetto al regime. Se mostrano segni di disobbedienza vengono picchiati brutalmente. Alcuni di loro, soprattutto le ragazze, a seguito delle percosse sono morte per emorragia interna. È una situazione gravissima in merito alla quale non è più possibile tacere. In alcune scuole superiori femminili in cui le ragazze si rifiutavano di portare il velo, è capitato che la polizia abbia tentato di ucciderle avvelenando il cibo della mensa o rilasciando gas tossici nelle aule. Stiamo assistendo ad una vera e propria violazione dei diritti umani”. Perché tanto accanimento? “Probabilmente il regime non si aspettava così tanto coraggio da parte delle giovani generazioni. Invece i ragazzi sono coraggiosi e sono tanti, considerando che in Iran il 70% della popolazione è al di sotto dei 35 anni e, soprattutto, che sa esattamente quello che vuole e quello che non vuole più, ossia un regime che non ha scelto, qualcosa che non gli somiglia. Per non dare segni di debolezza il regime non cede davanti alla resistenza, anzi intensifica la propria violenza. Esempio ne è l’attuale taglio del gas operato in alcune città, dove le persone vengono lasciate al gelo”.
Pegah Moshir Pour, 33 anni , in una foto tratta dal suo profilo instagram

Pegah Moshir Pour, 33 anni , in una foto tratta dal suo profilo instagram

Nel suo video ha spiegato che il regime sta oscurando e disconnettendo internet al bisogno, può spiegarci meglio? “Possiamo definire l’Iran “un autoritarismo digitale”, al pari della Cina e della Russia. Il Governo iraniano oscura la libera informazione internazionale, attraverso apposite infrastrutture controllate che bloccano siti web e applicazioni ritenuti inadeguati. Il Regime sa bene che internet rappresenta un mezzo di espressione libera e, soprattutto, di denuncia, che può quindi compromettere la propria posizione. Nonostante ciò, però, vediamo bene che un questi quattro mesi il popolo è riuscito, seppur con grandi difficoltà, a condividere foto e video continuamente. Tutti i giorni circolano contenuti e testimonianze di quanto sta accadendo in Iran. Finalmente il mondo ha la possibilità di guardare in faccia il vero volto del regime della Repubblica islamica, che non è assolutamente una repubblica, piuttosto una dittatura. Il grido del popolo iraniano è una legittima protesta per la libertà, anche solo di poter postare un video o una foto su un social network e condurre la stessa vita che fanno i coetanei in altre parti del mondo”. Cosa state rischiando lei e Nilufar portando avanti la vostra importante azione di protesta online? “Quello che rischiano tutti gli iraniani che si esprimono contro il regime. Siamo sotto osservazione. Ma non abbiamo paura, perché a guidarci è il coraggio delle donne e degli uomini che si trovano in territorio iraniano e che affrontano a mani nude i Basigi (un corpo para militare addestrato solo per contenere le manifestazioni) o il Corpo dei Guardiani della rivoluzione (i Pasdaran, appunto), la cui brutalità è ormai drammaticamente nota al mondo. Il capo supremo ha definito coloro che protestano al di fuori dell’Iran “mercenari” che si vendono per sostenere manifestazioni promosse dagli Stati Uniti, principale nemico del regime. Ma, come sappiamo, il regime non si lascia intimidire, resiste ancora e anzi si alimenta della propaganda anti-americana. Ecco perché, ora più che mai, il nostro compito è quello di essere la voce degli iraniani”. Quale appello vorreste lanciare? “Chiediamo alle persone di diffondere i contenuti sulla situazione iraniana, di non smettere neanche un giorno di parlarne, perché nel momento in cui dovesse accadere il Regime potrebbe aggravare la propria azione contro il suo stesso popolo. Vi prego di non smettere di chiedere notizie sulla condizione dei prigionieri, dei giornalisti arrestati, degli intellettuali e dei giovanissimi che vengono fatti sparire nel nulla. Aiutateci ad ottenere risposte, condividete più possibile i contenuti di denuncia sull’Iran perché è veramente di vitale importanza. Dobbiamo avviare un vero e proprio movimento social, capace di raccontare la verità su una rivoluzione che, ovviamente, non riguarda il diritto di togliersi un velo dalla testa, ma di far cadere il regime e poter scegliere il proprio Governo ed il proprio futuro. Vogliamo la libertà e la democrazia. Vogliamo essere la voce degli iraniani ed insistere che i governi internazionali riconoscano il regime della Repubblica islamica come un governo illegittimo e quindi aiutino il popolo ad uscire da questo buio, dal velo che è stato messo sull’informazione, sulla scuola, sull’università. Sulla vita. Vogliamo riacquistare il nostro diritto alla libertà”.