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Home » Attualità » Iran, pallini di metallo contro gli occhi dei manifestanti. La denuncia di 140 medici oftalmologi

Iran, pallini di metallo contro gli occhi dei manifestanti. La denuncia di 140 medici oftalmologi

Almeno 200 persone, soprattutto giovani, hanno perso la vista a causa della dura repressione. Ma il regime nega

Redazione
1 Febbraio 2023
In Iran le milizie mirano ai volti dei manifestanti (Instagram)

In Iran le milizie mirano ai volti dei manifestanti (Instagram)

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Colpire agli occhi per “marchiare” con un segno indelebile quei soggetti ritenuti un pericolo per il regime. Sarebbe questa la strategia adottata dalle forze di polizia iraniane messa nero su bianco in una lettera al capo dell’Associazione oftalmologica iraniana, in cui 140 professionisti medici hanno denunciato che un gran numero di manifestanti ha perso la vista da uno o entrambi gli occhi nel corso della repressione delle rivolte che da mesi vanno avanti in tutto l’Iran, dopo la morte di Mahsa Amini.

La maggior parte di queste ferite sono state causate da fucili da caccia e pistole paintball. Molti manifestanti avevano frammenti di metallo o gomma conficcati nella testa. Lo riporta l’Iran International, ricordando che nelle scorse settimane sono stati pubblicati molti filmati e video che documentano la strategia adottata dagli agenti del regime ai raduni. Da ricordare, poi, che altre inchieste hanno evidenziato come le pallottole mirassero soprattutto al viso e ai genitali.

 

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Un post condiviso da Iraniani di Torino (@iranianiditorino)

Al momento sono oltre 500 le persone che hanno perso la vita a causa della dura repressione messa in atto dagli ayatollah, e almeno 200, soprattutto giovani e giovanissimi (l’età media di chi manifesta è sui 20 anni), i manifestanti che hanno subito gravi lesioni agli occhi dopo essere stati colpiti dalle Guardie della Rivoluzione o dalla milizia basij, incaricati di mantenere l’ordine e lo status quo della teocrazia sciita al potere nella Repubblica islamica dal 1979.

Un post divenuto particolarmente virale quello di Ghazal Ranjkesh, una studentessa di giurisprudenza della città meridionale di Bandar Abbas, che su Instagram ha pubblicato una foto del suo bellissimo sguardo prima e dopo la scarica di pellet. Perché le milizie usano pallottole letali e non lacrimogeni sui manifestanti. Ranjkesh racconta che il 15 novembre scorso stava tornando a casa con sua madre, quando un agente di polizia le ha sparato un  proiettile di metallo in faccia a distanza ravvicinata.

La studentessa Ghazal Ranjkesh (Instagram)
La studentessa Ghazal Ranjkesh (Instagram)

“Avevo degli occhi molto belli, me lo dicevano tutti” ha scritto nel post, aggiungendo: “L’ultima immagine che il mio occhio destro ha registrato è stata la faccia sorridente di un uomo mentre mi sparava. Ma io sono più di questo”. Eppure, scrive ancora la giovane “sono sopravvissuta e devo vivere; perché ho una storia che non è ancora finita. Perché non ho ancora visto il giorno che ‘devo’ vedere”. In molti le hanno scritto in segno di solidarietà definendola “eroina” dell’Iran. La ragazza, sempre su Instagram, ha raccontato i vari interventi a cui si è sottoposta riassumendo così la sua situazione: “Ciglia bruciate, una piccola parte della palpebra collegata da chirurgia plastica, una cornea che non c’è con quaranta punti e lenti mediche!”.

Ali Mohammadi (Instagram)
Ali Mohammadi (Instagram)

Anche Ali Mohammadi è stato colpito nelle settimane scorse da un proiettile ad Hamadan, a Sud-est di Teheran in una zona a maggioranza curda. “La libertà è più importante della luce degli occhi” aveva scritto l’attivista Arin Bakhtiari, che ha riportato gli accadimenti del giorno in cui è stato ferito Alì, anche lui considerato dagli amici “eroe dell’Iran”. Mohammadi pochi giorni fa ha postato un’altra foto di sé in cui prova nostalgia per quel suo occhio sinistro distrutto solo perché Hamadan.

Ma la ferocia delle milizie iraniane non risparmia nessuno. Neppure i bambini. Benita, una bimba di 5 anni e mezzo “deve vedere il mondo con un occhio solo per il resto della sua vita”, ha detto a IranWire un parente stretto che vuole restare nell’anonimato. La piccola è stata colpita da circa 20 pallini di metallo sparati dalla polizia. Il fatto è accaduto ad Afsaneh, una sera in cui la polizia si è scontrata con i manifestanti nel vicolo che porta al condominio dove abita il nonno di Benita: “I bambini stavano giocando quando all’improvviso hanno sentito un rumore”.

Un'altra giovane colpita all'occhio (Instagram)
Un’altra giovane colpita all’occhio (Instagram)

Nonostante le foto e i filmati, Hassan Karami, il generale di brigata a comando delle unità speciali di Faraja in Iran, ha negato che agenti al suo servizio abbiano sparato deliberatamente a parti sensibili del corpo dei manifestanti, come per esempio gli occhi e la testa e ha affermato che “le forze dell’unità speciale hanno dimostrato che non è loro intenzione comportarsi in modo non professionale con le persone”. Karmi ha dichiarato in un’intervista ad un quotidiano locale di avere “tanta fiducia nelle abilità dell’unità speciale” e ha ribadito che “darà una ricompensa se si riuscirà a dimostrare che qualcuno è rimasto ucciso per un nostro errore“. Secondo il generale “le unità della sicurezza non hanno alcuna missione segreta”, come invece “la propaganda del nemico” suggerisce.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Colpire agli occhi per "marchiare" con un segno indelebile quei soggetti ritenuti un pericolo per il regime. Sarebbe questa la strategia adottata dalle forze di polizia iraniane messa nero su bianco in una lettera al capo dell'Associazione oftalmologica iraniana, in cui 140 professionisti medici hanno denunciato che un gran numero di manifestanti ha perso la vista da uno o entrambi gli occhi nel corso della repressione delle rivolte che da mesi vanno avanti in tutto l'Iran, dopo la morte di Mahsa Amini. La maggior parte di queste ferite sono state causate da fucili da caccia e pistole paintball. Molti manifestanti avevano frammenti di metallo o gomma conficcati nella testa. Lo riporta l'Iran International, ricordando che nelle scorse settimane sono stati pubblicati molti filmati e video che documentano la strategia adottata dagli agenti del regime ai raduni. Da ricordare, poi, che altre inchieste hanno evidenziato come le pallottole mirassero soprattutto al viso e ai genitali.
 
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La studentessa Ghazal Ranjkesh (Instagram)
La studentessa Ghazal Ranjkesh (Instagram)
"Avevo degli occhi molto belli, me lo dicevano tutti" ha scritto nel post, aggiungendo: "L'ultima immagine che il mio occhio destro ha registrato è stata la faccia sorridente di un uomo mentre mi sparava. Ma io sono più di questo". Eppure, scrive ancora la giovane "sono sopravvissuta e devo vivere; perché ho una storia che non è ancora finita. Perché non ho ancora visto il giorno che 'devo' vedere". In molti le hanno scritto in segno di solidarietà definendola “eroina” dell'Iran. La ragazza, sempre su Instagram, ha raccontato i vari interventi a cui si è sottoposta riassumendo così la sua situazione: "Ciglia bruciate, una piccola parte della palpebra collegata da chirurgia plastica, una cornea che non c'è con quaranta punti e lenti mediche!".
Ali Mohammadi (Instagram)
Ali Mohammadi (Instagram)
Anche Ali Mohammadi è stato colpito nelle settimane scorse da un proiettile ad Hamadan, a Sud-est di Teheran in una zona a maggioranza curda. “La libertà è più importante della luce degli occhi” aveva scritto l'attivista Arin Bakhtiari, che ha riportato gli accadimenti del giorno in cui è stato ferito Alì, anche lui considerato dagli amici “eroe dell'Iran”. Mohammadi pochi giorni fa ha postato un'altra foto di sé in cui prova nostalgia per quel suo occhio sinistro distrutto solo perché Hamadan. Ma la ferocia delle milizie iraniane non risparmia nessuno. Neppure i bambini. Benita, una bimba di 5 anni e mezzo “deve vedere il mondo con un occhio solo per il resto della sua vita”, ha detto a IranWire un parente stretto che vuole restare nell'anonimato. La piccola è stata colpita da circa 20 pallini di metallo sparati dalla polizia. Il fatto è accaduto ad Afsaneh, una sera in cui la polizia si è scontrata con i manifestanti nel vicolo che porta al condominio dove abita il nonno di Benita: “I bambini stavano giocando quando all'improvviso hanno sentito un rumore”.
Un'altra giovane colpita all'occhio (Instagram)
Un'altra giovane colpita all'occhio (Instagram)
Nonostante le foto e i filmati, Hassan Karami, il generale di brigata a comando delle unità speciali di Faraja in Iran, ha negato che agenti al suo servizio abbiano sparato deliberatamente a parti sensibili del corpo dei manifestanti, come per esempio gli occhi e la testa e ha affermato che "le forze dell'unità speciale hanno dimostrato che non è loro intenzione comportarsi in modo non professionale con le persone". Karmi ha dichiarato in un'intervista ad un quotidiano locale di avere "tanta fiducia nelle abilità dell'unità speciale" e ha ribadito che "darà una ricompensa se si riuscirà a dimostrare che qualcuno è rimasto ucciso per un nostro errore". Secondo il generale "le unità della sicurezza non hanno alcuna missione segreta", come invece "la propaganda del nemico" suggerisce.
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